Wichtiger Hinweis:
Diese Website wird in älteren Versionen von Netscape ohne graphische Elemente dargestellt. Die Funktionalität der Website ist aber trotzdem gewährleistet. Wenn Sie diese Website regelmässig benutzen, empfehlen wir Ihnen, auf Ihrem Computer einen aktuellen Browser zu installieren.
Zurück zur Einstiegsseite Drucken
Grössere Schrift
 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
4C.10/2002 /mde 
 
Seduta del 9 luglio 2002 
I Corte civile 
 
Giudici federali Walter, presidente della Corte e presidente del Tribunale federale, 
Corboz, Klett, Nyffeler e Favre, 
cancelliera Gianinazzi. 
 
A.________ S.A., 
convenuta, 
patrocinata dall'avv. Giorgio Mondia, via Valdani 2, casella postale 393, 6830 Chiasso, 
 
contro 
 
B.________, 
attrice, 
patrocinata dall'avv. Giovanni Jelmini, via Lambertenghi 1, casella postale 2755, 6901 Lugano. 
 
contratto di lavoro; disdetta immediata, 
 
ricorso per riforma contro la sentenza emanata il 20 novembre 2001 dalla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino 
 
Fatti: 
A. 
Alle dipendenze della A.________ S.A. dal 20 agosto 1990, il 1° febbraio 1998 B.________ ha dato alla luce un bambino; essa ha lavorato sino a due giorni prima della nascita. 
 
Fra le parti è sorto un litigio circa la durata del congedo maternità: la datrice di lavoro sosteneva ch'esso sarebbe giunto a scadenza lunedì 30 marzo, ovvero otto settimane dopo il parto, mentre la lavoratrice era convinta di aver diritto a un'assenza di sedici settimane. 
 
Fallito ogni tentativo d'intesa, con scritto del 30 marzo 1998 A.________ S.A. ha intimato ad B.________ la ripresa dell'attività al ricevimento della missiva, pena la disdetta immediata del contratto; preso atto della volontà della dipendente di non dar seguito a quanto richiesto, il 2 aprile seguente l'ha licenziata con effetto immediato, per cause gravi. 
B. 
Ritenendo tale provvedimento ingiustificato, il 14 maggio 1998 B.________ ha convenuto A.________ S.A. dinanzi alla Pretura della giurisdizione di Mendrisio-Sud, onde ottenere il pagamento di complessivi fr. 11'935.75, oltre interessi, così composti: fr. 1'410.20 a saldo dello stipendio di marzo, fr. 9'021.90 quale salario per i mesi da aprile a giugno nonché fr. 1'503.65 a titolo di tredicesima mensilità prorata temporis, sino al 30 giugno 1998. Essa ha inoltre chiesto un'indennità ai sensi dell'art. 337c cpv. 3 CO
 
L'azione è stata accolta solo parzialmente. Posto che, in concreto, il congedo maternità di cui poteva beneficiare l'attrice dopo il parto era di otto settimane, il Segretario assessore ha considerato giustificata la decisione della convenuta di rescindere immediatamente il contratto a causa del rifiuto dell'attrice di riprendere l'attività. In queste circostanze, il fatto che la disdetta sia stata significata durante il periodo di protezione di cui all'art. 336c lett. c CO non ne pregiudica la validità. Donde la condanna della A.________ S.A. al solo pagamento dell'importo da lei riconosciuto, ovvero fr. 2'450.-- lordi, pari alla quota mancante dello stipendio di marzo e alla quota prorata (3/12) della tredicesima sino al 30 marzo 1998. 
C. 
Di diverso avviso la II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino, la quale, adita dall'attrice, il 20 novembre 2001 ha negato l'esistenza dei requisiti necessari per poter ritenere giustificata, in concreto, la disdetta del rapporto di lavoro con effetto immediato. Essa ha pertanto modificato la pronunzia di primo grado accogliendo integralmente le pretese di B.________, cui ha riconosciuto anche il diritto a un'indennità di fr. 7'500.--. 
Nel suo giudizio, la Corte cantonale ha anzitutto posto in serio dubbio la possibilità di considerare il rifiuto dell'attrice di ritornare in ufficio il 30 marzo 1998 quale motivo di licenziamento in tronco, dato ch'essa, in buona fede, si riteneva legittimata ad astenersi dal lavoro. 
 
A mente del Tribunale d'appello, il giudice di primo grado avrebbe inoltre omesso di esaminare l'eventuale applicabilità dell'art. 337 cpv. 3 CO, in forza del quale un impedimento al lavoro senza colpa del lavoratore - fra cui la gravidanza e il puerperio, nei limiti di tempo previsti dall'art. 324a CO o dalla normativa altrimenti applicabile - non può mai valere quale causa grave. 
 
Sia come sia, in concreto, l'art. 15 del contratto collettivo di lavoro (di seguito CCL) tra la C.________ e la OCST, la FCTS e la SSIC - applicabile alla fattispecie in rassegna - non dice quale sia il periodo durante il quale la lavoratrice ha il diritto di astenersi dal lavoro, rinviando genericamente al diritto federale. Orbene, giusta l'art. 324a cpv. 3 CO, richiamato all'art. 27 CCL, in caso di gravidanza e puerperio la lavoratrice gode degli stessi diritti che in caso di impedimento al lavoro. Considerato che l'attrice lavorava presso la convenuta dal 1990, i giudici ticinesi le hanno riconosciuto il diritto ad un'assenza retribuita di tre mesi (art. 27 cpv. 1 CCL); ciò che non corrisponde alle sue tesi, è vero, ma soprattutto non corrisponde a quelle di controparte. Tanto basta per far apparire ingiustificato il licenziamento in tronco notificato il 2 aprile 1998. 
 
Data l'illiceità della disdetta immediata, la Corte ticinese ha infine condannato la convenuta al pagamento di un'indennità ex art. 337c cpv. 3 CO di fr. 7500.--, oltre interessi. 
D. 
Contro questo giudizio A.________ S.A. è insorta dinanzi al Tribunale federale, il 7 gennaio 2002, con un ricorso per riforma fondato sulla violazione degli art. 324a, 337 e 337c cpv. 3 CO. Essa postula la modifica della sentenza impugnata nel senso di respingere l'appello e confermare, di conseguenza, le conclusioni del primo giudice. In via subordinata chiede che all'attrice venga in ogni caso negato il diritto al versamento di un'indennità. 
 
Con risposta del 15 febbraio 2002 B.________ ha proposto l'integrale reiezione del gravame. 
 
Diritto: 
1. 
Dato che il licenziamento in tronco è stato significato a causa del rifiuto dell'attrice di ritornare al lavoro, ai fini del presente giudizio occorre stabilire se - come asserito dalla convenuta - essa era tenuta a riprendere l'attività il 30 marzo 1998, otto settimane dopo il parto, oppure no. A tal scopo è necessario determinare il periodo durante il quale l'attrice, dopo il parto, poteva legittimamente assentarsi; in altre parole, occorre stabilire la durata del suo congedo maternità. 
1.1 Il congedo maternità si definisce come il congedo cui ha diritto una donna salariata al momento del parto. Questo periodo d'interruzione della sua attività professionale mira a permetterle di riposarsi in vista del parto, di partorire, di rimettersi e di occuparsi del neonato durante le prime settimane di vita. Malgrado l'assenza, alla donna è garantito il mantenimento del posto di lavoro, così come il diritto di occuparlo al termine del congedo, con la conservazione dei diritti acquisiti. In generale il congedo maternità viene preso in una volta sola; se la donna non ha cessato la sua attività prima del parto, essa ha diritto all'integralità del suo congedo dopo questo momento (Francesca Coda Jaques, La protezione della maternità e della paternità nell'ottica del principio costituzionale della parità dei sessi, Bellinzona 1998, pag. 90; Christiane Brunner, La protection de la maternité dans le monde du travail, in: Die Gleichstellung von Frau und Mann als rechtspolitischer Auftrag, Festschrift für Margrit Bigler-Eggenberger, Basilea 1993, pag. 29). 
1.2 Il diritto svizzero non conosce una regolamentazione uniforme della durata del congedo maternità. In verità, il congedo maternità, definito come tale, non è regolato in alcun modo (Christiane Brunner, op. cit., pag. 29). 
L'art. 35 della vecchia legge federale sul lavoro (vLL) - applicabile al caso in esame, le nuove norme sulle donne incinte e le madri che allattano essendo entrate in vigore il 1° agosto 2000 (art. 35, 35a e 35b nLL; RS 822.11) - prevedeva, dopo il parto, un'interruzione obbligatoria del lavoro di otto settimane, eventualmente riducibili a sei (art. 35 cpv. 2 vLL). Dopo l'ottava e sino alla sedicesima settimana - a differenza di quanto previsto dalla nuova legge (art. 35a cpv. 3 nLL), giusta la quale, durante questo periodo, nessuna madre può essere obbligata a lavorare senza il suo consenso - solo le madri allattanti potevano decidere di astenersi dal lavoro (art. 35 cpv. 3 vLL) senza esporsi al pericolo di un licenziamento con effetto immediato, analogamente alle donne in gravidanza (cfr. art. 35 cpv. 1 vLL e sentenza inc. 4C.271/2000 del 15 febbraio 2001 consid. 2b pubblicata in Pra 2001 n. 137 pag. 817). Le madri non allattanti, per contro, potevano venir richiamate al lavoro, a meno di aver pattuito con il datore di lavoro un congedo maternità più lungo. In mancanza di un simile accordo, esse potevano assentarsi solo dietro la presentazione di un certificato attestante l'incapacità al lavoro (sentenza inc. 4C.280/1992 del 26 gennaio 1993 pubblicata in SJ 1995 pag. 788 segg.; sentenza inc. 4C.247/1993 del 06.04.1994 consid. 3d/cc non pubblicata; cfr. anche Francesca Coda Jaques, op. cit., pag. 187 seg.). 
Dal canto suo, il codice delle obbligazioni - senza pronunziarsi sulla durata del congedo maternità - statuisce l'obbligo del datore di lavoro di continuare a versare il salario, per un tempo limitato, ad una lavoratrice assente a causa del puerperio (art. 324a CO) e gli vieta - dopo il tempo di prova - di disdire il rapporto di lavoro durante le sedici settimane dopo il parto (art. 336c lett. c CO). 
 
Infine, la Legge federale sull'assicurazione malattie (LaMal) prevede il diritto ad un'indennità giornaliera durante sedici settimane - di cui almeno otto dopo il parto - a favore delle donne salariate assicurate ai sensi di questa legge (art. 74 cpv. 2 LaMal). 
 
Fra le codificazioni esposte non v'è alcuna coordinazione, sicché può essere molto difficile, per la lavoratrice, determinare quale sia la durata precisa del congedo maternità qualora essa non sia stata esplicitamente definita nel contratto di lavoro (Francesca Coda Jaques, op. cit., pag. 147 segg.; Christiane Brunner, op. cit., pag. 29 segg.). 
1.3 In concreto, dalla fattispecie accertata nel giudizio impugnato - e vincolante per il Tribunale federale chiamato a statuire nel quadro della giurisdizione per riforma (art. 63 cpv. 2 OG) - non risulta che l'attrice fosse una madre allattante né tantomeno che al 30 marzo essa fosse incapace al lavoro. 
 
Dal tenore del contratto collettivo non emerge inoltre che le parti abbiano esplicitamente pattuito un congedo maternità di una certa durata, l'art. 15 cpv. 5 e 6 CCL riprendendo pedissequamente il tenore dell'art. 35 vLL. Nulla muta l'art. 27 CCL, richiamato dai giudici cantonali. Questa norma disciplina infatti la durata del versamento del salario in caso di malattia, limitandosi a rinviare, per quanto concerne la maternità, all'art. 324a CO, che, come già detto, non regola la durata del congedo maternità. Da ultimo, non risulta che la convenuta abbia stipulato un'assicurazione per la perdita di guadagno ai sensi della LaMal, dalla quale l'attrice potrebbe, eventualmente, desumere il diritto a un congedo maternità di sedici settimane. 
 
Ne discende che, a partire dal 30 marzo 1998 - ovvero otto settimane dopo il parto - l'attrice non aveva il diritto di assentarsi dal lavoro senza produrre un certificato medico attestante la sua incapacità al lavoro. 
2. 
Anche se per ragioni diverse da quelle addotte dalla convenuta nel ricorso per riforma, l'attrice non può dunque prevalersi dell'art. 337 cpv. 3 CO, giusta il quale il giudice non può riconoscere come causa grave - suscettibile di giustificare la rescissione del rapporto di lavoro con effetto immediato - il fatto che il lavoratore sia stato impedito al lavoro senza sua colpa. 
Da quanto esposto al considerando precedente risulta infatti che, a partire dal 30 marzo 1998, l'attrice non poteva più dichiararsi impedita al lavoro senza sua colpa ai sensi dell'art. 324a CO (sulla relazione fra l'art. 337 cpv. 3 e l'art. 324a CO cfr. Streiff/von Kaenel, Leitfaden zum Arbeitsrecht, 5a ed. Zurigo 1992, n. 23 ad art. 337 CO; Vischer, Der Arbeitsvertrag in: Schweizerisches Privatrecht, vol. VII/1,III, § 16.VI.2 pag. 179). 
3. 
Ciò non comporta tuttavia ancora la modifica della sentenza impugnata nel senso auspicato dalla convenuta. Occorre infatti ora chinarsi sui presupposti del licenziamento in tronco. 
 
Giusta l'art. 337 cpv. 1 CO sia il datore di lavoro che il lavoratore possono, in ogni tempo, recedere immediatamente dal rapporto di lavoro per cause gravi. È considerata grave, ai sensi della definizione legale, ogni circostanza che non permetta per ragioni di buona fede di esigere da chi dà la disdetta che abbia a continuare nel contratto (art. 337 cpv. 2 CO). 
 
Secondo la giurisprudenza, un atteggiamento che ha compromesso la relazione di fiducia fra le parti - presupposto essenziale di un rapporto di lavoro - o che l'ha pregiudicata al punto che la prosecuzione del contratto sino al termine di disdetta ordinario non è più pensabile, costituisce una «mancanza grave». Mancanze meno gravi possono assurgere a motivo di licenziamento immediato solo se vengono reiterate nonostante un avvertimento circa le conseguenze estreme del ripetersi del medesimo comportamento. Quando si parla di «mancanza» si intende la violazione di un obbligo assunto contrattualmente (DTF 127 III 351 consid. 4a pag. 353 con numerosi rinvii e riferimenti dottrinali). 
3.1 Fra i doveri che incombono al lavoratore v'è, naturalmente, quello di fornire le sue prestazioni (art. 321 CO); il rifiuto cosciente e intenzionale di entrare in servizio o di continuare l'esecuzione del lavoro, malgrado la sollecitazione contraria del datore di lavoro, può pertanto giustificare la disdetta immediata del contratto (Brunner/Bühler/Waeber, Commentaire du droit de travail, Losanna 1996, n. 8 ad art. 337 CO pag. 227; Rehbinder in: Berner Kommentar, n. 6 ad art. 337 CO). 
 
Il Tribunale d'appello ha tuttavia sfumato questo principio, precisando che il diritto al licenziamento ex art. 337 CO non è dato nel caso in cui il lavoratore potesse credere in buona fede alla legittimità della sua astensione del lavoro. 
3.2 Nonostante il parere contrario della convenuta questa tesi va condivisa. 
 
L'intenzione del legislatore di proteggere il lavoratore che, in buona fede, fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro emerge infatti chiaramente dall'art. 336 cpv. 1 lett. d CO, giusta il quale la disdetta - ordinaria - significata per questo motivo è abusiva. A maggior ragione lo è quella con effetto immediato (cfr. Brunner/Bühler/Waeber, op. cit., n. 9 ad art. 337 CO). 
Secondo la dottrina e la giurisprudenza concernenti l'art. 336 cpv. 1 lett. d CO, applicabile per analogia, non è necessario che le pretese fatte valere dal lavoratore siano realmente giustificate; basta ch'egli le abbia fatte valere in buona fede (Rehbinder, op. cit., n. 6 ad art. 336 CO; cfr. sentenza del Tribunale federale inc. 4C.291/1995 del 4 aprile 1996 consid. 2a pubblicata in Pra 1996 n. 224 pag. 874 e sentenza inc. 4C.247/1993 del 6 aprile 1994 consid. 3a non pubblicata). 
3.3 In concreto, a mente della convenuta, la lavoratrice non poteva in buona fede ritenersi legittimata ad astenersi dal lavoro dopo il 30 marzo 1998. Una verifica dell'esatta portata degli art. 15 cpv. 5 e 27 CCL, di facile esecuzione, le avrebbe infatti permesso di appurare l'esistenza di un diritto ad un congedo maternità limitato a sole otto settimane, come peraltro ribadito in occasione delle varie discussioni. Quest'argomentazione non può essere seguita. 
3.3.1 Già si è detto della complessità della regolamentazione federale in ambito di maternità. 
 
Contrariamente a quanto asserito dalla convenuta nel ricorso per riforma, il CCL applicabile alla fattispecie non è di facile comprensione; esso ripropone infatti la mancanza di coordinazione che regna a livello federale. Da un lato l'art. 15 cpv. 5 CCL ribadisce il divieto di impiegare una puerpera durante le otto settimane successive al parto (art. 35 cpv. 2 vLL). Dall'altro, l'art. 27 cpv. 7 CCL, intitolato "Salario in caso d'impedimento del lavoro/Assicurazione malattia" rinvia, per il caso di gravidanza e puerperio, all'art. 324a cpv. 3 CO, ciò che comporta il diritto dell'attrice al salario - ridotto - durante tre settimane in caso di maternità e di un'eventuale incapacità al lavoro ad essa connessa (e attestata da un certificato medico). Il medesimo articolo contiene inoltre la raccomandazione per i datori di lavoro di concludere un contratto collettivo di assicurazione per la perdita di salario ai sensi della LaMal, che darebbe il diritto al versamento di un'indennità durante sedici settimane; sennonché, stando a quanto accertato in sede cantonale, nella fattispecie in esame tale assicurazione non è stata stipulata. Infine, l'art. 9.3 lett. c CCL riprende pedissequamente il contenuto dell'art. 336c lett. c OR in merito al divieto di disdire il contratto durante le sedici settimane successive il parto. 
3.3.2 In assenza di una chiara disposizione concernente la durata del congedo maternità, si può comprendere che l'attrice, di fronte a queste norme, sparse nel contratto collettivo di lavoro e prive di una modalità di coordinazione fra esse, si sia trovata in una situazione di confusione tale da poter credere, in buona fede, di avere diritto ad un'assenza di sedici settimane, tanto più ch'essa non aveva beneficiato - in pratica - di alcun congedo prima del parto. 
3.4 Ritenuta la comprensibile confusione dell'attrice quanto alla durata del congedo maternità, la decisione di licenziarla con effetto immediato il 2 aprile 1998, per la mancata ripresa del lavoro al 30 marzo 1998, dopo un solo avvertimento, appare inadeguata. 
 
Non va dimenticato che la disdetta immediata del contratto ex art. 337 CO configura un provvedimento straordinario ed estremo, ragione per cui la giurisprudenza l'ammette con riserbo, solamente in presenza di un atteggiamento che ha compromesso la relazione di fiducia fra le parti - presupposto essenziale di un rapporto di lavoro - o che l'ha pregiudicata al punto che la prosecuzione del contratto sino al termine di disdetta ordinario non è più pensabile (DTF 127 III 153 consid. 1b). 
 
In concreto, considerato anche il fatto che l'attrice era alle dipendenze della convenuta da ben otto anni e che ha praticamente lavorato sino al parto - nonostante la possibilità di assentarsi mediante semplice avviso, giovi ricordarlo - non si può sostenere che il suo comportamento abbia irrimediabilmente pregiudicato la relazione di fiducia fra le parti, in modo tale da impedire la prosecuzione del contratto sino al termine di disdetta ordinario. Dalla convenuta ci si poteva aspettare un atteggiamento più conciliante; essa avrebbe ad esempio potuto far capo ad un giurista onde chiarire, una volta per tutte, la regolamentazione della maternità nel contratto collettivo. Preso atto della situazione di disaccordo instauratasi, essa ha invece preferito inviare all'attrice - che sapeva fermamente convinta del diritto a un congedo di sedici settimane - un avvertimento e licenziarla subito dopo. Una simile decisione non può essere condivisa. 
3.5 In conclusione, dunque, anche se per ragioni diverse da quelle addotte dai giudici ticinesi, la decisione circa l'assenza di un grave motivo suscettibile di giustificare il licenziamento immediato merita senz'altro di essere confermata. All'attrice spettano pertanto gli stipendi di aprile, maggio e giugno nonché la quota di tredicesima prorata, così come stabilito nel giudizio impugnato. 
 
Su questo punto il ricorso per riforma va dunque respinto. 
4. 
Data l'illiceità del licenziamento in tronco, il Tribunale d'appello, in applicazione dell'art. 337c cpv. 3 CO, ha riconosciuto all'attrice anche un'indennità di fr. 7'500.--. La convenuta contesta questa decisione; essa sostiene infatti che la straordinarietà della vertenza esclude la possibilità di concedere all'attrice un simile importo. A ragione. 
4.1 Giusta l'art. 337c cpv. 3 CO il giudice può obbligare il datore di lavoro a versare al lavoratore un'indennità ch'egli stabilisce secondo il suo libero apprezzamento, tenuto conto di tutte le circostanze; tale indennità non può tuttavia superare l'equivalente di sei mesi di salario. 
 
Il licenziamento in tronco ingiustificato comporta, di regola, il versamento di una simile indennità (DTF 121 III 64 consid. 3c pag. 68; 116 II 300 consid. 5a), che, come rettamente rilevato nel gravame, ha una doppia finalità: punitiva e riparatrice nel medesimo tempo (cfr. DTF 123 III 391 consid. 3c a pag. 394). Eventuali eccezioni a questo principio devono fondarsi sulle circostanze specifiche del caso particolare, che ad esempio escludono la colpa del datore di lavoro o che, comunque, non possono essere poste a suo carico (DTF 116 II 300 consid. 5a). 
4.2 In concreto i presupposti per ammettere un'eccezione al principio della concessione per l'indennità appaiono dati. 
 
Il carattere inadeguato della decisione di licenziare in tronco l'attrice di lavoro è stato riconosciuto e ha comportato la condanna della convenuta al versamento di fr. 11'935.75. Non va tuttavia scordato che, contrariamente a quanto ritenuto nella decisione impugnata, la convenuta era nella ragione quando sosteneva che l'attrice beneficiava di un congedo di otto (e non sedici) settimane. In queste circostanze non appare giustificato riconoscere all'attrice, nel torto, il diritto ad un ulteriore importo. 
 
La decisione impugnata in punto alla concessione dell'indennità giusta l'art. 337c cpv. 3 CO deve pertanto venire modificata nel senso auspicato dalla convenuta. 
5. 
In conclusione, il ricorso per riforma dev'essere parzialmente accolto. 
 
Il valore di causa essendo inferiore a fr. 30'000.--, non si preleva tassa di giustizia (art. 343 cpv. 2 e 3 CO; cfr. DTF 115 II 30 consid. 5a a pag. 40). Dato che le parti risultano soccombenti in pressoché eguale misura, si giustifica di compensare le spese ripetibili per la sede federale (art. 159 cpv. 3 OG). Un rinvio della causa all'autorità cantonale per nuovo giudizio sulle ripetibili (fr. 300.--) non appare necessario. 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
 
1. 
Il ricorso per riforma è parzialmente accolto. 
Il dispositivo I.1 della sentenza impugnata è annullato e riformato come segue: 
 
"I. L'appello 12 luglio 2001 di B.________ è parzialmente accolto. Di conseguenza la decisione 27 giugno 2001 del Segretario assessore della Pretura di Mendrisio-Sud è riformata come segue: 
1. L'istanza 14 maggio 1998 è parzialmente accolta. 
Di conseguenza A.________ S.A. è condannata a versare a B.________ fr. 11'935.75 lordi, oltre interessi al 5% dal 1° luglio 1998." 
Per il resto la sentenza impugnata è confermata. 
2. 
Non si preleva tassa di giustizia. 
3. 
Comunicazione ai patrocinatori delle parti e alla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
Losanna, 9 luglio 2002 
In nome della I Corte civile 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il presidente: La cancelliera: