Bundesgericht
Tribunal fédéral
Tribunale federale
Tribunal federal
1C_28/2023
Sentenza del 29 gennaio 2024
I Corte di diritto pubblico
Composizione
Giudici federali Kneubühler, Presidente,
Müller, Merz,
Cancelliere Gadoni.
Partecipanti al procedimento
D.________ SA,
patrocinata dall'avv. Luca Pagani,
ricorrente,
contro
Comune di Mendrisio, via Municipio 13,
6850 Mendrisio,
rappresentato dal Municipio e
patrocinato dall'avv. Silvio Pestelacci,
Tribunale di espropriazione del Cantone Ticino, via Bossi 3, 6901 Lugano.
Oggetto
Espropriazione materiale,
ricorso in materia di diritto pubblico e ricorso sussidiario in materia costituzionale contro la sentenza emanata il 24 novembre 2022 dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (incarto n. 50.2019.3).
Fatti:
A.
La D.________ SA è proprietaria dal 22 dicembre 2016 dei fondi part. www, di 16'178 m2, e part. xxx, con una superficie di 544 m2, situati nel Comune di Mendrisio, Sezione di Rancate. In precedenza, i fondi appartenevano alla B.________ SA (dal 20 giugno 2003) e prima ancora a C.________ AG. Essi fanno parte del comparto "Valera", un comprensorio di oltre 160'000 m2, che si estende nei quartieri di Rancate, Ligornetto e Genestrerio del Comune di Mendrisio. Su questi fondi, e su altri facenti parte del comparto, sorgevano dagli anni successivi al 1960 diversi grandi serbatoi per lo stoccaggio e la distribuzione di idrocarburi. Gli impianti sono stati smantellati nel corso dell'anno 2000 a seguito della cessazione dell'attività delle imprese allora proprietarie dei fondi.
Il 14 maggio 1981 l'allora Comune di Rancate (ora aggregato al Comune di Mendrisio) ha adottato il primo piano regolatore, che prevedeva in particolare l'attribuzione dei suddetti fondi alla zona industriale J2. Il piano regolatore è stato approvato dal Consiglio di Stato del Cantone Ticino per una parte il 21 dicembre 1983 e, per quanto concerne l'inserimento del comparto in questione nella zona industriale J2, il 14 dicembre 1988, dopo che erano state risolte delle problematiche relative ai tracciati stradali che ostavano alla definizione dei limiti delle zone.
B.
Con decisione del 9 luglio 2002, il Consiglio di Stato ha approvato la revisione del piano regolatore di Rancate, abrogando quello precedente. Riguardo al comparto di "Valera", per il quale il Comune aveva adottato una zona per il deposito di idrocarburi, ha sospeso la decisione di approvazione. Il 6 maggio 2003 il Consiglio di Stato ha definitivamente negato l'approvazione alla proposta del Comune di istituire la zona per il deposito di idrocarburi, imponendo l'elaborazione di una variante. Il 7 maggio 2007, il Municipio di Rancate ha adottato una zona di pianificazione per la durata di cinque anni, poi prorogata di ulteriori due anni. Dal 2002 non è quindi più stata in vigore una pianificazione per il comparto di "Valera".
C.
Con istanza del 28 giugno 2012, la B.________ SA, allora proprietaria dei fondi, ha promosso una procedura di espropriazione materiale segnatamente contro il Comune di Mendrisio dinanzi al Tribunale di espropriazione, chiedendo un'indennità di fr. 8'361'000.--, oltre interessi al 5 % dal 9 luglio 2002, per la restrizione della proprietà a partire dal 2002. La pretesa corrisponde ad un importo di fr. 500.-- il m2 ed equivarrebbe al valore di mercato dei fondi. Il Comune si è opposto all'istanza, che il Tribunale di espropriazione ha respinto con sentenza dell'8 marzo 2019.
D.
Adito dalla D.________ SA, il Tribunale cantonale amministrativo ha respinto il ricorso con sentenza del 24 novembre 2022. La Corte cantonale ha essenzialmente ritenuto che il piano regolatore del 1983/1988 non era conforme alla LPT (RS 700), sicché il mancato inserimento dei fondi nella zona edificabile nel 2002 non costituiva un dezonamento, bensì un rifiuto di attribuzione alla zona edificabile. Ha in seguito negato l'adempimento dei presupposti di un caso di espropriazione materiale.
E.
La D.________ SA impugna questa sentenza con un ricorso in materia di diritto pubblico e un ricorso sussidiario in materia costituzionale al Tribunale federale. Chiede, in via principale, di annullare il giudizio impugnato e di riconoscerle un'indennità per espropriazione materiale di fr. 8'361'000.-- oltre interessi del 5 % dal 9 luglio 2002. In via subordinata, chiede che gli atti siano rinviati alla Corte cantonale per la determinazione dell'indennità per espropriazione materiale. La ricorrente fa valere l'accertamento inesatto dei fatti, la violazione dell'art. 5 cpv. 2 LPT e degli art. 9, 26, 29, 35 e 36 Cost.
Non è stato ordinato uno scambio di scritti, ma è stato richiamato l'incarto cantonale.
Diritto:
1.
La sentenza impugnata è una decisione cantonale di ultima istanza che nega alla ricorrente un'indennità per espropriazione materiale derivante da una restrizione della proprietà fondata su una misura pianificatoria secondo l'art. 5 cpv. 2 LPT. Essa può essere oggetto di un ricorso in materia di diritto pubblico giusta gli art. 82 segg. LTF (cfr. art. 34 cpv. 1 LPT). Quale proprietaria dei fondi, che sostiene essere colpiti da espropriazione materiale, la ricorrente è legittimata a ricorrere in applicazione dell'art. 89 cpv. 1 LTF. Il ricorso in materia di diritto pubblico, tempestivo (art. 100 cpv. 1 in relazione con l'art. 46 cpv. 1 lett. c LTF) e diretto contro una decisione finale (art. 90 LTF), resa da un'autorità cantonale di ultima istanza (art. 86 cpv. 1 lett. d LTF), è di principio ammissibile. Non vi è pertanto spazio per un ricorso sussidiario in materia costituzionale (art. 113 LTF), che deve di conseguenza essere dichiarato inammissibile.
2.
2.1. Conformemente a quanto stabilito dagli art. 95 e 96 LTF , il ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale può essere presentato per violazione del diritto. Secondo l'art. 42 cpv. 2 LTF, nel ricorso occorre spiegare per quali ragioni l'atto impugnato viola il diritto. La ricorrente deve quindi confrontarsi con le considerazioni esposte nella sentenza impugnata, spiegando per quali motivi tale giudizio lede il diritto (DTF 142 I 99 consid. 1.7.1). Il Tribunale federale esamina in linea di principio solo le censure sollevate; esso non è tenuto a vagliare, come lo farebbe un'autorità di prima istanza, tutte le questioni giuridiche che si pongono, se queste ultime non sono presentate nella sede federale (DTF 146 IV 297 consid. 1.2; 134 II 244 consid. 2.1). Il Tribunale federale fonda inoltre il suo ragionamento giuridico sull'accertamento dei fatti svolto dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Secondo l'art. 97 cpv. 1 LTF, la ricorrente può censurare l'accertamento dei fatti soltanto se è stato svolto in modo manifestamente inesatto, vale a dire arbitrario (DTF 147 I 73 consid. 2.2; 143 I 310 consid. 2.2), o in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF e l'eliminazione del vizio può essere determinante per l'esito del procedimento. La ricorrente può quindi censurare l'arbitrio nell'accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove, ma deve motivare la censura in modo chiaro e preciso, conformemente alle esigenze poste dall'art. 106 cpv. 2 LTF (DTF 148 II 392 consid. 1.4.1; 147 I 73 consid. 2.2; 143 IV 500 consid. 1.1; 142 III 364 consid. 2.4).
2.2. Nella misura in cui la ricorrente critica in modo generale la decisione impugnata, senza confrontarsi specificatamente con i considerandi della stessa, spiegando con una motivazione puntuale per quali ragioni violerebbero il diritto, il gravame non adempie gli esposti requisiti di motivazione e non può quindi essere vagliato nel merito. In particolare, l'esposto dei fatti e dell'iter procedurale (da pag. 4 a pag. 10 del ricorso) non è per sua natura idoneo a correggere o a precisare gli accertamenti contenuti nella sentenza impugnata, dei quali non è sostanziata l'arbitrarietà (cfr. sentenza 1C_534/2021 del 24 agosto 2022 consid. 2.2 e rinvio). Il ricorso è parimenti inammissibile laddove la ricorrente invoca dei diritti fondamentali, quali il diritto di essere sentito e il principio della buona fede, senza tuttavia motivare le relative censure in modo conforme alle esigenze accresciute dell'art. 106 cpv. 2 LTF. In particolare, laddove critica genericamente il rifiuto delle istanze cantonali di assumere ulteriori mezzi di prova, la ricorrente si limita ad accennare all'audizione di imprecisati testimoni. Non si confronta con il considerando n. 1.2 della sentenza impugnata, in cui la Corte cantonale ha indicato di rinunciare ad assumere determinate prove sulla base di un apprezzamento anticipato della loro irrilevanza, ritenendo ch'esse non erano determinanti per la causa. La garanzia del diritto di essere sentito non impedisce infatti all'autorità di procedere a un apprezzamento anticipato delle prove richieste e rinunciare ad assumerle, se è convinta che non potrebbero condurla a modificare il suo giudizio. Nell'ambito di questa valutazione, le spetta un ampio margine di apprezzamento e il Tribunale federale interviene solo in caso di arbitrio (DTF 147 IV 534 consid. 2.5.1; 144 II 427 consid. 3.1.3; 141 I 60 consid. 3.3). Come detto, la ricorrente non spiega puntualmente le ragioni per cui il rifiuto della Corte cantonale di assumere determinate prove supplementari violerebbe in concreto il suo diritto di essere sentita e il divieto dell'arbitrio.
3.
3.1. La ricorrente sostiene che il vuoto pianificatorio conseguente alla revisione del piano regolatore approvata il 9 luglio 2002 dal Consiglio di Stato, che ha abrogato il precedente piano regolatore, costituirebbe un dezonamento costitutivo di espropriazione materiale. Adduce che il piano regolatore previgente (del 1983/1988) sarebbe stato conforme alla LPT, essendo posteriore alla sua entrata in vigore e trovandosi i fondi in questione inseriti in una zona edificabile con contenuti industriali-commerciali, urbanizzati e già utilizzati secondo la destinazione pianificatoria prevista. La ricorrente evidenzia altresì come il vuoto pianificatorio abbia ormai raggiunto una durata superiore ai 20 anni, la quale sarebbe di per sé tale da fondare una pretesa d'indennizzo per espropriazione materiale per il sacrificio particolare subito. Secondo la ricorrente, il sovradimensionamento del piano regolatore del 1983/1988 non sarebbe rilevante, giacché non avrebbe riguardato la zona industriale J2, approvata dal Governo e all'epoca già occupata da serbatoi petroliferi e relative infrastrutture. Reputa altresì inattendibili i dati riguardanti i posti di lavoro indicati nella decisione governativa del 21 dicembre 1983 per valutare la contenibilità del piano regolatore. Rileva che anche la mancata approvazione della zona per il deposito di idrocarburi da parte del Consiglio di Stato con le decisioni del 9 luglio 2002 e del 6 maggio 2003 non si fonderebbe su un asserito sovradimensionamento delle zone per il lavoro.
3.2.
3.2.1. In virtù degli art. 5 cpv. 2 LPT e art. 26 cpv. 2 Cost., per le restrizioni della proprietà equivalenti a espropriazione derivanti da misure pianificatorie è dovuta piena indennità. Secondo la giurisprudenza, vi è espropriazione materiale quando l'uso attuale o il prevedibile uso futuro di una cosa è vietato o limitato in modo particolarmente grave, tale che il proprietario è privato di una delle facoltà essenziali derivanti dal diritto di proprietà. Una limitazione di minore importanza può ugualmente costituire un'espropriazione materiale, se essa colpisce uno solo o un numero limitato di proprietari, al punto che, fosse negato l'indennizzo, essi dovrebbero sopportare un sacrificio eccessivamente gravoso e incompatibile con il principio d'uguaglianza. In entrambi i casi, il miglior uso del fondo può essere preso in considerazione solo se, nel momento determinante, che coincide con l'entrata in vigore del provvedimento restrittivo, appare molto probabile in un avvenire prossimo. Quale miglior uso futuro viene di regola considerata la possibilità di costruire: al riguardo deve essere tenuto conto di tutti gli elementi di fatto e di diritto da cui tale possibilità dipende (cfr. DTF 131 II 151 consid. 2.1, 728 consid. 2 e rispettivi rinvii).
3.2.2. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, si è in presenza di un rifiuto di attribuire il fondo alla zona edificabile ("Nichteinzonung") quando l'autorità adotta per la prima volta un piano di utilizzazione conforme alle esigenze del diritto federale, segnatamente della LPT, entrata in vigore il 1° gennaio 1980, e non inserisce il fondo in alcuna zona edificabile. Al riguardo è irrilevante che il terreno in discussione fosse edificabile secondo il diritto previgente. Il rifiuto di attribuire un fondo alla zona edificabile non attua, di massima, i presupposti di un'espropriazione materiale e non dà quindi luogo a indennità (DTF 131 II 728 consid. 2.1 e rinvii). Ciò vale non soltanto nel caso della revisione di un piano di utilizzazione emanato prima dell'entrata in vigore della LPT, ma anche nell'ambito dell'adattamento di un piano adottato sotto l'egida della LPT, ma non rispettoso dei principi pianificatori del diritto federale (sentenze 1C_332/2022 del 13 luglio 2023 consid. 3.6.2, destinata a pubblicazione; 1C_416/2021 del 30 giugno 2022 consid. 7; 1C_280/2016 del 4 gennaio 2017 consid. 2.3 e rinvii). Un risarcimento spetta al proprietario soltanto in casi eccezionali, qualora, di regola cumulativamente, il suo terreno sia edificabile o almeno dotato delle infrastrutture di urbanizzazione primaria, sia compreso nel perimetro di un piano generale delle canalizzazioni conforme alla legge e il proprietario abbia già sopportato rilevanti spese per l'urbanizzazione e l'edificazione del terreno stesso. Anche considerazioni legate alla protezione della buona fede possono imporre l'inclusione di un fondo in una zona edificabile. Inoltre, una siffatta esigenza può sussistere quando il fondo sia situato in un comprensorio già largamente edificato secondo il previgente art. 15 lett. a LPT (RU 1979 1573). Le esposte circostanze permettono, in linea di massima, di ritenere che al momento determinante il proprietario potesse contare sul fatto che un'edificazione del suo fondo fosse realizzabile con grande probabilità in un futuro prossimo (DTF 132 II 218 consid. 2.2; 125 II 431 consid. 3b e 4a e rinvii; sentenza 1C_314/2016 del 13 settembre 2016 consid. 2.2, in: RtiD I-2017, pag. 126 segg.).
È per contro dato un dezonamento ("Auszonung"), che comporta di regola un obbligo d'indennizzo, quando una particella già inserita nella zona edificabile sulla base di una pianificazione conforme alla LPT, ne venga successivamente esclusa, attribuendola a una zona non edificabile (DTF 131 II 728 consid. 2.3 e rinvii).
3.3. La Corte cantonale ha rilevato che la data determinante per valutare l'esistenza di un'espropriazione materiale è di principio quella dell'entrata in vigore della restrizione della proprietà (DTF 132 II 218 consid. 2.4). Ha inoltre ricordato che, secondo la giurisprudenza, un divieto temporaneo di costruire non dà di principio luogo a indennità per espropriazione materiale, riservato il caso in cui la restrizione della proprietà risulti grave per il fatto che si protrae per una lunga durata. Deve essere esaminato sulla base delle circostanze concrete del singolo caso se l'intensità della restrizione equivalga a un'espropriazione materiale (DTF 123 II 481 consid. 9 pag. 497; 121 II 317 consid. 12d/bb pag. 347; 120 Ib 465 consid. 5e pag. 473; sentenze 1C_98/2010 del 13 agosto 2010 consid. 2.3.2; 1C_510/2009 del 14 luglio 2010 consid. 4.1, in: RDAF 2010 I pag. 518 segg.).
