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Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
2A.513/2002 /viz 
 
Sentenza del 27 febbraio 2003 
II Corte di diritto pubblico 
 
Giudici federali Wurzburger, presidente, 
Betschart, Hungerbühler, Müller e Merkli, 
cancelliere Cassina. 
 
A.________, ricorrente, 
 
contro 
 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
residenza governativa, 6500 Bellinzona, 
Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, 
via Pretorio 16, casella postale, 6901 Lugano. 
 
ammonimento, 
 
ricorso di diritto amministrativo contro la decisione del 
9 settembre 2002 del Tribunale amministrativo del 
Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
A. 
A.________ (1954), cittadina italiana, è entrata in Svizzera il 12 luglio 1970, stabilendosi nel Cantone di Zurigo. Nel 1984 si è trasferita in Ticino dove ha svolto svariati lavori (operaia, cameriera, aiuto infermiera, ecc.). Dopo un infortunio alla schiena occorsole nel 1991 e un periodo d'inattività, ha iniziato a svolgere per conto proprio la professione di consulente terapeuta. In seguito ha chiesto l'assegnazione di una rendita d'invalidità. 
 
Da molti anni A.________ è al beneficio di un permesso di domicilio, il cui prossimo termine di controllo è fissato per il 6 marzo 2005. 
B. 
L'11 febbraio 2002 l'Ufficio ticinese dell'assistenza sociale e dell'inserimento ha comunicato alla Sezione dei permessi e dell'immigrazione del Cantone Ticino che a far tempo dal 1998 A.________ aveva percepito prestazioni per una somma di fr. 80'767,20 e beneficiava di un sussidio assistenziale di fr. 2'100.-- al mese. 
 
Preso atto di ciò, con decisione del 1° marzo 2002 la predetta autorità cantonale di polizia degli stranieri ha ammonito A.________, avvertendola che in caso di recidiva o di comportamento scorretto avrebbero potuto essere adottate nei suoi confronti adeguate misure amministrative, segnatamente l'espulsione o il rimpatrio. La decisione è stata resa sulla base degli art. 10 della legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri, del 26 marzo 1931 (LDDS; RS 142.20), 16 cpv. 3 della relativa ordinanza federale, del 1° marzo 1949 (ODDS; RS 142.201) e 3 del (nel frattempo abrogato) regolamento ticinese del 9 febbraio 1999 della legge di applicazione alla legislazione federale in materia di persone straniere (RLALPS). Tale pronuncia è poi stata confermata su ricorso dapprima dal Consiglio di Stato ed in seguito, con sentenza del 9 settembre 2002, dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino. 
C. 
Il 16 ottobre 2002 A.________ ha inoltrato davanti al Tribunale federale un ricorso di diritto amministrativo con il quale critica quest'ultima sentenza cantonale. 
 
Chiamato ad esprimersi, il Tribunale cantonale amministrativo si è riconfermato nel proprio giudizio senza formulare nessuna osservazione al gravame. Dal canto suo il Consiglio di Stato ticinese si è rimesso al giudizio di questa Corte. Per contro, l'Ufficio federale degli stranieri postula che il ricorso sia accolto. 
 
Diritto: 
1. 
Il Tribunale federale si pronuncia d'ufficio e con pieno potere d'esame sull'ammissibilità del rimedio sottopostogli (DTF 128 II 13 consid. 1a, 46 consid. 2a; 126 II 106 consid. 1 e riferimenti). 
1.1 Secondo costante giurisprudenza, contro una decisione di espulsione, rispettivamente, di minaccia di espulsione ai sensi dell'art. 10 cpv. 1 LDDS, è aperta la via del ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale (DTF 96 I 266 consid. 1; sentenza del Tribunale federale del 25 gennaio 1999 nella causa 2A.24/1999 consid. 2b). Ne discende che il presente gravame, esperito tempestivamente (art. 106 cpv. 1 OG) da una persona legittimata ad agire (art. 103 lett. a OG), è in linea di massima ammissibile. 
1.2 A norma dell'art. 108 cpv. 2 OG, il ricorso di diritto amministrativo deve contenere, tra l'altro, le conclusioni, i motivi e l'indicazione dei mezzi di prova. In merito alla motivazione del gravame occorre dire che, a differenza di quanto avviene per il ricorso di diritto pubblico, il Tribunale federale non pone delle esigenze troppo severe. È sufficiente che dall'allegato ricorsuale emerga perché e in quale misura la decisione impugnata è contestata. Non è necessario che la motivazione sia ineccepibile: essa deve però perlomeno riferirsi all'oggetto del litigio, pena l'inammissibilità del gravame (DTF 118 Ib 134 consid. 2 e rinvii; André Grisel, Traité de droit administratif, Neuchâtel 1984, pag. 915; Fritz Gygi, Bundesverwaltungsrechtspflege, 2a ed., Berna 1983, pag. 197). 
 
Nel caso concreto, per quanto attiene all'adempimento dei suddetti requisiti di motivazione, il gravame non appare ineccepibile. In effetti esso si riferisce solo in misura limitata all'argomentazione della sentenza querelata e non indica neppure quali norme giuridiche in materia di domicilio e dimora degli stranieri sarebbero state lese dalla precedente autorità di giudizio. Nondimeno, visto che si possono dedurre i motivi per i quali la sentenza cantonale è contestata e tenuto conto che la ricorrente agisce senza l'ausilio di un avvocato o di un mandatario professionale - motivo per il quale il contenuto dell'atto di ricorso può essere valutato con una certa indulgenza - l'impugnativa è comunque ammissibile anche da questo profilo. 
2. 
Con il rimedio esperito, la ricorrente può fare valere la violazione del diritto federale, compreso l'eccesso o l'abuso del potere d'apprezzamento, nonché la lesione dei diritti costituzionali (art. 104 lett. a OG); in quest'ultimo caso il ricorso di diritto amministrativo assume la funzione di ricorso di diritto pubblico (DTF 123 II 385 consid. 3, con rinvii). Quale organo della giustizia amministrativa, il Tribunale federale esamina d'ufficio l'applicazione del diritto federale (art. 114 cpv. 1 OG), senza essere vincolato dai considerandi della decisione impugnata o dai motivi invocati dalle parti. L'insorgente può inoltre censurare l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 104 lett. b OG). Considerato comunque che nel caso concreto la decisione impugnata emana da un'autorità giudiziaria, l'accertamento dei fatti da essa operato vincola il Tribunale federale, salvo che questi risultino manifestamente inesatti o incompleti oppure siano stati accertati violando norme essenziali di procedura (art. 105 cpv. 2 OG). 
3. 
3.1 Come esposto in narrativa, la ricorrente è stata ammonita e minacciata di espulsione o di rimpatrio in applicazione dell'art. 10 cpv. 1 lett. d LDDS, giusta il quale uno straniero può essere espulso dalla Svizzera o da un Cantone se egli stesso o una persona a cui deve provvedere, cade in modo continuo e rilevante a carico dell'assistenza pubblica, e dell'art. 16 cpv. 3 ODDS, il quale prevede che l'autorità può limitarsi a pronunciare una minaccia d'espulsione qualora l'espulsione in quanto tale, nonostante la sua legale fondatezza, non dovesse apparire opportuna in considerazione delle circostanze. Anche le istanze di ricorso cantonali adite dall'insorgente si sono in seguito occupate del provvedimento in parola esaminando il medesimo esclusivamente dal profilo della sua compatibilità con le disposizioni sopra menzionate. 
3.2 Sennonché nel caso di specie si deve tenere conto del fatto che il 1° giugno 2002 è entrato in vigore l'Accordo del 21 giugno 1999 tra la Comunità europea ed i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione Svizzera, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (ALC; RS 0.142.112.681). Questo trattato si rivolge ai cittadini svizzeri e a quelli degli Stati facenti parte della Comunità europea e disciplina il loro diritto di entrare, soggiornare, accedere a delle attività economiche e offrire la prestazione di servizi negli stati contraenti (art. 1 ALC), stabilendo delle norme che, di principio, derogano alle disposizioni di diritto interno (art. 1 LDDS nella sua nuova versione in vigore dal 1° giugno 2002). La ricorrente, che come detto è di nazionalità italiana, può in linea di massima prevalersi dei diritti sanciti dall'accordo in questione. 
 
Ora, come giustamente rilevato dall'Ufficio federale degli stranieri nelle sue osservazioni al gravame, i giudici cantonali, che si sono pronunciati sulla presente vertenza successivamente al 1° giugno 2002, avrebbero dovuto esaminare la situazione della ricorrente dal punto di vista del citato accordo, visto che con la sua entrata in vigore i cittadini comunitari che dispongono di un permesso di soggiorno di durata uguale o superiore ad un anno godono da subito dei diritti garantiti da questo trattato anche se titolari di un'autorizzazione rilasciata loro ancora in base alla legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri (art. 10 cpv. 5 ALC e art. 36 dell'ordinanza federale concernente l'introduzione graduale della libera circolazione delle persone tra la Confederazione svizzera e la Comunità europea e i suoi Stati membri nonché gli Stati membri dell'Associazione europea di libero scambio, del 22 maggio 2002 [OLCP; RS 142.203]; cfr. anche le Istruzioni e commenti dell'Ufficio federale degli stranieri concernenti l'introduzione graduale della libera circolazione delle persone tra la Confederazione svizzera e la Comunità europea e i suoi Stati membri [Istruzioni OLCP], § 15, pag. 68) e che, giusta l'art. 37 OLCP, il nuovo diritto era immediatamente applicabile alle procedure pendenti al 1° giugno 2002. D'altronde, non avrebbe alcun senso confermare un provvedimento come quello qui contestato, se la minaccia di allontanamento dal territorio svizzero da esso contemplata non potesse essere messa in atto per via delle disposizioni legali internazionali entrate in vigore nel corso di procedura. 
4. 
4.1 L'art. 5 cpv. 1 Allegato I ALC prevede, quale regola generale, che i diritti conferiti dalle disposizioni dell'accordo in questione possono essere limitati soltanto da misure giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità. Le direttive 64/221/CEE, 72/194/CEE e 75/35/CEE, nonché la prassi resa in materia dalla Corte di giustizia delle Comunità europee antecedentemente alla data della firma dell'accordo contribuiscono poi a definire la portata di questa disposizione (cfr. art. 16 cpv. 2 ALC e art. 5 cpv. 2 Allegato I ALC). Per quanto attiene ai lavoratori salariati e ai loro familiari, la mancanza di mezzi finanziari (sufficienti) non costituisce di per sé un motivo valido per ordinare delle misure d'allontanamento. Di principio queste persone non possono dunque più essere espulse o rimpatriate per i motivi previsti dall'art. 10 cpv. 1 lett. d LDDS: e questo perché un simile provvedimento costituirebbe una misura di carattere economico, non compresa tra quelle suscettibili di garantire l'ordine o la sicurezza pubblici (cfr. art. 2 cpv. 2 della direttiva 64/221/CEE), nonché per il fatto che il lavoratore e i suoi familiari godono degli stessi vantaggi fiscali e sociali dei lavoratori nazionali e quindi hanno di principio il diritto di percepire prestazioni assistenziali (art. 9 Allegato I ALC; Andreas Zünd, Beendigung der Anwesenheit, Entfernung und Fernhaltung, in Peter Uebersax/Peter Münch/ Thomas Geiser/Martin Arnold [a cura di], Ausländerrecht, Basilea/Ginevra/ Monaco, 2002, n. 6.41, pag. 229; Ulrich Wölker, in Hans von der Groeben/ Jochen Thiesing/Claus-Dieter Ehlersmann [a cura di], Kommentar zum EU-/ EG-Vertrag, 5a ed., Baden-Baden 1997, n. 102 e 103 ad art. 48 Trattato CE). 
 
Alla luce di quanto appena esposto, assume particolare importanza sapere in quali casi ad un soggetto giuridico può essere riconosciuta la qualità di lavoratore nel senso del termine sopra utilizzato. La Corte di giustizia delle Comunità europee ha precisato che dev'essere considerato tale il soggetto che esegue per un certo tempo, a favore di un'altra persona e sotto la direzione di questa, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una rimunerazione. La Corte ha aggiunto che, una volta cessato il rapporto di lavoro, l'interessato perde, in linea di principio, la qualità di lavoratore, fermo tuttavia restando che, da un lato, questa qualifica può produrre degli effetti dopo la cessazione del rapporto di lavoro e che, dall'altro, una persona all'effettiva ricerca di un impiego deve pure essere qualificata come un lavoratore (sentenze CdGE del 12 maggio 1998 nella causa Martinez Sala/Freistaat Bayern, C-85/96 Racc. 1998 I-2691, punto 32; 3 luglio 1986 Lawrie-Blum/Land Baden-Württemberg, 66/85, Racc. 1986 2121, punto 17). La Corte di giustizia delle Comunità europee ha considerato a più riprese che l'effetto utile dell'art. 39 del Trattato CE (ex art. 48) esige che venga concesso all'interessato un termine ragionevole in grado di consentirgli di prendere conoscenza, sul territorio dello Stato in cui si trova, delle offerte di lavoro corrispondenti alle sue qualifiche professionali e di adottare, se del caso, le misure necessarie al fine di essere assunto (sentenza CdGCE del 26 febbraio 1991 Antonissen, C-292/89, Racc. 1991 I-745, punto 16; sentenza CdGCE del 23 gennaio 1997 Tetik/Land Berlin, C-171/95, Racc. 1997 I-329, punto 27; sentenza CdGCE del 20 febbraio 1997 Commissione delle Comunità europee/ Regno del Belgio, C-344/95, Racc. 1997 I-1035, punto 16). Essa ha pure rilevato che, mancando una disposizione comunitaria volta a disciplinare la durata del soggiorno dei cittadini comunitari in cerca di occupazione, gli Stati membri hanno il diritto di fissare un termine ragionevole a tal fine. Un lasso di tempo di 6 mesi è stato considerato adeguato nel caso di un cittadino comunitario che mai aveva lavorato in precedenza nello Stato ospitante (sentenza CdGCE del 26 febbraio 1991 Antonissen, C-292/89, Racc. 1991 I-745, punto 21); per contro la Corte ha reputato insufficiente un termine di tre mesi (sentenza CdGCE del 20 febbraio 1997 Commissione delle Comunità europee/Regno del Belgio, C-344/95, Racc. 1997 I-1035, punto 18). Essa ha comunque pure rilevato che il diritto di soggiorno per cercare lavoro non può essere fatto valere per vari anni da una persona che non ha alcuna prospettiva di lavoro (cfr. sentenza CdGCE del 26 maggio 1993 Tsiotras/Landeshauptstadt Stuttgart, C-171/91, Racc. 1993 I−2925, punto 14). 
4.2 Il diritto di continuare a risiedere in Svizzera non è tuttavia riservato alle sole persone che, come appena illustrato, dispongono della qualifica di lavoratori. L'art. 4 cpv. 1 Allegato I ALC prescrive infatti che i cittadini di una parte contraente e i membri della loro famiglia hanno in linea di principio il diritto di rimanere sul territorio di un'altra parte contraente anche dopo avere cessato la loro attività economica. A questo proposito fanno stato, oltre alla prassi della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia, anche il regolamento CEE n. 1251/70 (per i lavoratori dipendenti) e la direttiva 75/34/CEE (per gli indipendenti). Da entrambe queste regolamentazioni emerge che hanno il diritto di rimanere in Svizzera al termine della loro attività lucrativa segnatamente i cittadini comunitari che hanno maturato il diritto alla pensione e quelli colpiti da inabilità permanente al lavoro (cfr. art. 2 cpv. 1 lett. a e b del suddetto regolamento e della suddetta direttiva CEE). 
5. 
Avuto riguardo di tutto quanto precede, nel caso di specie occorre innanzitutto considerare che, sulla scorta dei vari elementi agli atti, non è possibile determinare se alla ricorrente possa essere attribuita la qualità di lavoratrice nel senso sopra esposto del termine e se quindi ella disponga, in virtù di ciò, di un diritto derivante dal suddetto accordo che le consente di continuare a rimanere in Svizzera, malgrado la sua dipendenza economica dall'assistenza pubblica. In base alle prove agli atti sembrerebbe che ella non svolga più alcuna attività lucrativa stabile a partire dal 1998, anno in cui ha iniziato a ricevere prestazioni assistenziali. Tuttavia nulla permette di affermare con sufficiente sicurezza che ella non abbia più nessuna o volontà o possibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro, anche se per il vero il tempo trascorso senza svolgere alcuna attività lavorativa appare considerevole. In ogni caso su questo punto compete alle autorità cantonali fare le dovute verifiche e valutare nuovamente la situazione tenendo conto di quanto previsto dall'Accordo del 21 giugno 1999 tra la Comunità europea ed i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione Svizzera, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone. 
 
Ma anche volendo prescindere da ciò, si deve rilevare che, come accertato dalla precedente autorità di giudizio, la ricorrente aveva a suo tempo chiesto che le fosse riconosciuta una rendita d'invalidità. La domanda era però stata respinta in prima istanza. Risulta tuttavia dalle tavole processuali che in sede di ricorso il vicepresidente del Tribunale delle assicurazioni sociali del Cantone Ticino, con sentenza del 28 gennaio 2002, ha annullato tale decisione dell'Ufficio AI ed ha rinviato gli atti a quest'ultima autorità affinché determini nuovamente il grado d'incapacità lavorativa della ricorrente. Orbene, l'esito di questa procedura potrebbe avere delle conseguenze anche sulla questione di sapere se A.________ sia passibile di essere allontanata dalla Svizzera o meno. In effetti qualora la sua richiesta dovesse essere accolta, ella potrà senz'altro prevalersi del diritto di rimanere nel nostro Paese, sancito dal già menzionato art. 4 Allegato I ALC. Tuttavia, anche su questo punto la situazione di fatto non è del tutto chiara. In particolare non è dato a sapere se la procedura AI avviata dalla ricorrente sia giunta a conclusione e, in caso di risposta affermativa, quale sia stato il suo esito. 
 
Per tutti questi motivi si giustifica quindi di accogliere il gravame, di annullare la decisione impugnata e di rinviare gli atti alle autorità cantonali affinché le stesse effettuino i dovuti accertamenti e valutino la fattispecie alla luce delle nuove disposizioni internazionali ad essa applicabili. 
6. 
Visto l'esito del ricorso, si prescinde dal prelievo di una tassa di giustizia, dal momento che non si può considerare che lo Stato del Cantone Ticino sia intervenuto in causa per tutelare i suoi interessi pecuniari (art. 153 cpv. 1, 153a e 156 cpv. 2 OG). Nessuna indennità a titolo di ripetibili può essere assegnata alla ricorrente, avendo quest'ultima agito senza essere assistita da un patrocinatore legale (art. 159 cpv. 1 OG). 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è accolto e la decisione impugnata è annullata. Gli atti sono rinviati al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino per accertamenti e per nuovo giudizio ai sensi dei considerandi. 
2. 
Non si preleva tassa di giustizia. 
3. 
Comunicazione alla ricorrente, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, nonché all'Ufficio federale degli stranieri. 
Losanna, 27 febbraio 2003 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il presidente: Il cancelliere: