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[AZA 0/2] 
 
1A.328/2000 
 
I CORTE DI DIRITTO PUBBLICO 
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20 aprile 2001 
 
Composizione della Corte: giudici federali Aemisegger, presidente 
della Corte e vicepresidente del Tribunale federale, Féraud, Catenazzi, Favre e Pont Veuthey, supplente. 
Cancelliere: Crameri. 
 
________ 
Visto il ricorso di diritto amministrativo del 22 dicembre 2000 presentato da X.________, cittadino italiano, detenuto a Lugano, patrocinato dagli avv. ti Bernhard Gehrig, Zurigo, e Mauro Mini, Lugano, contro la decisione emessa il 27 novembre 2000 dall'Ufficio federale di giustizia, Berna, che accorda l'estradizione del ricorrente all'Italia; 
Ritenuto in fatto : 
 
A.- Dal 10 al 15 maggio 2000 il cittadino italiano X.________ è stato detenuto a Zurigo, per aver disatteso una decisione dell'Ufficio federale degli stranieri dell'11 novembre 1998. Al momento dell'arresto X.________ era in possesso di vari documenti, di oggetti di valore e di 102'493. 70 franchi svizzeri, 19'182'000 lire italiane e 2'450.-- franchi francesi. 
 
L'11 maggio 2000 l'allora Ufficio federale di polizia (UFP), ora Ufficio federale di giustizia (UFG), fondandosi su un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 21 ottobre 1999 dal Giudice per le indagini preliminari (GIP) presso il Tribunale civile e penale di Bari nei confronti di X.________ e numerosi altri indagati, sulle richieste del 4 novembre 1999 e del 2 marzo 2000 dell'Interpol di Roma e su un complemento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari del 17 aprile 2000, ha emanato contro X.________ un ordine di arresto in vista d'estradizione; nel contempo ha ordinato il sequestro provvisorio degli oggetti e dei valori suscettibili di servire come mezzi di prova o per prevenire i reati di cui l'estradando era sospettato. Quest'ultimo, che non aveva impugnato l'ordine di arresto, si è opposto all'estradizione. 
 
B.- Il 25 maggio 2000 l'UFP ha concesso alle Autorità italiane la richiesta proroga per inoltrare una domanda formale di estradizione. 
 
Con nota diplomatica del 31 maggio 2000 l'Ambasciata d'Italia a Berna ha formalmente chiesto l'estradizione di X.________ nonché il sequestro e la consegna degli oggetti e dei valori trovati in suo possesso. La domanda si fonda, in particolare, sull'ordinanza di custodia cautelare sopra citata, concernente i reati di partecipazione aun' associazione di stampo camorristico-mafioso (capo a) e di contrabbando di sigarette (capo j), e sulla menzionata relazione integrativa del 17 aprile 2000. 
 
Interrogato sulla domanda di estradizione, X.________ ha ribadito la sua opposizione, sostenendo di non avere nulla a che vedere con i prospettati traffici di armi e di droga, né con le asserite estorsioni imputate all'associazione mafiosa, alla quale non appartiene: egli avrebbe soltanto comperato sigarette a livello internazionale, fattispecie che, come eventuale delitto fiscale, non costituisce un reato estradizionale. 
 
C.- Con decisione del 5 agosto 2000 il Procuratore pubblico straordinario ticinese, nell'ambito di una procedura aperta in Ticino nei confronti di X.________ edell' allora Presidente del Tribunale penale cantonale, giudice Z.________, ha emesso contro l'estradando un ordine di arresto per corruzione attiva e ordinato il suo trasferimento nel Cantone Ticino, dove è stato posto in detenzione preventiva. 
 
D.- Nel memoriale di opposizione del 12 settembre 2000 X.________ ha tra l'altro lamentato una lesione del diritto di essere sentito per mancato accesso agli atti e sostenuto che la domanda di estradizione sarebbe poco chiara, contraddittoria ed erronea, in particolare rispetto ai fatti esposti nelle richieste di arresto provvisorio formulate da Interpol Roma e dall'UFP e a quelli indicati nell'ordinanza del GIP, dove non si parlerebbe di traffico d'armi, droga e estorsioni nei suoi riguardi, o vi si accennerebbe solo in maniera marginale. Secondo X.________, l'estradizione, esclusa per il reato di contrabbando, lo sarebbe pure per quello d'associazione a delinquere, imputazione inconsistente, visto che la stessa, finalizzata al contrabbando, non sarebbe prevalente rispetto al traffico di sigarette. Sull'estradizione si è espresso anche il Ministero pubblico ticinese, il quale ha rilevato l'assenza, nel Cantone Ticino, di un procedimento, tranne quello avviato dal Procuratore pubblico straordinario, che osti a un'eventuale estradizione. 
 
Con nota del 4 settembre 2000 l'Ambasciata d'Italia a Berna, su invito dell'UFG, ha indicato i beni e i valori di cui l'Italia chiede la consegna; su domanda dell'UFG, la richiesta è stata completata su questo punto. X.________ si è opposto alla consegna. Egli ha chiesto inoltre l'invio di copie di atti precedenti il suo arresto e di eventuali atti, svizzeri o esteri, successivi alla domanda di estradizione; il 2 ottobre 2000 ha prodotto, senza esservi stato invitato, un complemento al suo memoriale e, il 19 ottobre, ulteriori osservazioni. Il 14 novembre 2000 l'UFG gli ha rifiutato l'accesso all'intero incarto trasmettendogli, per presa di posizione, una lista di tutti gli atti contenuti nell'incarto e una copia di alcuni dei documenti richiesti. 
X.________ ha chiesto di mettergli a disposizione l'intero incarto. 
 
Con decisione del 27 novembre 2000 l'UFG ha concesso l'estradizione di X.________ per i fatti esposti al capo a) della domanda, rifiutandola per quelli indicati al capo j). 
 
E.- X.________ impugna la decisione dell'UFG con un ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale. 
Chiede di annullarla e di rifiutare l'estradizione per l' associazione secondo l'art. 460bis (recte 416bis) del Codice penale italiano, di revocare l'ordine di arresto ai fini estradizionali dell'11 maggio 2000 e di ordinare la sua messa in libertà. 
 
L'UFG propone di respingere il ricorso. Con replica del 18 gennaio 2001 il ricorrente ribadisce le proprie argomentazioni e conclusioni. 
 
Mediante decreto presidenziale dell'8 febbraio 2001 è stata respinta un'istanza del 30 gennaio 2001 con la quale X.________ chiedeva di sospendere la procedura di ricorso davanti al Tribunale federale, visto ch'egli aveva chiesto al Cantone Ticino di aprire contro di lui un procedimento penale per i reati previsti dagli art. 260ter (organizzazione criminale) e 305bis CP (riciclaggio di denaro). 
 
Il 6 marzo 2001 il ricorrente ha prodotto uno scritto della Direzione Investigativa Antimafia concernente una missione effettuata in Svizzera nel luglio del 2000. 
 
Considerando in diritto : 
 
1.- a) L'estradizione fra l'Italia e la Svizzera è retta dall'omonima Convenzione europea del 13 dicembre 1957 (CEEstr; RS 0.353. 1) e dal Secondo Protocollo addizionale alla stessa, conchiuso il 17 marzo 1978 (RS 0.353. 12). La legge federale del 20 marzo 1981 sull'assistenza internazionale in materia penale (AIMP) e la relativa ordinanza del 24 febbraio 1982 (OAIMP) sono applicabili alle questioni che la prevalente Convenzione internazionale (cfr. art. 1 cpv. 1 AIMP) non regola espressamente o implicitamente, come pure quando il diritto nazionale sia più favorevole all'estradizione di quello convenzionale (DTF 123 II 134 consid. 1a, 122 II 140 consid. 2 pag. 142, 373 consid. 1a e rinvii), riservato il rispetto dei diritti dell'uomo (DTF 123 II 595 consid. 7c pag. 616 seg.). 
 
 
b) L'atto impugnato costituisce una decisione di prima istanza secondo l'art. 55 cpv. 1 AIMP, contro cui il ricorso di diritto amministrativo è ammissibile giusta il rinvio dell'art. 55 cpv. 3 all'art. 25 AIMP (DTF 122 II 373 consid. 1b). Il Tribunale federale fruisce in questo ambito di piena cognizione, ma deve attenersi all'esposto dei fatti contenuto nella domanda di estradizione, salvo ch'esso risulti erroneo, lacunoso o contraddittorio (DTF 123 II 134 consid. 1d, 279 consid. 2b). Nell'applicazione del principio dell'ufficialità, esso è però tenuto a rispettare i limiti della lite poiché non gli competono funzioni di vigilanza (DTF 123 II 134 consid. 1d, 112 Ib 576 pag. 586 in medio). Anche se il Tribunale federale esamina il ricorso con piena cognizione, spetta al Giudice estero del merito, e non al Giudice svizzero dell'estradizione, pronunciarsi sulla colpevolezza della persona perseguita (DTF 122 II 373 consid. 1c e rinvii, 112 Ib 215 consid. 5b pag. 220). Le conclusioni tendenti al rifiuto della domanda e alla scarcerazione sono, di massima, proponibili (art. 25 cpv. 6 AIMP; DTF 122 II 373 consid. 1c). 
 
c) La legittimazione del ricorrente, colpito dal provvedimento di estradizione, è pacifica (art. 21 cpv. 3 AIMP; DTF 122 II 373 consid. 1b). 
 
2.- Il ricorrente contesta dapprima il ruolo assunto dall'UFG che, giudicando insufficiente l'esposto dei fatti inviato dall'Autorità richiedente, l'ha invitata, con precise richieste, a completarlo. L'UFG avrebbe così concorso attivamente a fissare l'esposto dei fatti in un determinato modo per poi decidere di conseguenza, trasformandosi in un rappresentante degli interessi dello Stato richiedente, in violazione degli art. 6 CEDU e 30 Cost. 
 
a) La criticata richiesta dell'UFG all'Autorità italiana concerneva un complemento di informazioni per la consegna dei beni e dei valori trovati in possesso del ricorrente. 
Poiché l'UFG non si è ancora pronunciato sull' eventuale consegna all'Italia di questi beni e valori (decisione impugnata, consid. 8), la censura è prematura e quindi inammissibile. 
 
b) Rispondendo all'ordine di arresto provvisorio del 4 novembre 1999 l'UFG aveva ricordato all'Italia il 29 novembre 1999 che il contrabbando di sigarette è un reato di natura fiscale; invitava pertanto l'Autorità richiedente a produrre, qualora il ricorrente avesse commesso altri reati, un esposto concreto e preciso. Il 2 marzo 2000 il Servizio Interpol presso il Ministero dell'Interno italiano ha precisato che secondo l'ordinanza del GIP il ricorrente era ricercato, oltre che per contrabbando aggravato, anche per associazione a delinquere di tipo mafioso, e indicato i risultati delle indagini. Il 3 marzo 2000 l'UFG ha comunicato all'Autorità richiedente che quelle predette informazioni non erano sufficienti per stabilire se i fatti ascritti al ricorrente costituissero fattispecie punibili secondo il diritto svizzero; l'ha quindi invitata a indicare concretamente la data, il luogo e le modalità della commissione di almeno uno dei reati rimproveratigli (corruzione, traffico di droga, estorsioni, traffico di armi), a precisare le modalità del reato di riciclaggio e la struttura dell'organizzazione criminale, nonché a indicare almeno un reato perpetrato da tale organizzazione, specificando il ruolo svoltovi dal ricorrente. Con relazione integrativa del 17 aprile 2000 la Procura di Bari ha completato l'esposto dei fatti. 
 
c) Dai menzionati scritti risulta chiaramente che le iniziali richieste italiane non permettevano alla Svizzera di esaminare, come rilevato dall'UFG, l'adempimento dei presupposti richiesti dall'art. 16 CEEstr per arrestare provvisoriamente il ricorrente. 
 
Quando le informazioni comunicate dalla Parte richiedente si rivelino insufficienti, l'Autorità richiesta può, e deve, domandare i complementi d'informazioni necessari (art. 13 CEEstr; DTF 112 Ib 610 consid. 3b pag. 617, 110 Ib 173 consid. 4b). L'UFG ha quindi correttamente applicato l'art. 13 CEEstr, in relazione con gli art. 12 n. 2 CEEstr e 28 cpv. 6 AIMP: in effetti, i richiesti complementi occorrevano, da una parte, per poter accertare la sussistenza di eventuali motivi che si opponessero al postulato arresto e, dall'altra, per permettere al ricercato di difendersi con cognizione di causa contro tale misura, ciò che può avvenire soltanto se i reati e le modalità della loro commissione sono indicati con sufficiente precisione. 
Non è solo quindi nell'interesse di un'efficace collaborazione internazionale, imposta dalla Convenzione, e che non raffigura un atteggiamento di parzialità dell'UFG, ma anche e in particolare nell'interesse del ricorrente, che l'UFG ha richiesto i citati complementi (DTF 111 Ib 319 consid. 3 e 4). 
 
d) Il ricorrente lamenta una violazione del diritto di essere sentito. 
 
Il ricorso di diritto amministrativo, che in questo caso assume la funzione del ricorso di diritto pubblico secondo l'art. 84 cpv. 1 lett. a OG, permette di far valere anche censure derivanti dalla lesione di diritti costituzionali nell'ambito dell'applicazione del diritto federale, segnatamente, in concreto, la censura di violazione del diritto di essere sentito (DTF 124 II 132 consid. 2; Robert Zimmermann, La coopération judiciaire internationale en matière pénale, Berna 1999, n. 301; sul diritto del giudicabile di ottenere una decisione motivata v. DTF 126 I 15 consid. 2a/aa in fine, 97 consid. 2b, 125 II 369 consid. 2c, 124 II 146 consid. 2a). 
 
 
L'UFG ha dichiarato tardivi gli scritti inviatigli dal ricorrente il 2 e il 19 ottobre 2000, ma quest'ultimo non dimostra l'infondatezza di questa decisione. Quando un' Autorità emana una decisione d'inammissibilità fondata su motivi formali, il ricorrente non può limitarsi a contestare il merito della causa, ma deve spiegare perché l'Autorità avrebbe accertato in modo arbitrario l'assenza del presupposto formale per la sua decisione (cfr. DTF 123 V 335, 118 Ib 134 consid. 2, 113 Ia 94 consid. 1a/bb). Inoltre, nella decisione impugnata, l'UFG si è espresso, a titolo abbondanziale anche sugli scritti ritenuti tardivi: il ricorrente ha potuto replicare al riguardo, per cui non sussiste alcuna lesione del diritto di essere sentito (DTF 124 II 132 consid. 2d). L'UFG poteva d'altra parte respingere, come ha fatto emanando l'impugnata decisione, implicitamente la richiesta di ricusazione contenuta nello scritto del 20 novembre 2000, visto ch'essa, secondo quanto si è esposto, era manifestamente infondata. 
 
e) Il ricorrente ravvisa un'ulteriore violazione del suo diritto di essere sentito nel diniego oppostogli di accedere a determinati atti. 
 
aa) Dal diritto di essere sentito, desumibile dall'art. 29 cpv. 2 Cost. (e in precedenza dall'art. 4 vCost.) - e in materia di estradizione dall'art. 52 AIMP, non invocato dal ricorrente - la giurisprudenza ha dedotto il diritto dell'interessato a esprimersi prima che una decisione sia presa a suo sfavore, di fornire prove sui fatti suscettibili d'influsso sulla decisione, di poter consultare gli atti di causa, di partecipare all'assunzione delle prove, di prenderne conoscenza e di pronunciarsi in merito, come pure di addurre i propri argomenti (DTF 126 I 7 consid. 2b, 15 consid. 2a/aa, 19 consid. 2a, 126 V 130 consid. 2a e b). 
L'Autorità che inserisce nel fascicolo processuale nuovi documenti, di cui intende prevalersi nella decisione, deve informarne le parti (DTF 124 II 132 consid. 2b e rinvii); alle procedure di estradizione non è però applicabile l' art. 6 CEDU (DTF 123 II 175 consid. 6e pag. 185, 120 Ib 112 consid. 4 pag. 119). 
 
 
bb) Nella decisione impugnata l'UFG ha rilevato d' aver trasmesso al ricorrente tutti i documenti pertinenti della procedura di estradizione, e di avergli rifiutato l' accesso ai seguenti scritti: gli atti che concernevano altre procedure, concluse da anni, oppure in corso, ma che non riguarderebbero la vertenza in discussione; gli scambi di corrispondenza tra l'UFG e le Autorità svizzere su inchieste ufficiali in corso, la competenza a decidere sulla consultazione di questi atti spettando a dette Autorità; gli atti concernenti terzi che dovrebbero restare segreti; le semplici note interne; le copie di articoli di giornale e, infine, le richieste di informazioni per il tramite dell'Interpol o le comunicazioni tra l'UFG e altre Autorità riguardanti mere questioni organizzative (sulla consultazione di un incarto di un procedimento in corso o archiviato, cfr. DTF 126 I 7 consid. 2b, 122 I 109 consid. 2a e b; sul diritto di consultare documenti interni v. DTF 125 II 473 consid. 4a; sentenza inedita del 13 marzo 1996 in re B., apparsa parzialmente in RDAT 1996 II n. 56 pag. 192). 
 
Il ricorrente motiva la generica critica di mancato accesso agli atti richiamando semplicemente il suo scritto del 20 novembre 2000, e rinviandovi. La consultazione dell' incarto concerne, di massima, solo gli atti influenti per la decisione (cfr. DTF 126 I 15 consid. 2a/aa, 121 I 225 consid. 2a, 119 Ia 136 consid. 2d; Zimmermann, op. cit. , n. 268). Certo, in linea di principio, tranne i documenti interni e riservate le eccezioni previste dagli art. 80 cpv. 2 AIMP e 26 segg. PA, la consultazione si estende a tutto l'incarto, né l'Autorità può, di massima, sottrarre determinati atti alla consultazione. Premesso che il ricorrente non precisa perché i menzionati motivi posti a fondamento del contestato rifiuto non reggerebbero, egli, contrariamente al principio della buona fede processuale, non ha tuttavia chiesto, nell'ambito della presente procedura, di poter aver accesso agli atti non trasmessigli dall'UFG, riservate eventuali limitazioni (cfr. art. 80b cpv. 2 e 3 AIMP, 26 segg. PA), e di potersi poi esprimere compiutamente al riguardo, sanando in tal modo, conformemente alla prassi, una eventuale lesione del suo diritto di essere sentito (DTF 124 II 132 consid. 2d, 117 Ib 64 consid. 4 pag. 87; Zimmermann, op. cit. , n. 265, 268, 273). Il ricorrente si è in realtà limitato a chiedere l'invio dell'incarto a un'altra Autorità, adducendo semplicemente che non si potrebbe "a priori" escludere che l'Autorità di ricorso possa sanare l'asserito vizio senza ledere i diritti delle parti; per di più, nella replica, il ricorrente ha potuto ancora esprimersi su tutti i fatti rimproveratigli (DTF 124 II 132 consid. 2d). Per gli esposti motivi, le censure di violazione del diritto di essere sentito devono essere, in quanto infondate, e nella misura in cui sono ricevibili, respinte. 
 
 
 
3.- Nel merito, il ricorrente adduce che i fatti rimproveratigli raffigurerebbero una mera decurtazione di tributi fiscali; sostiene che l'esposto fattuale non sarebbe sufficientemente sostanziato per l'apertura di un procedimento penale. 
 
Il ricorrente invoca in proposito l'art. 3 cpv. 3 AIMP e insiste sul rifiuto dell'estradizione, e in genere dell'assistenza, per reati fiscali; poiché si tratterrebbe, se del caso, di contrabbando, sarebbe applicabile la giurisprudenza sulla truffa in materia fiscale, che all'esposto dei fatti pone esigenze più severe, non adempiute in concreto (cfr. in proposito DTF 125 II 250 consid. 5b, 117 Ib 53 consid. 3 pag. 63 seg. , 116 Ib 96 consid. 4c, 115 Ib 68 consid. 3a/bb 3c). Egli sostiene ancora che la sua attività era chiaramente legata al commercio internazionale di sigarette, tanto che la Y.________ SA di Lugano, di cui era consulente commerciale, prevedeva questa attività nel suo scopo sociale, sicché sarebbe semmai ipotizzabile una sua (contestata) partecipazione a un'attività di contrabbando. 
Secondo il ricorrente occorrerebbe pertanto determinare s'egli non sia imputato esclusivamente e sostanzialmente di un delitto fiscale e valutare quindi se i prospettati reati non siano addotti al solo scopo di ottenere la sua estradizione, esclusa per il contrabbando. Procedendo a un esame ordinario dell'esposto dei fatti, senza approfondirne l'aspetto fiscale, l'UFG avrebbe violato l'art. 3 cpv. 3 AIMP
 
a) La censura non regge, visto che l'estradizione è stata negata per il contrabbando di sigarette (capo j della citata ordinanza del GIP). In effetti, l'estradizione è esclusa per reati fiscali (così già in DTF 103 Ia 218 consid. 2 e 6), nozione che dev'essere interpretata secondo il diritto svizzero (DTF 115 Ib 68 consid. 3c pag. 81; v. l'art. 5 CEEstr in relazione con la riserva svizzera di non accettare il Titolo II (art. 2) del Secondo protocollo addizionale alla CEEstr, che sostituirebbe l'art. 5 CEEstr; DTF 117 Ib 337 consid. 4b pag. 343; Zimmermann, op. cit. , n. 400 e 408). Anche l'art. 3 cpv. 3 secondo periodo AIMP prevede, per la truffa in materia fiscale, solo la concessione dell'assistenza secondo la terza parte della legge (art. 63 segg.), ma non l'estradizione. 
 
 
Conformemente al principio della specialità, che regge tutto il diritto estradizionale ed è concretato all' art. 14 cpv. 1 CEEstr, la persona estradata non sarà né perseguita, né giudicata, né detenuta in vista dell'esecuzione di una pena per un fatto qualsiasi anteriore alla consegna che non sia quello avente motivato l'estradizione, salvo i casi indicati alle lettere a e b dello stesso capoverso (v. anche l'art. 38 cpv. 1 lett. a AIMP e gli art. 696 e 721 CPP italiano; su questo principio cfr. DTF 123 IV 42 consid. 3b pag. 47, 117 IV 222 consid. 3a, 110 Ib 393, 109 Ib 317 consid. 13 - 15 pag. 330 segg. ; Zimmermann, op. 
cit. , n. 491). Ne segue che il ricorrente non potrà essere perseguito in Italia per tale fattispecie (DTF 110 Ib 187 consid. 3b). 
 
 
Il ricorrente rileva invero che, nell'ambito di una domanda di estradizione, richiesta dai Paesi Bassi per frode fiscale, falsità in documenti e associazione per delinquere, contro di lui e altre persone sospettate di aver importato ingenti quantità di sigarette nella Comunità europea eludendo il pagamento di tributi pubblici, il 31 gennaio 1994 l'UFP aveva revocato l'iniziale decisione di estradarlo, atteso che si trattava di delitti fiscali (decisione inedita del 14 agosto 1995, Fatti A, consid. 2). Il ricorrente disattende tuttavia che nel frattempo, il 1° agosto 1994, è entrato in vigore il nuovo art. 260ter CP, il quale reprime la partecipazione a un'organizzazione criminale, per cui, attualmente, per il reato di associazione a delinquere il requisito della doppia imputazione è adempiuto (cfr. , per il diritto previgente, DTF 111 Ib 319 consid. 4, 103 Ia 218 consid. 5, 101 Ia 416 consid. 3b, 95 I 462 consid. 3b). 
 
 
b) Il ricorrente fonda in sostanza l'intera sua argomentazione sulla circostanza che l'esposto dei fatti sarebbe erroneo e contraddittorio, che oggetto del procedimento penale italiano sarebbe unicamente il reato di contrabbando, che i fatti, diversi da quelli indicati dal GIP, sarebbero stati stravolti in seguito da parte della Procura di Bari e dell'UFG per fare sparire dalla descrizione il traffico di sigarette, e ciò allo scopo di poter consentire l'estradizione. Secondo il ricorrente, l'associazione sarebbe finalizzata al contrabbando e quindi a un reato fiscale, al quale non è applicabile l'art. 260ter CP, e che non costituisce un reato estradizionale. 
 
È innegabile che il ricorrente era ricercato in Italia anche per il reato di contrabbando aggravato: per questa fattispecie la sua estradizione è però stata negata. 
La circostanza che l'associazione a delinquere avrebbe compiuto non solo traffici d'armi e di droga, nonché estorsioni, riciclando i proventi di queste attività illecite, ma ch'essa avrebbe contemporaneamente anche effettuato il contrabbando di sigarette non permette di qualificare il suo agire, e quello del ricorrente, solo nell'ambito del reato fiscale ai sensi dell'art. 5 CEEstr. Facendo valere che l' associazione è finalizzata al contrabbando pluriaggravato, il ricorrente disattende che la questione di sapere se il peso maggiore dei prospettati reati concerna tale reato, o quelli di diritto comune, non è decisiva: l'estradizione dev'essere concessa per i reati di diritto comune, a condizione che l'estradando non sia perseguito per i reati fiscali, e che questi non vengano presi in considerazione come circostanze aggravanti (DTF 112 Ib 55 consid. 5d/bb). 
 
Secondo la costante giurisprudenza, l'esclusione dell'estradizione per reati fiscali non consente di rifiutarla anche per reati di diritto comune, che con i primi siano connessi, o in relazione di concorso ideale o reale, se le altre condizioni dell'estradizione sono adempiute: vi è un'eccezione a questo principio allorché tra il reato fiscale e il reato estradizionale del diritto comune sussista un cosiddetto concorso improprio ("unechte Gesetzeskonkurrenz"), cioè quando la fattispecie ricade sotto due disposizioni contemporaneamente, e quella di natura fiscale, che osta all'estradizione, la regge sotto ogni suo aspetto (DTF 112 Ib 55 consid. 5d/bb, 110 Ib 187 consid. 3c e d, 103 Ia 218 consid. 2 con rinvii; cfr. anche DTF 108 Ib 525 consid. 5; sentenza inedita del 10 aprile 2000 in re V., consid. 7, causa 1A.102/2000; Zimmermann, op. cit. , n. 491 pag. 381 in fondo). Nella fattispecie è manifesto che il reato di contrabbando non assorbe le imputazioni di diritto comune e che non si è in presenza di concorso improprio. 
 
 
4.- Occorre esaminare quindi se i fatti addotti dallo Stato richiedente siano sufficienti a sostenere l' estradizione e non manifestamente contraddittori o erronei, come pretende il ricorrente. 
 
a) Secondo l'art. 12 cpv. 2 CEEstr, il quale, come l'art. 28 AIMP, concerne il contenuto della richiesta di estradizione, devono essere prodotti, a suo sostegno, oltre l'originale o la copia autentica di una decisione esecutiva di condanna o di un mandato d'arresto (lett. a), un "esposto dei fatti, per i quali l'estradizione è domandata", ritenuto che il tempo e il luogo del loro compimento, la loro qualificazione legale e il riferimento alle disposizioni legali applicabili saranno indicati "il più precisamente possibile" (lett. b). Le esigenze dell'art. 12 CEEstr debbono essere interpretate con riferimento alle finalità perseguite, volte a consentire alla Parte richiesta di qualificare i fatti dal profilo del diritto dell'estradizione (art. 2), di stabilire che non sia data una sua concorrente ed esclusiva giurisdizione (art. 7), di escludere che l' azione sia prescritta (art. 10), rispettivamente che sussista altra causa d'inammissibilità dell'estradizione per motivi inerenti alla natura del reato o alla persona del ricercato (art. 2, 3-5 CEEstr; DTF 101 Ia 60 consid. 3, 416 consid. 2, 117 Ib 337 consid. 3). A ciò si aggiunge la questione di sapere se l'estradando sia eventualmente in grado di addurre la prova dell'alibi (art. 53 AIMP) che in concreto, vista la natura dei prospettati reati, commessi sull'arco di vari anni, non entra chiaramente in linea di conto (DTF 123 II 279 consid. 2b). 
 
b) aa) Dall'ordinanza del GIP del 21 ottobre 1999 risulta che il ricorrente, con numerose altre persone, è indagato secondo l'art. 416bis CP italiano per avere, rispettivamente, promosso, diretto, costituito e preso parte a un'associazione di stampo camorristico-mafioso (capo a); risulta inoltre che esponenti di vertice di tali organizzazioni criminali operanti in Puglia e in Campania, ricercati dalla Magistratura italiana, si sottraevano alla cattura raggiungendo le coste del Montenegro, ove partecipavano, con funzioni direttive, a un accordo con i quattro titolari delle licenze di importazione dei tabacchi lavorati esteri in Montenegro e con le Autorità di quel Paese, per il controllo mafioso dei traffici illeciti verso l'Italia di armi, tabacchi lavorati esteri e sostanze stupefacenti e il successivo finanziamento del circuito criminale; risulta dall'ordinanza che, a tale fine, i sottogruppi criminali, si servivano del possesso di armi da guerra acquisite sul mercato nero della ex Yugoslavia e che il finanziamento del circuito criminale era attuato attraverso il riciclaggio dei proventi delle attività illecite (estorsioni, spaccio di stupefacenti, contrabbando di sigarette e altro). 
 
Sempre secondo l'ordinanza il ricorrente, "titolare" di una delle quattro licenze rilasciate dalle Autorità del Montenegro per l'importazione in quel Paese di 25'000 casse di sigarette al mese (250 tonnellate), prendeva parte - con funzioni di promotore, organizzatore e dirigente - al citato accordo con gli esponenti del cartello criminale italiano, assicurando la costante fornitura in Montenegro di tabacchi da reintrodurre, contrabbandandoli attraverso la Puglia, nell'Europa comunitaria; il reimpiego dei proventi delle attività illecite (estorsioni, spaccio di stupefacenti, contrabbando di sigarette ed altro), veniva effettuato, secondo l'ordinanza del GIP, in Svizzera. 
 
bb) Con relazione integrativa del 17 aprile 2000 la Procura di Bari, su richiesta dell'UFP, ha precisato le ragioni poste a fondamento della citata ordinanza. Ha indicato che i criminali ai vertici dell'associazione, fuggiti dall'Italia, erano ricercati negli anni '90 per omicidi, traffici di armi e droga, ed estorsioni, che i vari gruppi criminali componenti l'associazione si suddividono le aree del territorio montenegrino, ognuno controllando un tratto di costa italiana e l'immediato entroterra, secondo criteri di mutua assistenza e reciproco rispetto; che le varie frange facevano direttamente capo ai dirigenti e questi, a loro volta, ai promotori. All'interno della frangia, sarebbe stato individuato un cosiddetto "gruppo di fuoco", utilizzato per imporre e dirimere eventuali controversie non risolvibili pacificamente (in quest'ambito si situerebbe per esempio l'uccisione del cittadino montenegrino J.________, che avrebbe indebitamente preteso una somma di 200 milioni di lire dall'indagato P.________). Il finanziamento del circuito criminale sarebbe avvenuto, oltre che con il contrabbando di sigarette, mediante il traffico di armi e droga e attraverso estorsioni praticati nei territori sottoposti al dominio mafioso (si situano in tale contesto l'arresto di V.________ e R.________ e il sequestro di armi da guerra provenienti dalla ex Jugoslavia e introdotte in Italia con uno scafo che trasportava contemporaneamente cartoni di sigarette; si riferisce poi della cessione di 80 kg di sostanze stupefacenti da S.________ all'indagato C.________ in cambio di una fornitura di armi da guerra da parte di quest'ultimo). Per il controllo e la messa in opera dei traffici illeciti i gruppi criminali si sarebbero serviti della forza di intimidazione derivante dall'appartenenza all'organizzazione criminale e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà della popolazione; si sarebbe altresì fatto ricorso alla violenza, alla corruzione di esponenti dell'amministrazione e alla collusione con apparati istituzionali. L'aspetto finanziario dell'associazione sarebbe stato curato da contabili alle dirette dipendenze dei promotori e dei dirigenti, che gestivano la cassa comune delle attività illecite, provvedendo, tra l'altro, al sostentamento delle famiglie dei detenuti e dei latitanti, i proventi delle attività illecite venendo inviati in Svizzera, nascosti nei doppifondi di autovetture. 
 
Sempre secondo la domanda e il citato esposto, il ricorrente sarebbe stato organicamente inserito nella struttura dirigenziale dell'associazione di tipo mafioso, e avrebbe preso parte, come promotore, all'accordo con altri promotori dell'organizzazione (quali C.________, A.________, P.________, ecc.), recandosi in Montenegro per verificare di persona le attività illecite. I compiti principali del ricorrente sarebbero consistiti nell'assicurare, grazie ai suoi contatti con alti esponenti del Governo montenegrino, la protezione ai capi latitanti italiani, che potevano così continuare a dirigere i propri gruppi operanti in Puglia e in Campania, inviando loro armi da guerra per il traffico e per combattere le forze dell'ordine o altri gruppi criminali. I proventi delle attività illecite sarebbero stati inviati dal ricorrente in Svizzera, cui spettava il compito di riciclarli e reimpiegarli per i traffici di stupefacenti e armi, per le estorsioni e, in particolare, per assicurare la protezione dei latitanti italiani in Montenegro. È in tale ambito che il ricorrente avrebbe inviato in Italia un corriere, F.________, per ritirare denaro dai contabili dell'organizzazione criminale; ora, il 18 febbraio 1997, ricevuta una somma superiore a 500 milioni di lire italiane proveniente dalla cassa comune dell'organizzazione dove confluivano gli introiti del traffico di armi da guerra e di sostanze stupefacenti, F.________ era stato arrestato dalla polizia italiana, dopo aver forzato un posto di blocco e tentato di investire due agenti; a bordo della sua autovettura era stata trovata la somma trasportata, con vari appunti confermanti che il denaro era destinato al ricorrente. Quest'ultimo, non avendolo ricevuto e non riuscendo a reperire notizie in merito, si sarebbe recato in Montenegro per chiarire gli aspetti della vicenda con gli allora latitanti C.________ - il quale ha confermato che F.________ stava effettuando il trasporto di denaro per conto del ricorrente - e G.________. 
Anche, e soprattutto, da intercettazioni telefoniche sarebbe emerso che le somme raccolte dai gruppi criminali avevano come destinatario consapevole il ricorrente. I fatti sarebbero avvenuti a partire dal maggio 1994, in particolare a Bari e a Brindisi, nel Montenegro e in Svizzera. 
 
c) aa) Il ricorrente sostiene che nell'ordinanza del GIP - concernente inizialmente 81 persone, di cui 49, tra cui egli stesso, poi colpiti dalla misura della custodia cautelare in carcere - ordinanza alla quale fanno riferimento l'ordine d'arresto internazionale, quello provvisorio svizzero e la domanda di estradizione, non si parlerebbe, nei suoi riguardi, di traffico di armi, di droga e di estorsioni, ma solo di traffico di sigarette. Adduce inoltre che tanto nell'ordine di arresto quanto nella decisione impugnata la descrizione del ruolo da lui svolto si discosterebbe e differenzierebbe da quella contenuta nell'ordinanza del GIP. Questa censura riguarda un tema che non è influente ai fini della decisione, determinante essendo infatti il contenuto della domanda estera e dei suoi allegati (art. 10 cpv. 1 OAIMP), così come il Giudice dell'estradizione può comprenderlo obiettivamente. In ogni caso, secondo quanto si vedrà, tra l'ordinanza del GIP, ritenuta decisiva anche dal ricorrente, e la domanda estera non sussistono contraddizioni rilevanti: eventuali imprecisioni contenute nell'ordine di arresto internazionale sarebbero state del resto sanate dalla presentazione della domanda, che soddisfa le esigenze dell'art. 12 CEEstr. Pertanto, giusta l'art. 16 cpv. 5 CEEstr, il ricorrente, che non ha impugnato l'ordine d'arresto dell'UFP dinanzi alla Camera di accusa, non può prevalersi di eventuali imprecisioni anteriori per opporsi all'estradizione (sentenze inedite del 15 marzo 1996 in re O., consid. 2, apparsa in Rep 1996 102, e del 16 maggio 1995 in re B., consid. 2b/bb). Le asserite discordanze tra l'esposto dei fatti e la fattispecie addotta negli ordini di arresto non sono quindi, in questo stadio della procedura, decisive. 
 
bb) Il ricorrente sostiene che l'UFG avrebbe fondato l'ordine di arresto e la decisione impugnata sugli scritti della Procura di Bari e non sull'ordine di arresto del GIP, ciò che rappresenterebbe un manifesto errore e un abuso di potere, in particolare nell'accertamento dei fatti rilevanti, visto che tra i due esposti sussisterebbero contraddizioni. 
La censura non regge. Come si è visto, l'UFG poteva e doveva richiedere i contestati complementi d'informazione, sui quali ha poi fondato la propria decisione. 
Il ricorrente disattende che il mandato di arresto previsto dall'art. 12 cpv. 2 lett. a CEEstr è solo uno degli atti che l'Autorità richiedente deve fornire a sostegno della domanda: la lett. b della stessa norma prescrive infatti ch'essa deve fornire un esposto dei fatti, per i quali è chiesta l'estradizione. Ora, è proprio su questo esposto, completato a richiesta dell'UFG, che si fonda la decisione impugnata. 
 
Anche la censura del ricorrente, secondo cui l'UFG si è fondato su un esposto dei fatti diverso - ed erroneo - emanante da un'Autorità non competente a emettere l'ordine di arresto, non regge. In effetti, la competenza della Procura di Bari a redigere i contestati esposti non appare dubbia: secondo la costante prassi, la Svizzera può negare la competenza dell'Autorità richiedente soltanto ove essa faccia chiaramente difetto, al punto da rendere abusiva la domanda di estradizione o, in genere, d'assistenza (DTF 116 Ib 89 consid. 2c, 114 Ib 254 consid. 5). In concreto non sono dati simili estremi, né il ricorrente lo afferma o comunque lo prova. 
 
Per di più, le asserite contraddizioni tra l'ordinanza del GIP e i susseguenti esposti sono dovute alla circostanza che l'ordinanza concerne ben 81 persone, mentre gli esposti e i complementi si riferiscono, in particolare, al ricorrente, precisandone il ruolo svolto all'interno dell'organizzazione criminale: si tratta quindi di precisazioni e non di contraddizioni. 
 
cc) Il ricorrente fa valere che nell'ordinanza del GIP si rileva come il coimputato F.________ si fosse recato a Bari per ritirare il provento del traffico di sigarette, mentre che secondo l'esposto della Procura di Bari del 17 aprile 2000, F.________ avrebbe ritirato fondi provenienti dalla cassa comune delle cosche, quale provento di traffici d'armi e di droga; egli aggiunge che, nell'ambito di una richiesta di assistenza del 5 novembre 1999 della Procura di Bari, si asseriva che una parte del profitto di un traffico di armi e droga tra l'inquisito C.________ e un napoletano sarebbe stata consegnata dal contabile di C.________ a F.________ e sottolinea che da un'altra relazione risulterebbe che le persone che avrebbero consegnato il denaro a F.________ avrebbero avuto l'intenzione di poi rapinarlo. 
Il ricorrente ne deduce che si sarebbe in presenza di quattro diverse versioni dei fatti. Ora, premesso che l'esposto dei fatti concernente la richiesta di assistenza non riguarda il ricorrente ma la Y.________ SA (causa 1A.327/2000) ed esula, di massima, sebbene di tratti di una società a lui collegata, dal presente giudizio, decisivo è l'esposto dei fatti del 17 aprile 2000 della Procura di Bari, che non differisce sostanzialmente da quello dell'ordinanza del GIP. Adducendo che la versione più sostenibile sarebbe quella indicata dal GIP, e non quella fornita dalla Procura, contraddizione non rilevata dall'UFG, il ricorrente muove una critica alla (contestata) valutazione delle prove, che dev'essere decisa dal Giudice estero del merito (DTF 121 II 241 consid. 2b pag. 244, 117 Ib 64 consid. 5c pag. 88; Zimmermann, op. cit. , n. 165). 
 
Il ricorrente contesta d'essere un membro o addirittura un promotore dell'organizzazione criminale; sostiene che l'accusa si fonderebbe su un teorema e non su una seria ipotesi accusatoria corredata da prove. Non spetta al Giudice dell'estradizione sostituire il suo potere di apprezzamento a quello delle Autorità inquirenti dello Stato richiedente, opponendo la versione dei fatti proposta dall'estradando a quella, a prima vista sostenibile, esposta nella domanda: per costante giurisprudenza, il Giudice dell'estradizione è, di massima, vincolato dalle risultanze del mandato di cattura. Compete infatti al Giudice estero del merito, e non al Giudice svizzero dell'estradizione, esaminare se l'Accusa potrà esibire le prove del reato (DTF 122 II 367 consid. 2c), e spetta all'Autorità estera pronunciarsi sulla colpevolezza o no del ricorrente (DTF 123 II 279 consid. 2b, 112 Ib 215 consid. 5b, 109 Ib 60 consid. 5a). 
 
 
d) Tenuto conto delle citate finalità dell'art. 12 CEEstr, la descrizione contenuta nella domanda e nei suoi allegati (art. 10 OAIMP), considerata anche la natura del procedimento nel quale è coinvolto il ricorrente, consente di esaminare tutti gli elementi sui quali deve pronunciarsi il Giudice dell'estradizione. Del resto, è proprio a causa dell'assenza di trasparenza dell'associazione criminale che la descrizione dei fatti può apparire imprecisa: tuttavia, l'insieme dei documenti trasmessi dallo Stato richiedente permette di inquadrare in maniera sufficiente per pronunciarsi sull'estradizione i fatti rimproverati all'associazione e al ricorrente. La Parte richiedente non deve provare la commissione del reato ma soltanto esporre in modo sufficiente le circostanze sulle quali fonda i propri sospetti. 
Ne segue che l'esposto dei fatti, non lacunoso e privo di contraddizioni manifeste e immediatamente rilevabili, è vincolante (DTF 123 II 279 consid. 2b, 118 Ib 111 consid. 5 b pag. 121 seg.). 
 
5.- a) Determinante per l'esame della doppia punibilità, che nell'ambito dell'estradizione dev'essere adempiuta per ogni reato oggetto della domanda (DTF 125 II 569 consid. 6; Zimmermann, op. cit. , n. 348), non è tanto la corrispondenza delle norme penali quanto il quesito di sapere se i fatti addotti nella domanda, eseguita la dovuta trasposizione, sarebbero punibili secondo il diritto svizzero (DTF 124 II 184 consid. 4b; v. l'art. 35 cpv. 2 AIMP). 
 
Il 1° agosto 1994 in Svizzera è entrato in vigore il nuovo art. 260ter CP relativo all'organizzazione criminale: 
questa norma, che costituisce chiaramente un reato motivante l'estradizione giusta l'art. 2 CEEstr, prevede che chiunque partecipa a un'organizzazione che tiene segreti la struttura e i suoi componenti e che ha lo scopo di commettere atti di violenza criminali o di arricchirsi con mezzi criminali, e chiunque sostiene una tale organizzazione nella sua attività criminale, è punito con la reclusione sino a cinque anni o con la detenzione (cpv. 1). Secondo la giurisprudenza è il diritto in vigore al momento della decisione sulla domanda, e non quello vigente al momento della commissione dei fatti, verificatisi peraltro in concreto a partire dal 1994, a essere determinante per stabilire se sussista il requisito della doppia punibilità (DTF 122 II 422 consid. 2a, 112 Ib 576 consid. 2 pag. 584, 125 II 569 consid. 4 inedito, 109 Ib 60 consid. 2; Zimmermann, op. 
cit. , n. 352); questa condizione è quindi adempiuta riguardo all'art. 260ter CP, reato per il quale l'UFG ha concesso l'estradizione. 
 
b) Dalla domanda e dai suoi allegati risulta che l'associazione litigiosa, quale struttura mafiosa, può configurare gli estremi dell'organizzazione criminale secondo l'art. 260ter CP, ciò che del resto il ricorrente non contesta (riguardo ai criteri di una siffatta organizzazione, segnatamente l'esistenza di una struttura di gruppo concepita per durare a lungo, un'organizzazione fortemente gerarchizzata, il fine di lucro, l'assenza di trasparenza verso l'interno e verso l'esterno, l'uso della violenza e dell'intimidazione, la disponibilità di estendere la posizione dell'organizzazione nonché la sua influenza sulla politica e sull'economia, vedi il messaggio del Consiglio federale, FF 1993 III 196 e 209 seg. ; Gunther Arzt, CP 260ter, n. 114 segg. , pagg. 314 segg. e, sull'art. 416bis CP italiano, n. 92 pag. 304, in: Niklaus Schmid, editore, Kommentar Einziehung, organisiertes Verbrechen und Geldwäscherei, vol. 1, Zurigo 1998; sul confronto tra l'art. 260ter CP e l'art. 416bis CP italiano v. Nicolas Roulet, Das kriminalpolitische Gesamtkonzept im Kampf gegen das organisierte Verbrechen, tesi, Berna 1997, pag. 130 segg. ; Marc Forster, Kollektive Kriminalität. Das Strafrecht vor der Herausforderung durch das organisierte Verbrechen, Basilea, 1998, pag. 9, 14 seg. ; Arthur Hartmann, Die Mafia und ihre Strukturen, in Kriminalistik 2000, pag. 642 segg. ; sentenza inedita del 2 marzo 2000 in re E., consid. 4d, pronunciata in materia di estradizione, causa 1A.5/2000; sugli elementi oggettivi della nozione di associazione di tipo mafioso cfr. Alberto Crespi/Giuseppe Zuccalà, Commentario breve al Codice penale, Padova 1996, ad art. 416bis). 
 
 
c) Il ricorrente contesta invero che gli si possa rimproverare d'aver compiuto - personalmente - un reato. 
Tuttavia, come si è visto, tale assunto non regge, poiché la vicenda F.________ si riferisce proprio a lui. Inoltre, secondo la domanda estera, egli svolgeva funzioni di promotore, organizzatore e dirigente dell'associazione criminale. 
L'art. 260ter CP è stato d'altra parte adottato per la frequente difficoltà di fornire la prova della partecipazione del reo al singolo reato. Il problema della prova, ossia di sapere a chi spetti, all'interno dell'organizzazione criminale, la responsabilità di un reato concreto, è alla base dell'art. 260ter CP e lo ha determinato: la norma implica la criminalizzazione già dell'appartenenza all'organizzazione, senza che sia necessaria la prova d'aver partecipato a reati commessi dall'organizzazione (Günther Stratenwerth, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil II: Straftaten gegen Gemeininteressen, 5a ed., Berna 2000, n. 25 pag. 200; Forster, op. cit. , pag. 23; Arzt, op. cit. , n. 53-56 pag. 289 e, sulla nozione di partecipante all'organizzazione, n. 132/133 pag. 320 e n. 152 segg. pag. 327 segg.). 
 
Non appare quindi decisiva l'affermazione fatta durante il suo interrogatorio del 26 luglio 2000 a Zurigo dal dott. Scelsi della Procura di Bari, secondo cui non gli sarebbero addebitati episodi di armi, droga ed estorsioni, svolti dai gruppi criminali. In effetti, il ricorrente non è ricercato per aver commesso personalmente tali reati, ma per aver partecipato, essendo inserito con precisione di compiti nella struttura dirigenziale, all'associazione criminale che li avrebbe compiuti, ciò che è sufficiente dal profilo dell'art. 260ter CP. Il requisito della doppia punibilità è quindi adempiuto. L'art. 260ter CP persegue pure lo scopo di facilitare la collaborazione internazionale e di colmare una lacuna, non essendo fino alla sua introduzione realizzata la condizione della doppia punibilità, da cui dipende anche la concessione dell'assistenza giudiziaria (FF 1993 II 207; Stratenwerth, op. cit. , n. 18 pag. 198; Zimmermann, op. cit. , n. 360). 
 
 
d) Poiché nel Cantone Ticino non è stato aperto un procedimento per gli stessi fatti, all'estradizione non osta il principio "ne bis in idem", peraltro non invocato dal ricorrente, sancito dall'art. 9 CEEstr. Nell'istanza di sospensione della presente procedura il ricorrente rileva d'aver chiesto l'apertura, nel Cantone Ticino, di un procedimento penale nei suoi confronti per i reati degli art. 260ter e 305bis CP, ma non risulta che a questa domanda sia stato dato seguito. Non essendo il ricorrente perseguito per gli stessi fatti in Svizzera, neppure l'art. 8 CEEstr si oppone alla sua estradizione. 
 
 
Del resto, nella misura del possibile, l'estradizione deve permettere di esercitare l'azione penale nel luogo dove si trova il centro dell'attività delittuosa - in concreto l'Italia - dove l'associazione criminale svolgeva gran parte delle sue attività e dove è in corso un procedimento contro numerosi partecipanti dell'organizzazione criminale. 
In tal caso, neppure un'eventuale perseguibilità dei reati in Svizzera giustificherebbe il rifiuto dell' estradizione (DTF 117 Ib 210 consid. 3b/bb, 112 Ib 225 consid. 5b pag. 234, 109 Ib 317 consid. 11f pag. 328 seg. ; Zimmermann, op. cit. , n. 339-341). Accordando l'estradizione l'UFP non ha pertanto violato l'ampio potere di apprezzamento che gli compete e su cui il Tribunale federale interviene solo in caso di eccesso o di abuso (art. 80i cpv. 1 lett. a; DTF 117 Ib 210 consid. 3b). Secondo l'art. 7 cpv. 1 CEEstr, il rifiuto dell'estradizione costituisce una mera facoltà della Parte richiesta e nella fattispecie l' efficace perseguimento dei reati e dei numerosi partecipanti all'associazione in Italia, evidenti motivi di economia processuale e la possibilità di far esaminare nello Stato richiedente la globalità dei prospettati reati prevale sugli interessi privati del ricorrente ad avviare un procedimento in Svizzera. 
 
 
 
Neppure il procedimento aperto nei confronti del ricorrente dal Procuratore pubblico straordinario ticinese osta all'estradizione, visto che si tratta di violazioni alla legge federale concernente il domicilio e la dimora degli stranieri e di reati corruttivi, e non di quelli degli art. 260ter o 305bis CP
 
6.- L'emanazione del presente giudizio rende priva d'oggetto la domanda di revoca dell'ordine d'arresto e di scarcerazione. Al riguardo giova rilevare che la detenzione estradizionale è la regola (art. 50 cpv. 3 e 51 cpv. 1 AIMP; DTF 117 IV 359 consid. 2a e rinvio). 
 
Le spese seguono la soccombenza (art. 156 cpv. 1 OG). 
 
Per questi motivi 
 
il Tribunale federale 
 
pronuncia : 
 
1. Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
 
2. La tassa di giustizia di fr. 5000.-- è posta a carico del ricorrente. 
 
3. Comunicazione ai patrocinatori del ricorrente e all'Ufficio federale di giustizia (B 93568/02-DEM). 
Losanna, 20 aprile 2001 MDE 
 
In nome della I Corte di diritto pubblico 
del TRIBUNALE FEDERALE SVIZZERO: 
Il Presidente, 
 
Il Cancelliere,