Nella fattispecie, la Corte cantonale ha accertato che con l'abrogazione del piano regolatore del 1983/1988, avvenuta nel 2002, i fondi della ricorrente non sono stati assoggettati ad una pianificazione definitiva, vigendo per contro un vuoto pianificatorio (cfr. sentenza 1C_71/2018 del 3 giugno 2019 consid. 2.4, in: RtiD I-2020 pag. 177 segg.). La Corte cantonale ha nondimeno rilevato che, sotto il profilo pratico, il vuoto pianificatorio si è tradotto in una restrizione di lunga durata della facoltà di costruire. Sui fondi in questione è in sostanza stata impedita la possibilità di costruire a partire dal 2002, sicché tale limitazione è stata durevole, oltrepassando chiaramente i 10 anni. La Corte cantonale ha quindi esaminato la restrizione della proprietà alla stregua di una limitazione definitiva a far tempo dalla data del luglio del 2002, vagliando se erano realizzati i presupposti di un'espropriazione materiale. Questo modo di procedere non è contestato dalla ricorrente che riconosce anzi come la Corte cantonale abbia rettamente esaminato il provvedimento analogamente a una restrizione definitiva della proprietà a partire dal 2002. Non censurate di violazione del diritto, queste considerazioni possono essere condivise. L'oggetto del litigio verte quindi sulla questione di sapere se il vuoto pianificatorio derivante dall'abrogazione del piano regolatore del 1983/1988 e dal conseguente mancato inserimento dei fondi in una zona edificabile adempie i presupposti di un'espropriazione materiale alla data determinante del luglio 2002.
3.4. La ricorrente sostiene che il previgente piano regolatore (del 1983/1988) sarebbe stato conforme alla LPT, siccome è stato adottato ed approvato dopo l'entrata in vigore della stessa. Come visto, per ammettere una simile conformità non è sufficiente che il piano di utilizzazione sia stato adottato formalmente sotto l'egida della LPT, ma occorre (anche) che rispetti le norme e i principi pianificatori del diritto federale materiale. Al riguardo, la Corte cantonale ha rettamente rilevato che dalla decisione di approvazione del piano regolatore, del 21 dicembre 1983, risulta che la zona edificabile era sovradimensionata, essendo stata definita in modo eccessivo per lo sviluppo prevedibile nei successivi 10-15 anni (cfr. art. 15 lett. b vLPT). I giudici cantonali hanno infatti accertato, in modo conforme agli atti, che a fronte di 1'709 unità insediative rilevate nel 1980, il piano regolatore ne avrebbe permesso complessivamente 3'587 (recte: 3'567) all'orizzonte 1990, con un incremento del 108 %.
La ricorrente sminuisce la rilevanza del citato sovradimensionamento, adducendo ch'esso non riguarderebbe la zona industriale J2. Tuttavia, affinché sia data la conformità alla LPT, la pianificazione deve rispettare le esigenze di tale legge nella sua globalità e non soltanto con riferimento a singole particelle (DTF 121 II 417 consid. 3d). Contrariamente alla tesi della ricorrente, in concreto la conformità alla LPT del piano regolatore del 1983/1988 non può essere ammessa settorialmente, in modo circoscritto al comparto di "Valera". Peraltro, i citati dati concernenti le unità insediative comprendono esplicitamente, oltre agli abitanti, anche i "posti lavoro" (551 nella situazione esistente nel 1980 con una previsione di 1'540 nel 1990). Se presi a sé stanti, implicano un incremento nel periodo 1980-1990 ancora maggiore (pari al 180 %) rispetto all'aumento delle unità insediative complessive. Ciò conferma il sovradimensionamento del piano regolatore anche con riferimento ai posti di lavoro. La ricorrente si limita ad addurre genericamente che tali dati sarebbero inattendibili, ma non ne sostanzia l'arbitrarietà con una motivazione conforme alle esigenze dell'art. 106 cpv. 2 LTF. Quanto ai dati contenuti nella decisione di approvazione della revisione del piano regolatore, del 9 luglio 2002, che danno atto nella situazione accertata nel 1990 di complessive 2'434 unità insediative (1'264 abitanti e 1'170 posti lavoro), essi confortano la conclusione secondo cui la zona edificabile del previgente piano regolatore era sovradimensionata. Si tratta infatti di numeri chiaramente inferiori rispetto a quelli della contenibilità prevista dal piano iniziale. Peraltro, risulta dalla decisione governativa del 9 luglio 2002 che anche il piano regolatore revisionato era sovradimensionato. Alla luce di quanto esposto, la Corte cantonale ha rettamente concluso che la zona edificabile del piano regolatore del 1983/1988 era sovradimensionata e pertanto non conforme alla LPT. Ha quindi ritenuto a ragione che il vuoto pianificatorio determinato dalla decisione del 9 luglio 2002 del Consiglio di Stato, convalidata da quella del 6 maggio 2003, non realizza gli estremi di un dezonamento dei fondi della ricorrente, bensì di un rifiuto di attribuirli alla zona edificabile.
4.
4.1. La ricorrente ritiene adempiuti i presupposti per riconoscerle un risarcimento anche nel caso di un rifiuto di attribuire i fondi alla zona edificabile. Adduce che le particelle erano edificabili e dotate delle infrastrutture di urbanizzazione primaria, erano ubicate nel perimetro del piano generale delle canalizzazioni (PGC) del 1985 ed erano state oggetto di spese considerevoli sia per la loro urbanizzazione, sia in vista della loro edificazione. Riguardo ai costi notevoli sostenuti, la ricorrente richiama l'investimento di complessivi fr. 2'880'000.-- per l'acquisto dei fondi nel 2003 fondandosi in buona fede sulle decisioni del 9 luglio 2002 e del 6 maggio 2003 del Consiglio di Stato. Sostiene che il prezzo della compravendita terrebbe conto dell'esistente urbanizzazione delle particelle e della loro idoneità all'edificazione. Poco importa, a suo dire, che le opere di urbanizzazione siano state realizzate per servire la precedente attività dei depositi petroliferi, trattandosi di infrastrutture ancora più performanti rispetto a quelle di una zona industriale ordinaria. Secondo la ricorrente, il comparto in questione potrebbe essere facilmente riutilizzato per delle nuove attività industriali senza che sia necessario eseguire ulteriori opere di urbanizzazione, disponendo già persino di un binario di raccordo alla rete ferroviaria.
4.2. Nelle spese per l'urbanizzazione e l'edificazione del terreno rientrano essenzialmente gli investimenti di natura edilizia volti a migliorare l'urbanizzazione del fondo ed a predisporlo oggettivamente e concretamente per la realizzazione delle costruzioni. Semplici spese di pianificazione e di progettazione, così come quelle di acquisto del terreno e quelle compiute quando esiste ancora un rischio oggettivo che la costruzione non si possa realizzare, non sono determinanti in quest'ambito (sentenza 1C_314/2016, citata, consid. 2.5.2).
4.3. La Corte cantonale ha rilevato che i costi sopportati in passato per l'urbanizzazione dei fondi non erano mai stati quantificati né sostanziati dalla ricorrente. Tali costi erano in ogni modo funzionali alla precedente attività di stoccaggio degli idrocarburi, di cui gli attuali proprietari (tra cui la ricorrente) non potevano più prevalersi, l'attività essendo cessata ben prima della decisione governativa di approvazione del piano regolatore del luglio 2002. La Corte cantonale ha quindi rilevato che gli investimenti eseguiti dai precedenti proprietari non erano avvenuti in vista dell'edificazione ulteriore dei fondi, bensì per l'esercizio della passata attività legata al deposito degli idrocarburi, frattanto cessata. Ha quindi ritenuto che difettava un nesso causale tra tali costi e la mancata possibilità di edificare i fondi a seguito del rifiuto di attribuirli alla zona edificabile. La precedente istanza ha inoltre negato che detti costi potessero essere considerati come considerevoli, giacché essi erano stati sostenuti in un passato non più recente. Ha altresì rilevato che a ciò nulla mutava il fatto che un'altra proprietaria di fondi contigui (A.________ SA) aveva pagato un importo di fr. 300'000.-- per l'adeguamento ai nuovi standard ferroviari di un binario ferroviario privato: la spesa, fatturata l'11 aprile 2008, era peraltro successiva alla decisione del luglio 2002 che aveva comportato il vuoto pianificatorio.
4.4. La ricorrente non si confronta puntualmente con queste considerazioni e non contesta in modo specifico il diniego del nesso di causalità. Essa richiama essenzialmente il prezzo di acquisto dei terreni nel 2003 (fr. 2'880'000.--), adducendo ch'esso considererebbe l'esistente urbanizzazione dei fondi. Sostiene inoltre di avere eseguito l'investimento fondandosi sulle decisioni governative del 2002/2003.
Premesso che con le decisioni del 9 luglio 2002 e del 6 maggio 2003 il Consiglio di Stato non ha approvato l'inserimento dei fondi nella zona edificabile proposta dal Comune, la ricorrente disattende che, secondo la giurisprudenza, il prezzo di acquisto del terreno non rientra nelle spese per l'urbanizzazione e l'edificazione del terreno (DTF 119 Ib 124 consid. 4a/aa; sentenza 1C_70/2008 del 22 giugno 2009 consid. 6.2.2). Certo, nella misura in cui le spese di urbanizzazione sono state sostenute dal venditore e si sono manifestate sul prezzo della compravendita, il compratore può appellarsi all'eventuale affidamento fatto dal suo predecessore in diritto (DTF 125 II 431 consid. 5b pag. 435; sentenza 1C_70/2008, citata, consid. 6.2.2). In concreto, la Corte cantonale ha accertato che i serbatoi per lo stoccaggio e la distribuzione degli idrocarburi esistevano dalla seconda metà degli anni '60 e sono stati demoliti nel corso della prima metà del 2000 in seguito alla cessazione dell'attività delle imprese allora proprietarie dei fondi. Questi accertamenti non sono censurati d'arbitrio e sono quindi vincolanti per il Tribunale federale (art. 105 cpv. 1 LTF). Gli invocati investimenti e i relativi costi eseguiti in passato per l'urbanizzazione dei fondi sono riconducibili alle precedenti attività legate al deposito e al commercio di carburanti e non sono quindi in relazione con l'impossibilità di edificare i fondi a seguito della loro mancata attribuzione alla zona edificabile alla data determinante del luglio 2002. A ragione la Corte cantonale ha negato l'esistenza di un nesso causale tra le spese addotte, relative all'urbanizzazione originaria, e il provvedimento suscettibile di costituire un'espropriazione materiale (cfr. sentenza 1C_70/2008, citata, consid. 6.2.1 con riferimento alla sentenza 1A.72/2003 del 4 novembre 2003 consid. 4.2.3). La ricorrente non sostanzia per contro specificatamente l'esistenza di spese rilevanti in connessione con un'eventuale riedificazione dei fondi sulla quale avrebbe fatto affidamento. Quanto ai costi del binario di raccordo, la ricorrente non censura d'arbitrio gli accertamenti della Corte cantonale secondo cui la spesa è successiva alla data determinante ed è stata sostenuta da un'altra proprietaria. In tali circostanze, la Corte cantonale non ha quindi nemmeno violato il divieto dell'arbitrio e il diritto di essere sentita della ricorrente per non avere ordinato, ritenendola superflua, una perizia volta a determinare il valore delle opere eseguite in passato per l'urbanizzazione dei fondi. Alla luce di quanto esposto, non risulta quindi realizzata una delle condizioni, che devono essere adempiute cumulativamente, per riconoscere in via eccezionale un caso di espropriazione materiale. Non occorre pertanto esaminare se, come sostiene la ricorrente, i fondi erano sufficientemente urbanizzati e validamente compresi nel PGC.
5.
5.1. La ricorrente sostiene che nel luglio del 2002 i suoi fondi appartenevano al comprensorio già largamente edificato, lo smantellamento dei depositi petroliferi essendo in quel momento ancora in corso di esecuzione. Adduce inoltre che il comparto "Valera" confina con delle zone ampiamente edificate in territorio di Genestrerio e di Ligornetto.
5.2. La nozione di terreni già edificati in larga misura giusta il previgente art. 15 lett. a LPT (e l'art. 36 cpv. 3 LPT) è intesa in modo restrittivo dalla giurisprudenza e comprende essenzialmente il territorio edificato in modo compatto, oltre eventualmente singole particelle inedificate al suo interno, direttamente confinanti con la zona edificata, in genere già urbanizzate e di superficie relativamente ridotta (DTF 132 II 218 consid. 4.1-4.2; 122 II 326 consid. 6a-c/aa, 455 consid. 6a). La questione di sapere se un fondo appartenga al comprensorio già largamente edificato deve essere valutata con riferimento alla situazione del territorio, non limitandosi alla singola particella, ma tenendo conto dell'insieme della struttura insediativa esistente (DTF 132 II 218 consid. 4.1).
5.3. La Corte cantonale ha accertato che i fondi della ricorrente e quelli contigui di altri proprietari toccati e parimenti ricorrenti (A.________ SA e comunione ereditaria E.E.________) sono di dimensioni notevoli (circa 85'000 m2). A seguito della rimozione dei serbatoi petroliferi per la cessazione delle attività legate allo stoccaggio e al commercio di idrocarburi, i fondi si presentano come sostanzialmente inedificati dal 2002. I giudici cantonali hanno riconosciuto che è ancora presente qualche residuo edilizio risalente alla precedente attività, ma hanno ritenuto la circostanza insufficiente per potere considerare il comparto come costruito. Hanno rilevato che la zona è situata al centro di un'ampia superficie verde agricola relativamente libera da costruzioni nella piana del Mendrisiotto, costituita dalla campagna Adorna e dalla campagna di Ligornetto, situata tra i quartieri di Mendrisio e di Rancate, a nord-est, e di Ligornetto e Genestrerio, a sud-ovest, in posizione marginale e periferica rispetto agli insediamenti circostanti. La Corte cantonale ha altresì accertato che il comparto è attraversato dal fiume Laveggio e dalla sua golena ed ha concluso che, per le sue dimensioni e caratteristiche, il comprensorio in questione costituisce un'area verde autonoma rispetto al territorio circostante.
Questi accertamenti non sono censurati d'arbitrio con una motivazione conforme alle esigenze dell'art. 106 cpv. 2 LTF e sono pertanto vincolanti per il Tribunale federale. Adducendo essenzialmente che nel luglio del 2002 i lavori di smantellamento dei depositi petroliferi presenti su una particella (yyy) non erano ancora stati ultimati, la ricorrente non considera la situazione, le dimensioni e le caratteristiche complessive del comparto e non mette seriamente in discussione l'accertata sostanziale inedificazione dello stesso. Laddove richiama in modo generico la presenza di zone intensamente edificate in territorio di Genestrerio e di Ligornetto, la ricorrente non considera le ampie dimensioni e la posizione del comparto "Valera", che, valutato nel suo complesso, costituisce un'ampia area prevalentemente inedificata, a sé stante e staccata dalle zone edificate circostanti. In tali condizioni, la conclusione della Corte cantonale secondo cui i fondi della ricorrente non rientrano in un comprensorio già largamente edificato ai sensi del previgente art. 15 lett. a LPT deve essere confermata. Il generico richiamo della ricorrente ad una presa di posizione del Comune di Mendrisio che, in un altro contesto, si sarebbe espresso in senso opposto, non permette di per sé di sovvertire tale conclusione, fondata su accertamenti specifici e motivati.
6.
6.1. Invocando il principio della buona fede, la ricorrente adduce che il comportamento dell'autorità nell'ambito del processo pianificatorio ha fondato in lei l'aspettativa che i fondi sarebbero stati attribuiti alla zona edificabile. Sostiene che le decisioni del 9 luglio 2002 e del 6 maggio 2003 del Consiglio di Stato costituirebbero assicurazioni in tal senso, considerato altresì che il contenuto delle stesse sarebbe stato consolidato anche a livello di piano direttore. Richiama al riguardo la scheda n. 10.5 del previgente piano direttore (PD 90), che qualificava il comparto di "Valera" ove erano situati i depositi di idrocarburi quale "area da riqualificare o riconvertire". La ricorrente adduce che, sulla base di tali assicurazioni, i fondi sono stati acquistati ad un prezzo di fr. 2'880'000.--. Ritiene inoltre che i considerandi della sentenza 1C_71/2018 del 3 giugno 2019, concernente l'espropriazione formale di una superficie di un fondo vicino (part. zzz) per la sistemazione dello svincolo autostradale di Mendrisio sulla A2, sarebbero irrilevanti per il giudizio sul caso in esame, giacché in quella causa era determinante la data del 2 maggio 2013.
6.2. Secondo la giurisprudenza, gli antefatti dell'adozione di un piano di utilizzazione possono assumere una rilevanza tale da suscitare la fondata aspettativa di un'attribuzione del fondo a una zona edificabile. In particolare, la pianificazione dell'urbanizzazione o l'esecuzione di una procedura di raggruppamento dei terreni possono giustificare l'affidamento nel fatto che il terreno interessato verrà attribuito dal nuovo piano di utilizzazione alla zona edificabile. Anche in assenza di assicurazioni concrete, che potrebbero imporre un obbligo di azzonamento in virtù del principio della buona fede, una simile attribuzione può essere dedotta dalle specifiche circostanze del processo pianificatorio (DTF 132 II 218 consid. 6.1). Gli antefatti pianificatori e la tutela della buona fede non conferiscono tuttavia a un proprietario fondiario un diritto incondizionato all'inserimento del suo fondo in una zona edificabile. La giurisprudenza ammette che l'attuazione dei principi della pianificazione del territorio prevale sulla stabilità di un piano del diritto previgente. È innanzitutto rilevante sapere se il processo pianificatorio comprenda una serie di eventi volti ad un azzonamento del comprensorio. L'invocazione di interessi legati alla protezione della buona fede presuppone inoltre che non si prospetti una collisione con l'interesse alla corretta applicazione del diritto oggettivo, segnatamente ad una pianificazione conforme alla LPT (DTF 132 II 218 consid. 6.1; sentenza 1C_314/2016, citata, consid. 4.2).
6.3. La Corte cantonale ha accertato che dagli atti non risulta alcuna precisa promessa o assicurazione data alla ricorrente o ai suoi predecessori in diritto dall'autorità competente riguardo all'effettiva edificabilità dei fondi nel comparto "Valera". Per quanto concerne le tappe del processo pianificatorio, la Corte cantonale ha riconosciuto che il Comune aveva adottato nel 2000 una zona edificabile destinata al deposito di idrocarburi, la cui approvazione era però stata negata dal Consiglio di Stato con le decisioni del 9 luglio 2002 e del 6 maggio 2003, siccome ritenuta incoerente con gli indirizzi del piano dei trasporti del Mendrisiotto, in seguito ripresi nel primo piano d'agglomerato del Mendrisiotto (PAM1) del 2007, che la definiva quale "area di riconversione e riqualificazione": ciò non tanto per il fatto che si prevedeva allora di rendere inedificabile il comprensorio di "Valera", quanto piuttosto perché la pianificazione superiore era orientata anche ad altre attività industriali e commerciali, non soltanto al commercio di idrocarburi. Richiamando la citata sentenza 1C_71/2018, la Corte cantonale ha tuttavia rilevato che, accanto al grande potenziale di conversione edilizia dell'area in questione, vi era una necessità di riqualifica in termini naturalistici (considerata la presenza del fiume Laveggio), paesaggistici e di svago. Ha precisato che ciò escludeva in misura importante una sua utilizzazione meramente industriale o artigianale. La Corte cantonale ha rilevato che, nel 2002 e negli anni seguenti, in considerazione dell'indeterminatezza dei contenuti del comparto e delle chiare indicazioni di un suo recupero sotto il profilo paesaggistico e naturalistico (tenuto conto dell'esistenza del fiume Laveggio e delle aree golenali e boschive), la ricorrente doveva in buona fede escludere un'importante utilizzazione industriale o artigianale dei fondi. La precedente istanza ha rilevato ch'essa ha acquisito i fondi in assenza di una pianificazione vincolante (vuoto pianificatorio) e che la pianificazione superiore indicava a quel momento solo un grado di consolidamento di "risultato intermedio", che non escludeva a priori un'attribuzione a una zona di protezione del paesaggio o di svago. In sostanza, vigeva allora un'indeterminatezza significativa a livello pianificatorio e nessuna decisione delle autorità competenti ha garantito agli interessati la possibilità concreta di edificare. La Corte cantonale ha concluso che, in tali circostanze, la ricorrente non poteva ritenere che l'edificabilità dei suoi fondi sarebbe stata confermata con grande probabilità anche in futuro.
6.4. La ricorrente non si confronta specificatamente con l'insieme delle esposte argomentazioni e con gli accertamenti su cui si fondano. Non sostanzia quindi d'arbitrio con una motivazione conforme alle esigenze dell'art. 106 cpv. 2 LTF i fatti accertati, né spiega puntualmente, in conformità con l'art. 42 cpv. 2 LTF, le ragioni per cui il giudizio impugnato violerebbe il diritto. Essa richiama essenzialmente le decisioni del 9 luglio 2002 e del 6 maggio 2003 del Consiglio di Stato. Nelle stesse, l'autorità cantonale non ha però approvato la zona di deposito idrocarburi adottata dal Comune. Il Governo ha rilevato che tale destinazione, considerata altresì la cessazione dell'attività legata al commercio dei carburanti e lo smantellamento dei relativi impianti, non era coerente con gli indirizzi del concetto di organizzazione territoriale che la definivano come "area di riconversione e di riqualificazione". Ha quindi ritenuto che la pianificazione del comparto doveva essere rivista e ridefinita, prospettando al riguardo la possibilità per il Comune di adottare nel frattempo una zona di pianificazione. Contrariamente alla tesi della ricorrente, le decisioni governative non contengono ingiunzioni vincolanti riguardo all'inserimento dei suoi fondi in una determinata zona edificabile. In particolare, l'autorità cantonale non ha confermato la destinazione artigianale, industriale e commerciale prospettata dall'allora proprietaria in sede di ricorso contro la revisione del piano regolatore, rilevando altresì che il comparto rivestiva un'importanza di carattere regionale. Quanto alla zona per il deposito di idrocarburi inizialmente prevista dal Comune, la ricorrente riconosce come tale destinazione non fosse più giustificata dopo lo smantellamento degli impianti a seguito della cessazione dell'attività di stoccaggio e di commercio di tali prodotti. Peraltro, dalla decisione del 9 luglio 2002 risulta altresì che (anche) il nuovo piano delle zone edificabili del Comune di Rancate era da considerarsi "abbondantemente sovradimensionato", ciò che costituiva una manifesta incongruenza con i principi degli art. 15 e 24 LPT e con il piano direttore cantonale, ragione per cui dovevano essere esclusi gli interventi comportanti un'estensione del perimetro dell'area edificabile (cfr. decisione del Consiglio di Stato del 9 luglio 2002, pag. 19; sentenza 1C_71/2018, citata, consid. 3.2). Quanto all'accennata definizione di "area di riconversione e di riqualificazione" prevista dalla pianificazione superiore, essa ha una portata generica e contempla comunque anche interventi di riqualifica sotto il profilo del paesaggio. Contrariamente a quanto sembra ritenere la ricorrente, richiamando la sentenza 1C_71/2018, la Corte cantonale non si è poi fondata sulla situazione al 2 maggio 2013, ma ha fatto riferimento a considerazioni di quel giudizio che riportavano anche la situazione esistente prima di quella data. La precedente istanza ha quindi rettamente rilevato che, in concreto, vigeva già nel 2002 una situazione di indeterminatezza sulla pianificazione del comparto in questione. Come visto, esso non rientra nel comprensorio largamente edificato, è di estensione notevole e riveste una portata autonoma rispetto al territorio circostante, essendo altresì caratterizzato dal fiume Laveggio, aree golenali ed ampie superfici "verdi". Ciò non consentiva di escludere una riqualifica del comparto pure sotto il profilo paesaggistico. Ricordato che non risulta che l'autorità abbia rilasciato alla ricorrente concrete assicurazioni vincolanti sull'azzonamento dei suoi fondi, le esposte circostanze del processo pianificatorio non potevano in buona fede condurla a ritenere ch'essi sarebbero stati inseriti in una zona edificabile.
6.5. Il ricorso è infine inammissibile laddove la ricorrente elenca una serie di circostanze che avrebbero fondato l'aspettativa di un'attribuzione dei suoi fondi alla zona edificabile (ricorso, punto n. 17, pag. 37 segg.). Essa si limita infatti a riprendere sommariamente degli argomenti già esposti in precedenza, senza confrontarsi in modo specifico con i considerandi della sentenza impugnata spiegando puntualmente le ragioni per cui violerebbero il diritto. Laddove richiama un avviso cantonale del 16 giugno 2004 relativo ad una domanda di costruzione per la demolizione di serbatoi ancora presenti su un fondo vicino, la ricorrente si fonda su un atto concernente una procedura edilizia, successivo al 2002 e al processo pianificatorio, e pertanto non determinante per il giudizio sulla causa in esame. Il generico richiamo a imprecisati contributi di costruzione che sarebbero stati versati in passato da precedenti proprietari, come pure al valore di stima dei fondi e ad incerte dichiarazioni rilasciate dall'autorità comunale, non consentono di sovvertire la suddetta conclusione. La ricorrente non si confronta peraltro con l'accertamento della Corte cantonale secondo cui i contributi di costruzione sono stati pagati negli anni '80, erano "modestissimi" nel loro ammontare e sono stati parzialmente restituiti dall'autorità comunale nel 2003. Né sono decisive per il trattamento pianificatorio dei fondi, segnatamente per la loro attribuzione o meno alla zona edificabile, considerazioni di natura fiscale come quelle concernenti i valori di stima quali terreni edificabili (DTF 119 Ib 124 consid. 4c/bb pag. 138).
7.
7.1. Richiamando il criterio del sacrificio particolare ("Sonderopfer"), la ricorrente critica in modo sommario il considerando in cui la Corte cantonale ha addotto ch'esso non entrava di principio in considerazione nella fattispecie.
7.2. Come si è detto, una restrizione della proprietà di minore importanza può costituire un'espropriazione materiale, se essa colpisce uno solo o un numero limitato di proprietari, al punto che, fosse negato l'indennizzo, essi dovrebbero sopportare un sacrificio eccessivamente gravoso e incompatibile con il principio d'uguaglianza (cfr. consid. 3.2.1). Premesso che la ricorrente non spiega puntualmente in che misura la situazione di altre particelle sarebbe analoga a quella dei suoi fondi, la nozione di sacrificio particolare presuppone di massima l'esistenza, al momento determinante, di un assetto pianificatorio conforme al diritto federale, che permetta al proprietario di continuare a utilizzare senza limitazione il fondo o di farne un migliore uso in un avvenire prossimo: essa non si riferisce quindi a un caso, come nella fattispecie, di mancata attribuzione alla zona edificabile di fondi per i quali non sia dato un obbligo di inserirveli (DTF 119 Ib 138 consid. 6 pag. 147, sentenza 1C_416/2021, citata, consid. 10.2 e rinvii). La Corte cantonale ha quindi rettamente applicato questa giurisprudenza, sicché la censura deve essere respinta nella misura della sua ammissibilità.
8.
8.1. Ne segue che il ricorso sussidiario in materia costituzionale deve essere dichiarato inammissibile, mentre il ricorso in materia di diritto pubblico deve essere respinto nella misura della sua ammissibilità.
8.2. Le spese giudiziarie seguono la soccombenza e sono quindi poste a carico della ricorrente (art. 66 cpv. 1 LTF). Secondo la prassi, una causa in materia di espropriazione materiale è trattata quale controversia con interesse pecuniario ai sensi dell'art. 65 cpv. 3 lett. b LTF (cfr. sentenze 1C_416/2021, citata, consid. 12.1; 1C_473/2017 del 3 ottobre 2018 consid. 5 e rinvii). In concreto, l'ammontare della tassa di giustizia tiene quindi conto del valore litigioso, conformemente alla tariffa delle tasse di giustizia del Tribunale federale, del 31 marzo 2006 (RS 173.110.210.1). Considera inoltre che l'oggetto della vertenza era limitato alla questione dell'esistenza dell'espropriazione materiale e non concerneva la fissazione dell'indennità espropriativa.
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
1.
Il ricorso sussidiario in materia costituzionale è inammissibile.
2.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso in materia di diritto pubblico è respinto.
3.
Le spese giudiziarie di fr. 10'000.-- sono poste a carico della ricorrente.
4.
Comunicazione ai patrocinatori delle parti, al Tribunale di espropriazione e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino.
Losanna, 29 gennaio 2024
In nome della I Corte di diritto pubblico
del Tribunale federale svizzero
Il Presidente: Kneubühler
Il Cancelliere: Gadoni