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Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 1/2} 
1P.145/2005 /biz 
 
Sentenza del 17 marzo 2005 
I Corte di diritto pubblico 
 
Composizione 
Giudici federali Féraud, presidente, 
Nay, Eusebio, 
cancelliere Crameri. 
 
Parti 
Paolo Clemente Wicht, 
Giuliano Bignasca, 
ricorrenti, 
 
contro 
 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino. 
 
Oggetto 
data della votazione popolare sul referendum contro 
la modifica del 14 dicembre 2004 della legge tributaria 
 
ricorso di diritto pubblico contro la decisione del 
23 febbraio 2005 del Consiglio di Stato del Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
A. 
Il 14 dicembre 2004 il Gran Consiglio del Cantone Ticino, nell'ambito del preventivo 2005, ha modificato la legge tributaria del 21 giugno 1994, adottando i nuovi articoli 309b, 314b e 314c. Contro questa modifica, pubblicata sul Foglio Ufficiale del Cantone Ticino n. 102 del 21 dicembre 2004, è stata presentata una domanda di referendum, che ha raccolto 8995 firme valide. Il 14 febbraio 2005 la Cancelleria dello Stato ha pubblicato sul Foglio Ufficiale n. 14 del 18 febbraio 2005 il risultato della domanda, dichiarandone la riuscita. 
B. 
Il 17 febbraio 2005, la Cancelleria dello Stato ha emanato un comunicato stampa, informando i cittadini che la votazione popolare sulla domanda di referendum avrebbe avuto luogo l'8 maggio 2005, unitamente a quella sull'iniziativa popolare denominata "I soldi ci sono", lanciata il 22 marzo 2004 dal Movimento per il socialismo, ed eventualmente anche a quella riguardante due progetti di aggregazione comunale approvati dal Parlamento il 25 gennaio 2005. 
 
Con scritto del 21 febbraio 2005 Paolo Clemente Wicht e Gianfranco Soldati, come pure Giuliano Bignasca e Attilio Bignasca, quali presidenti rispettivamente capigruppo dell'UDC e della Lega dei Ticinesi, hanno chiesto al Consiglio di Stato di sottoporre il referendum al più presto al popolo e comunque nei termini legali di sessanta giorni dalla pubblicazione dell'esito della domanda, come previsto dalla legge. Con lettera del 23 febbraio 2005, l'Esecutivo cantonale ha rilevato che il termine di sessanta giorni sarebbe un puro termine d'ordine. Ha aggiunto che il suo superamento, allo scopo di tener conto di eventuali altri oggetti che potrebbero essere sottoposti a votazione popolare, non lederebbe del resto la normativa cantonale. 
C. 
Avverso questa determinazione, Paolo Clemente Wicht e Giuliano Bignasca hanno presentato, il 25 febbraio 2005, un ricorso di diritto pubblico secondo gli art. 85 lett. a e 84 cpv. 1 lett. a OG al Tribunale federale, chiedendo di annullarla. Sostengono che il termine di sessanta giorni avrebbe una valenza imperativa e che, comunque, il suo superamento sarebbe costitutivo di un diniego di giustizia. 
Il Consiglio di Stato, con osservazioni del 9 marzo 2005, propone, in via principale, di dichiarare irricevibile il rimedio esperito e, in via subordinata, di respingerlo in quanto ricevibile. 
 
Diritto: 
1. 
1.1 Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione l'ammissibilità dei ricorsi che gli vengono sottoposti, senza essere vincolato, in tale ambito, dagli argomenti delle parti o dalle loro conclusioni (DTF 130 II 65 consid. 1). 
1.2 Nella risposta al ricorso, il Consiglio di Stato sostiene che il gravame sarebbe inammissibile poiché la comunicazione governativa del 23 febbraio 2005 non costituirebbe una decisione impugnabile. Fa valere che un ricorso rivolto contro la data stabilita dal Governo per la votazione popolare su una domanda di referendum potrebbe essere interposto, semmai, soltanto contro il decreto di convocazione delle assemblee dei Comuni, conformemente a quanto stabilito dall'art. 145 cpv. 3 della legge ticinese sull'esercizio dei diritti politici, del 7 ottobre 1998 (LEDP), secondo cui, se il numero di firme è raggiunto, il Consiglio di Stato fissa la data della votazione. 
 
La tesi, speciosa, non può manifestamente essere seguita. In effetti, il Consiglio di Stato non contesta del tutto che la data stabilita per la votazione sia effettivamente l'8 maggio 2005. Nel comunicato stampa del 17 febbraio 2005 della Cancelleria dello Stato si riferisce infatti di "decisione governativa" e del fatto che il Consiglio di Stato è consapevole che la scelta dell'8 maggio difficilmente permetterà alle cittadine e ai cittadini di beneficiare della possibilità del voto per corrispondenza. Né l'Esecutivo cantonale, che nella risposta rileva espressamente che la votazione è stata "prefissata" per la data litigiosa, fa valere che intenderebbe fissarne un'altra, se del caso entro il termine di sessanta giorni, ciò che renderebbe privo d'oggetto il gravame. È quindi a ragione che, nella fattispecie, i ricorrenti hanno impugnato tempestivamente quest'atto che, secondo loro, non rispetterebbe il corretto esercizio della volontà popolare (DTF 121 I 357 consid. 2c). 
 
1.3 I ricorrenti, con un unico allegato, presentano un ricorso di diritto pubblico per violazione del diritto di voto secondo l'art. 85 lett. a OG e, parrebbe, un ricorso di diritto pubblico per violazione dei diritti costituzionali dei cittadini ai sensi dell'art. 84 cpv. 1 lett. a OG
1.4 La loro legittimazione, pacifica riguardo al ricorso per violazione del diritto di voto, in quanto cittadini attivi nel Cantone Ticino (DTF 130 I 290 consid. 1.2, 121 I 357 consid. 2a), non lo è affatto per quanto concerne l'altro rimedio. Al riguardo, i ricorrenti, tenuti ad addurre i fatti a sostegno della loro legittimazione e a dimostrarla (DTF 125 I 173 consid. 1b, 253 consid. 1c, 120 Ia 227 consid. 1, 115 Ib 505 consid. 2 pag. 508 in alto; cfr. anche DTF 130 IV 43 consid. 1.4), si limitano semplicemente a richiamare l'art. 84 cpv. 1 lett. a OG e ad addurre un'asserita interpretazione arbitraria di norme costituzionali e legislative cantonali, senza minimamente precisare perché la decisione impugnata violerebbe, in maniera personale, i loro interessi giuridicamente protetti. 
1.4.1 La legittimazione a interporre un ricorso di diritto pubblico si definisce unicamente sulla base dell'art. 88 OG, senza riguardo alla circostanza che il ricorrente avesse, in sede cantonale, qualità di parte (DTF 125 I 253 consid. 1b, 118 Ia 112 consid. 2a). Questa norma attribuisce il diritto di ricorrere ai privati o agli enti collettivi lesi nei loro diritti da decreti o decisioni che li riguardano personalmente o che rivestono carattere obbligatorio generale. Nel caso di una decisione concreta, tale legittimazione spetta unicamente a chi è toccato nei suoi interessi giuridicamente tutelati, vale a dire, di regola, in quegli interessi privati ai quali il diritto costituzionale assicura la protezione (DTF 129 I 217 consid. 1 e rinvii). L'art. 88 OG esclude l'azione popolare a tutela dell'interesse generale; il ricorso di diritto pubblico non è infatti destinato a salvaguardare interessi meramente fattuali né quelli pubblici di portata generale (DTF 130 I 82 consid. 1.3, 121 I 267 consid. 2). 
1.4.2 La semplice appartenenza a un'autorità quale suo membro, segnatamente al Gran Consiglio nel caso di specie, non conferisce, conformemente alla costante prassi, una posizione personale giuridicamente protetta ai sensi dell'art. 88 OG, in gioco essendo la tutela di compiti pubblici e il funzionamento degli organismi pubblici o politici non potendo costituire oggetto di un ricorso di diritto pubblico secondo l'art. 84 cpv. 1 lett. a OG, previsto per la tutela di diritti individuali (DTF 123 I 41 consid. 5c/aa e 5c/ee, 121 I 252 consid. 1a, 112 Ia 174 consid. 3a; sentenza 1P.730/1999 del 9 giugno 2000, consid. 2, apparsa in RDAT II-2000, n. 65, pag. 246). Secondo la costante giurisprudenza, il divieto dell'arbitrio (art. 9 Cost.), richiamato dai ricorrenti, non conferisce, da solo, una posizione giuridica protetta ai sensi dell'art. 88 OG (DTF 129 I 113 consid. 1.5, 217 consid. 1.3, 126 I 81). 
 
Ne segue che il ricorso per violazione dei diritti costituzionali dei cittadini è inammissibile per carenza di legittimazione. 
1.5 Per costante giurisprudenza, anche i ricorsi per violazione dei diritti politici e i ricorsi relativi alle elezioni e votazioni cantonali sottostanno alle stesse esigenze procedurali degli altri ricorsi di diritto pubblico; il ricorso deve pertanto precisare in che consista la violazione delle norme giuridiche e dei diritti costituzionali invocati (art. 90 cpv. 1 lett. b OG; DTF 129 I 185 consid. 1.6, 121 I 334 consid. 1b, 357 consid. 2d). Nell'ambito di un ricorso di diritto pubblico il Tribunale federale statuisce infatti unicamente sulle censure sollevate e solo quando siano sufficientemente motivate: il ricorso deve quindi contenere un'esauriente motivazione giuridica, dalla quale si possa dedurre se, perché ed eventualmente in quale misura la decisione impugnata leda il ricorrente nei suoi diritti costituzionali (DTF 130 I 26 consid. 2.1, 129 I 113 I consid. 2.1, 127 I 38 consid. 3c). 
1.6 Nei ricorsi fondati sull'art. 85 lett. a OG il Tribunale federale esamina con piena cognizione le norme costituzionali federali e cantonali, nonché le disposizioni del diritto cantonale di rango inferiore, che sono in stretta relazione con il diritto di voto o ne precisano il contenuto o la portata (DTF 129 I 185 consid. 2, 123 I 41 consid. 6b, 120 Ia 194 consid. 2). Esso esamina invece l'applicazione del restante diritto cantonale e l'accertamento dei fatti solo con cognizione limitata all'arbitrio (DTF 121 I 334 consid. 2b). In casi di interpretazione manifestamente dubbia, il Tribunale federale si attiene all'opinione espressa dall'istanza cantonale superiore (DTF 121 I 357 consid. 3). Esso non deve inoltre ricercare d'ufficio motivi non invocati o non sufficientemente sostanziati nel ricorso (DTF 121 I 357 consid. 3d; sentenza 1P.150/2003 del 5 dicembre 2003, consid. 1.2, apparso in RtiD I-2004, n. 48, pag. 159). 
2. 
2.1 Nella fattispecie i ricorrenti censurano un'applicazione arbitraria dell'art. 46 Cost./TI, secondo il cui capoverso 1 le votazioni in materia di iniziativa, di referendum e di revoca del Consiglio di Stato devono aver luogo entro sessanta giorni dalla pubblicazione nel Foglio ufficiale del risultato della domanda, rispettivamente dalla conclusione delle deliberazioni del Gran Consiglio; la votazione popolare deve aver luogo in ogni caso al più tardi entro due anni dalla pubblicazione nel Foglio ufficiale del risultato della domanda di iniziativa (cpv. 2). L'art. 146 LEDP recita che le votazioni in materia di referendum devono aver luogo entro sessanta giorni dalla pubblicazione nel Foglio ufficiale dei risultati della domanda (cpv. 1). 
I ricorrenti sostengono che gli art. 46 cpv. 1 Cost./TI e 146 cpv. 1 LEDP non avrebbero carattere potestativo e che, nella misura in cui fissano un termine preciso, assumerebbero una valenza imperativa. Essi aggiungono che, quand'anche si trattasse di disposizioni ordinative come sostenuto dal Consiglio di Stato, la data litigiosa oltrepasserebbe di gran lunga il lasso di tempo massimo di sessanta giorni, lo spirito e lo scopo della legge in materia di referendum imponendo tempi assai brevi; il criticato superamento non sarebbe ragionevolmente tollerabile e integrerebbe pertanto gli estremi di un diniego formale di giustizia. 
2.2 Nella risposta al ricorso il Consiglio di Stato sostiene che il termine di sessanta giorni dell'art. 46 Cost./TI è manifestamente un termine d'ordine, che avrebbe quindi una valenza essenzialmente politica; esso, in virtù della costante prassi cantonale, potrebbe quindi essere ragionevolmente oltrepassato senza incorrere in un diniego formale di giustizia. 
2.3 La libertà di voto e di elezione garantisce al cittadino elettore che siano riconosciuti solo i risultati elettorali corrispondenti in modo affidabile e non falsato alla volontà dell'elettore liberamente espressa (art. 34 cpv. 2 Cost.; DTF 130 I 290 consid. 3, 129 I 232 consid. 4.2, 125 I 441 consid. 2a, 124 I 55 consid. 2a). 
2.4 Certo, di primo acchito, il tenore letterale degli art. 46 cpv. 1 Cost./TI e 146 cpv. 1 LEDP parrebbe non escludere il carattere perentorio dei termini predisposti, ritenuto altresì che un'eccezione è prevista espressamente soltanto per le domande di iniziativa, nell'ambito delle quali la votazione deve aver luogo in ogni caso al più tardi entro due anni dalla pubblicazione sul Foglio ufficiale del risultato della domanda (art. 46 cpv. 2 Cost./TI; sull'interpretazione di norme giuridiche vedi DTF 129 I 12 consid. 3.3, 128 II 56 consid. 4, 66 consid. 4a, 128 I 34 consid. 3b). 
2.5 I ricorrenti, limitandosi a sostenere, in maniera del tutto generica, che queste norme non avrebbero un carattere potestativo, ma una valenza imperativa, non dimostrano tuttavia, con un'argomentazione conforme all'art. 90 cpv. 1 lett. b OG, che la tesi governativa, secondo cui il termine di sessanta giorni ha un carattere ordinatorio e quindi una valenza essenzialmente politica, lederebbe la Costituzione. Inoltre, nel loro scritto del 21 febbraio 2005 al Consiglio di Stato, i ricorrenti medesimi hanno semplicemente contestato, ritenendola ingiustificata, una proroga dei termini di così ampia proporzione, ammettendo espressamente che detto termine non fosse perentorio. La censura ricorsuale sull'asserita perentorietà del termine litigioso, oltre al mancato rispetto del principio della buona fede processuale, sarebbe nuova e quindi inammissibile: nella procedura di ricorso di diritto pubblico non si possono infatti addurre, di massima, fatti nuovi, far valere nuove censure o produrre nuovi documenti (DTF 129 I 49 consid. 3, 120 Ib 20 consid. 5c, 118 Ia 20 consid. 5a, 114 Ia 204 consid. 1a; Walter Kälin, Das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, 2a ed., Berna 1994, pag. 369). Non si è d'altra parte in presenza di un argomento giuridico completamente nuovo addotto dal Consiglio di Stato, al quale i ricorrenti non potevano prevedere di essere confrontati (vedi, al riguardo, DTF 128 V 272 consid. 5b/bb, 125 II 265 consid. 4d/cc pag. 277 e rinvii, 124 I 49 consid. 3c). 
2.6 Il Tribunale federale ha già avuto occasione di esprimersi sulla natura di questi termini nell'ambito di una causa analoga, inoltrata dal ricorrente Bignasca, sulla quale i ricorrenti non si esprimono, concernente il mancato rispetto del termine previsto dall'art. 16 cpv. 4 della previgente legge sull'iniziativa popolare, sul referendum e sulla revoca del Consiglio di Stato, del 22 febbraio 1954 (LIRR), che imponeva al Gran Consiglio, nel caso di un'iniziativa legislativa presentata in forma generica, di pronunciarsi entro un anno dalla pubblicazione del risultato della raccolta delle firme. In quella causa il citato termine era stato ampiamente superato. Il Tribunale federale aveva ritenuto che si trattava di un termine d'ordine (sentenza 1P.375/1998 del 23 novembre 1998, apparsa in RDAT I-1999 n. 1, pag. 1; della stessa opinione anche Sandro Crespi, Pareri giuridici al Consiglio di Stato, in RDAT 1980, pag. 35 a 37 e Marco Borghi, La loi en droit tessinois, in: Andreas Auer/Walter Kälin, editori, La loi en droit public cantonal, Coira, 1991, pag. 295 segg., pag. 297). 
2.7 Dal rapporto del 9 giugno 1997 della Commissione speciale Costituzione e diritti politici sul messaggio 20 dicembre 1994 concernente il progetto di revisione totale della Costituzione ticinese, si evince che per l'art. 46 Cost./TI, pur riconoscendogli un carattere ordinatorio, la Commissione ha nondimeno inserito una formula obbligatoria al fine di una maggiore garanzia per i proponenti (edizione speciale RDAT 1997, pag. 47 all'art. 44). 
2.8 Giova in ogni modo rilevare che anche un termine d'ordine non è sprovvisto di qualsiasi efficacia. Esso ha in effetti una certa valenza politica. L'autorità potrebbe infatti esporsi al rimprovero di commettere un diniego di giustizia formale, qualora non rispettasse in maniera abusiva un siffatto termine (DTF 100 Ia 53 consid. 5b pag. 56). 
3. 
3.1 Riguardo all'asserito diniego di giustizia, i ricorrenti sostengono che la data litigiosa supererebbe di gran lunga il termine legale di sessanta giorni, ciò che non rientrerebbe nel quadro di una ragionevole tolleranza, a maggior ragione visto che il decreto è parte integrante della manovra finanziaria varata nel contesto del preventivo 2005. 
3.2 Commette diniego di giustizia l'autorità che rifiuti di occuparsi del compito devolutole o di dargli seguito. Lo commette egualmente l'autorità che prolunghi in modo inabituale la trattazione di un oggetto rientrante nella sua competenza, senza che circostanze particolari giustifichino il ritardo (DTF 108 Ia 165 consid. 2b pag. 168 e rinvii, 101 Ia 492 consid. 5, 100 Ia 53 consid. 5b pag. 56). 
3.3 Nella fattispecie, il termine in discussione è stato sorpassato di 19 giorni. Ciò, come risulta dall'impugnata decisione governativa del 23 febbraio 2005, per tener conto di eventuali altri oggetti che potrebbero essere sottoposti in votazione popolare. Ora, i ricorrenti, disattendendo le esigenze di motivazione dell'art. 90 OG, non contestano la fondatezza di queste considerazioni, né dimostrano perché si dovrebbe ritenere irragionevole o abusiva la criticata data (cfr. DTF 108 Ia 165 consid. 2b). Come già ricordato, il Tribunale federale non deve ricercare d'ufficio motivi non invocati o non sufficientemente sostanziati nel ricorso (DTF 121 I 357 consid. 2d). 
4. 
Ne segue che il ricorso, in quanto ammissibile, dev'essere respinto. Vista la natura del procedimento (art. 85 lett. a OG), non si prelevano spese. 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
2. 
Non si preleva tassa di giustizia. 
3. 
Comunicazione ai ricorrenti e al Consiglio di Stato del Cantone Ticino, per sé e in rappresentanza del Gran Consiglio. 
Losanna, 17 marzo 2005 
In nome della I Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
Il presidente: Il cancelliere: