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Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
2A.517/2006 /biz 
 
Sentenza del 22 gennaio 2007 
II Corte di diritto pubblico 
 
Composizione 
Giudici federali Merkli, presidente, 
Wurzburger, Müller, 
cancelliera Ieronimo Perroud. 
 
Parti 
A.A.________, 
ricorrente, patrocinato dall'avv. Patrick Untersee, 
 
contro 
 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona, 
Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, 
via Pretorio 16, casella postale, 6901 Lugano. 
 
Oggetto 
Rifiuto del rinnovo del permesso di dimora, rispettivamente del rilascio del permesso di domicilio, 
 
ricorso di diritto amministrativo contro la sentenza emessa il 6 luglio 2006 dal Tribunale amministrativo 
del Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
A. 
Dopo aver soggiornato in Svizzera al beneficio di permessi di dimora stagionali e/o temporanei dal 1991 al 1996 e poi, dal 1997 al 1998, nell'ambito di un primo ricongiungimento familiare (conclusosi con un divorzio pronunciato il 17 settembre 1999), A.A.________, cittadino della Bosnia-Erzegovina, è stato autorizzato a rientrare nel nostro Paese il 24 novembre 2000, siccome aveva dichiarato alle competenti autorità di essersi sposato il 15 dicembre 1999 a Knezevo, nel suo paese di origine, con la cittadina svizzera B.B.________. Per tal motivo gli è stato accordato un permesso di dimora, regolarmente rinnovato, l'ultima volta fino al 23 novembre 2005. Il matrimonio non essendo mai stato formalmente iscritto nel registro delle famiglie di Knezevo e, di riflesso, nemmeno trascritto nel registro civile del comune di attinenza della moglie, B.B.________ e A.A.________ si sono nuovamente uniti in matrimonio il 4 maggio 2002 a Zivinica, sempre in Bosnia-Erzegovina. 
Il 10 marzo 2005 il Pretore di Mendrisio-Nord ha autorizzato i coniugi A.________ a vivere separati. Interrogato il 16 novembre 2005 dalla Polizia cantonale sulla sua situazione matrimoniale, A.A.________ ha dichiarato di essersi sposato per amore, che la separazione dalla moglie, avvenuta nel marzo 2005, era dovuta a continue discussioni e che da allora aveva rivisto raramente la consorte. Sentita a sua volta il giorno dopo, B.A.________ ha affermato di non avere mai avuto una vera vita coniugale e di essersi sposata unicamente per permettere al marito di rimanere in Svizzera e dargli la possibilità di restituirle la somma di fr. 100'000.-- prestatagli tra il 1998 e il 2003. 
B. 
Considerata la premessa situazione, la Sezione dei permessi e dell'immigrazione del Dipartimento ticinese delle istituzioni ha rifiutato, il 7 dicembre 2005, di rinnovare il permesso di dimora di A.A.________ e gli ha fissato un termine con scadenza al 31 gennaio 2006 per lasciare il Cantone. Dopo aver osservato che, in seguito alla cessazione della convivenza, lo scopo per il quale il permesso di dimora annuale era stato rilasciato era venuto a mancare, la citata autorità ha rilevato che era manifestamente abusivo appellarsi al connubio per ottenere un'autorizzazione di soggiorno. 
 
C. 
Detta decisione è stata confermata su ricorso dapprima dal Consiglio di Stato ticinese, il 26 aprile 2006, e poi dal Tribunale cantonale amministrativo, con sentenza del 6 luglio 2006. La Corte ticinese ha rilevato innanzitutto, come già fatto dall'istanza precedente, che ufficialmente l'insorgente risultava sposato dal 4 maggio 2002, cioè da meno di cinque anni, motivo per cui non poteva pretendere al rilascio di un permesso di domicilio. Ha nondimeno precisato che, quand'anche si considerasse che l'interessato aveva beneficiato in buona fede di un'autorizzazione di soggiorno a partire dal 24 novembre 2000, malgrado ciò egli non poteva richiedere un permesso di domicilio, in quanto viveva separato dalla moglie dal mese di marzo 2005, cioè prima della scadenza del termine quinquennale previsto dalla legge per potere ottenere la citata autorizzazione, e che tale separazione era da considerarsi definitiva. I giudici cantonali hanno quindi ritenuto che era abusivo da parte dell'insorgente richiamarsi ad un matrimonio che sussisteva solo formalmente con l'unico scopo di ottenere un'autorizzazione di soggiorno. Infine hanno negato che questi potesse appellarsi all'art. 8 CEDU
D. 
L'8 settembre 2006 A.A.________ ha esperito dinanzi al Tribunale federale un ricorso di diritto amministrativo, con cui chiede che la sentenza cantonale sia annullata e che gli venga rilasciato un permesso di domicilio, rispettivamente di dimora. In via subordinata domanda il rinvio degli atti alla Corte cantonale per nuovo giudizio nel senso dei considerandi. Censura un accertamento manifestamente incompleto dei fatti determinanti nonché la violazione dell'art. 7 LDDS e del principio della proporzionalità. 
Chiamato ad esprimersi, il Tribunale cantonale amministrativo ha chiesto la conferma delle motivazioni e conclusioni del proprio giudizio. Da parte loro, il Consiglio di Stato e l'Ufficio federale della migrazione hanno postulato la reiezione del gravame. 
E. 
Con decreto presidenziale del 5 ottobre 2006 è stato concesso l'effetto sospensivo al gravame. 
 
Diritto: 
1. 
1.1 
Sebbene il 1° gennaio 2007 sia entrata in vigore la Legge sul Tribunale federale, del 17 giugno 2005 (LTF; RU 2006 1205), alla presente vertenza si applica tuttora la legge federale sull'organizzazione giudiziaria, del 16 dicembre 1943 ([OG], cfr. art. 132 cpv. 1 LTF). 
1.2 Il Tribunale federale si pronuncia d'ufficio e con pieno potere d'esame sull'ammissibilità del rimedio sottopostogli (DTF 131 II 58 consid. 1; 129 III 107 consid. 1 e rispettivi richiami). 
2. 
2.1 In materia di diritto degli stranieri, il ricorso di diritto amministrativo non è proponibile contro il rilascio o il rifiuto di un permesso di dimora o di domicilio, salvo laddove un diritto all'ottenimento di un simile permesso si fonda su una disposizione del diritto federale o di un trattato internazionale (art. 100 cpv. 1 lett. b n. 3 OG e art. 4 LDDS; DTF 130 II 281 consid. 2.1 e riferimenti). 
2.2 Conformemente all'art. 7 cpv. 1 prima frase LDDS, il coniuge straniero di un cittadino svizzero ha diritto al rilascio e alla proroga del permesso di dimora o di domicilio. Il rifiuto di rinnovare il permesso di dimora di cui beneficiava il ricorrente, tuttora sposato con una cittadina svizzera, rispettivamente di rilasciargli un permesso di domicilio, può quindi essere sottoposto al Tribunale federale mediante ricorso di diritto amministrativo (art. 100 cpv. 1 lett. b n. 3 OG a contrario). Sapere se questo diritto sussista ancora o sia invece decaduto in virtù delle eccezioni o delle restrizioni che discendono dall'art. 7 cpv. 2 LDDS e dall'abuso di diritto è per contro un problema di merito, no di ammissibilità (DTF 128 II 145 consid. 1.1.2 e rinvii). 
3. 
3.1 Il ricorrente rimprovera alla Corte cantonale di avere rifiutato di considerarlo sposato dal 15 dicembre 1999, fatto che sarebbe comprovato da un certificato matrimoniale figurante agli atti e datato 20 dicembre 1999, nonché di avere negletto che egli, in buona fede, risiede come persona sposata in Svizzera sin dal 24 novembre 2000. Egli dovrebbe pertanto essere considerato a tutti gli effetti sposato da oltre 6 anni, di cui almeno 5 trascorsi in Svizzera: misconoscendo questi elementi la decisione impugnata procederebbe quindi da un arbitrario accertamento dei fatti. La critica è inconferente. 
3.2 Riguardo alla questione del matrimonio, dai documenti trasmessi dal registro civile del comune di attinenza della moglie e figuranti agli atti, risulta che lo stesso è stato ufficialmente celebrato nel paese d'origine del ricorrente il 4 maggio 2002: orbene, oltre al fatto che non sono dati da vedere motivi che permetterebbero di rimettere in discussione questi documenti ufficiali e il loro contenuto, va osservato che le spiegazioni che questi ha fornito riguardo alle mancate iscrizione (nel suo paese d'origine) e trascrizione (in Svizzera) del suo primo preteso matrimonio non appaiono né convincenti né idonee a portare ad una modifica della situazione ufficiale attuale. 
Va poi osservato che, come emerge dalla sentenza cantonale, sebbene i giudici ticinesi abbiano ritenuto come data ufficiale del matrimonio quella del 4 maggio 2002, essi hanno nondimeno affrontato la questione di sapere se il ricorrente potesse, appellandosi al principio della buona fede, pretendere al rilascio di un permesso di domicilio, siccome egli era comunque stato autorizzato a ricongiungersi con la consorte il 24 novembre 2000 e che da allora aveva beneficiato di regolari autorizzazioni di soggiorno. Quesito che hanno poi lasciato indeciso, siccome quand'anche la citata data del 24 novembre 2000 fosse stata presa in considerazione, anche in tal caso il ricorso andava comunque respinto (cfr. sentenza impugnata consid. 1.3 in fine pag. 6 e consid. 4.4. pag. 7 segg.). 
3.3 Visto quanto precede è quindi a torto che il ricorrente censura un accertamento manifestamente inesatto e incompleto dei fatti determinanti. In queste condizioni i mezzi di prova (interrogatorio suo e di sua moglie, audizione di un vicino) da lui offerti a sostegno delle proprie affermazioni non appaiano di rilievo e non vanno pertanto assunti. 
4. 
I fatti accertati dalla Corte cantonale - i quali, come illustrato in precedenza, per quanto concerne gli elementi determinanti ai fini del giudizio, non sono manifestamente inesatti o incompleti - sono vincolanti per questa Corte (art. 105 cpv. 2 OG). Nella fattispecie emerge dalla sentenza querelata - ciò che peraltro il ricorrente non contesta - che dal mese di marzo 2005 la coppia, sposatasi nel 2002, vive separata, ognuno dei coniugi avendo organizzato autonomamente la propria vita. Orbene, riguardo a questa constatazione, il ricorrente non dimostra né fornisce la prova che vi sia la possibilità o perlomeno la volontà di entrambi i consorti di una ripresa della vita comune. In effetti, egli non ha presentato alcun elemento concreto che provi che vi sia un effettivo e reale ravvicinamento tra di loro come anche non ha dato alcuna indicazione su cosa e quanto avrebbe intrapreso per concretizzare la sua pretesa speranza di riconciliarsi con la moglie. In queste condizioni, non vi è nessun elemento agli atti che permette di ritenere che la separazione sia provvisoria, il ricorrente limitandosi a far menzione della sua intenzione di riprendere la vita coniugale interrotta. È quindi chiaro che non sussiste più né una vera e propria relazione sentimentale tra gli interessati né la volontà di entrambi i coniugi - al di là del semplice parlato - di una ripresa della vita comune. Di conseguenza, è dunque senza incorrere nella violazione del diritto federale che la Corte ticinese è giunta alla conclusione che il ricorrente, abusando dei diritti che gli derivano dall'art. 7 cpv. 1 LDDS, si richiamava ad un matrimonio esistente soltanto sulla carta al solo scopo di potere fruire dell'autorizzazione a soggiornare in Svizzera (sulla nozione di abuso di diritto, cfr. DTF 130 II 113 consid. 4.2; 128 II 145 consid. 2.2; 127 II 49 consid. 5a; 123 II 49 consid. 4 e 5). Alla stessa conclusione si giunge anche se si fonda sulla data del 24 novembre 2000 (cioè dal momento in cui il ricorrente, autorizzato a ricongiungersi con la pretesa moglie, ha beneficiato di permessi di dimora) dato che, come ben osservato nel giudizio contestato (cfr. sentenza cantonale consid. 4.4 pag. 8), la separazione della coppia è intervenuta prima della scadenza del termine quinquennale fissato dalla legge per poter pretendere al rilascio di un permesso di domicilio e quindi, per il ricorrente, per potere vivere definitivamente separato dalla consorte. 
In queste circostanze, il fatto che la separazione sia dovuta a fobie della moglie e sia avvenuta contro la volontà del ricorrente non è di rilievo ai fini del giudizio. 
5. 
Infine, il ricorrente non può nemmeno appellarsi all'art. 8 CEDU, che garantisce il rispetto della vita privata e familiare. Affinché tale norma sia applicabile occorre, secondo la prassi, che tra lo straniero che domanda un permesso di dimora e la persona della sua famiglia che beneficia del diritto di risiedere in Svizzera esista una relazione stretta, intatta ed effettivamente vissuta (DTF 127 II 60 consid. 1d/aa; 126 II 377 consid. 1b e riferimenti). Dal momento che, come osservato in precedenza, tali presupposti non sono in concreto adempiuti, il ricorrente non può quindi invocare detto disposto. 
6. 
Per il resto, si può rinviare ai pertinenti considerandi della sentenza contestata (art. 36a cpv. 3 OG), che vanno qui interamente condivisi, segnatamente per quanto concerne la proporzionalità del provvedimento contestato (cfr. sentenza cantonale impugnata, consid. 4.2 pag. 9). La causa, sufficientemente chiara, va decisa secondo la procedura semplificata di cui all'art. 36a OG
7. 
Le spese seguono la soccombenza (art. 156 cpv. 1, 153 e 153a OG). Non si assegnano ripetibili ad autorità vincenti (art. 159 cpv. 2 OG). 
 
Per questi motivi, visto l'art. 36a OG, il Tribunale federale pronuncia: 
1. 
Il ricorso è respinto. 
2. 
La tassa di giustizia di fr. 1'500.-- è posta a carico del ricorrente. 
3. 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino nonché all'Ufficio federale della migrazione. 
Losanna, 22 gennaio 2007 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
Il presidente: La cancelliera: