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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
 
 
 
1C_144/2019  
 
 
Sentenza del 6 luglio 2021  
 
I Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Kneubühler, Presidente, 
Chaix, Jametti, Müller, Merz, 
Cancelliere Crameri. 
 
Partecipanti al procedimento 
1. Martino Colombo, 
2. Filippo Contarini, 
ricorrenti, 
 
contro 
 
Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino, 6501 Bellinzona, 
rappresentato dal Consiglio di Stato, 6501 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Modifica della legge sulla polizia del 12 dicembre 1989, 
 
ricorso contro la modifica della legge sulla polizia del 
12 dicembre 1989 decisa il 10 dicembre 2018 dal Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino. 
 
 
Fatti:  
 
A.  
Nel Bollettino ufficiale delle leggi n. 5/2019 del 5 febbraio 2019 (pag. 33-35), trascorsi infruttuosi i termini per l'esercizio del diritto di referendum, è stata pubblicata la modifica del 10 dicembre 2018 della Legge ticinese sulla polizia del 12 dicembre 1989 (LPol/TI; RL 561.100; accolta con 48 voti favorevoli, 12 contrari e 4 astensioni), entrata immediatamente in vigore con detta pubblicazione. La modifica prevede l'introduzione delle nuove seguenti norme: 
 
Art. 7c Custodia di polizia 
1 La polizia cantonale può porre provvisoriamente sotto custodia: 
a) persone che mettono in pericolo sé stesse o che possono rappresentare un pericolo per la sicurezza di terzi; 
b) persone che, per il loro comportamento, perturbano la sicurezza e l'ordine pubblico in modo grave ed imminente; 
c) persone al fine di garantire l'esecuzione di una decisione di consegna, di traduzione forzata, di allontanamento, di respingimento o di espulsione, ordinata dall'autorità competente. 
2 La persona presa in custodia va informata sul motivo del provvedimento e, se le circostanze lo consentono, deve esserle fornita l'opportunità di informare una persona di sua fiducia. Per persone minorenni o interdette deve essere informato il rappresentante legale. 
3 La persona può essere trattenuta in custodia di polizia per il tempo necessario, tuttavia al massimo per 24 ore. La misura deve essere disposta dall'ufficiale di polizia. 
4 Contro la misura della custodia di polizia è dato ricorso al giudice dei provvedimenti coercitivi entro 30 giorni dalla messa in custodia. Il ricorso non ha effetto sospensivo e si applica il codice di procedura penale svizzero. 
5 La persona presa in custodia deve essere sottoposta a visita medica se lo richiede espressamente, come pure se le sue condizioni psico-fisiche appaiono alterate o altri motivi lo impongano. 
6 La persona presa in custodia ha il diritto di farsi assistere da un patrocinatore. Il picchetto è assicurato dal servizio del picchetto degli avvocati della prima ora predisposto per le difese in ambito penale. Vale per analogia quanto disposto dall'art. 135 del codice di procedura penale. 
7 I costi, inclusi quelli per l'intervento del patrocinatore, vengono, di regola, addossati alla persona posta sotto custodia. La decisione sui costi può essere impugnata alla Corte dei reclami penali entro 30 giorni dalla notifica della decisione. 
Art. 7d Trattenuta e consegna di minorenni 
La polizia cantonale, se disposto dall'ufficiale, può trattenere minorenni per procedere al più presto, di regola entro 24 ore, alla loro riconsegna a chi ne detiene la custodia o all'autorità di protezione dei minori competente. 
Art. 9d Fonti confidenziali 
Per raccogliere informazioni utili allo svolgimento dei propri compiti, la polizia cantonale può, garantendone la confidenzialità, far ricorso alle rivelazioni di fonti confidenziali. 
Art. 9e Osservazione preventiva 
1 Per prevenire e impedire dei crimini e dei delitti, l'ufficiale di polizia cantonale può disporre, con preavviso annotato a giornale, che la polizia cantonale osservi discretamente persone, cose e luoghi liberamente accessibili, alle seguenti condizioni: 
a) in base a indizi concreti si può ritenere che potrebbe essere commesso un crimine o un delitto; e 
b) altre misure d'inchiesta risulterebbero vane o eccessivamente difficili. 
2 Nell'ambito di un'osservazione preventiva, gli agenti della polizia cantonale possono utilizzare, nei luoghi liberamente accessibili, dei dispositivi tecnici al fine di: 
a) ascoltare o registrare delle conversazioni; 
b) effettuare delle registrazioni video; 
c) localizzare persone o cose. 
3 Il prosieguo di un'osservazione preventiva oltre un mese necessita di un'autorizzazione da parte del Ministero pubblico. 
4 Gli art. 141 e 283 del codice di procedura penale svizzero sono applicabili per analogia. 
Art. 9f Indagine in incognito preventiva 
1 Prima dell'apertura di una procedura penale, al fine di riconoscere ed impedire dei reati, la polizia cantonale può disporre un'indagine in incognito, alle seguenti condizioni: 
a) in base a sospetti si può ritenere che sta per essere commesso un crimine o un delitto; 
b) la gravità o la particolarità del reato giustifica un'indagine in incognito; e 
c) le informazioni raccolte in precedenza non hanno dato esito positivo, altre misure d'inchiesta risulterebbero eccessivamente difficili o onerose da attuare, oppure risulterebbero vane o non sufficienti a garantire risultati adeguati. 
2 Il prosieguo di un'indagine in incognito preventiva oltre un mese necessita di un'autorizzazione del Ministero pubblico. 
3 Gli agenti impiegati nelle indagini in incognito non dispongono di un'identità fittizia; la loro vera identità e funzione, se necessario, figurano negli atti procedurali. 
4 Gli art. 141 e 298a-298d del codice di procedura penale (CPP) sono applicabili per analogia. 
Art. 9g Inchiesta mascherata preventiva 
1 Alfine di impedire o prevenire la commissione di crimini o delitti e prima di un'eventuale apertura di un procedimento penale, il Comandante della polizia cantonale può disporre un'inchiesta mascherata preventiva alle seguenti condizioni: 
a) in base ad indizi concreti si può ritenere che potrebbe venir commesso un crimine o un delitto ai sensi dell'art. 286 cpv. 2 del codice di procedura penale svizzero oppure per prevenire sommosse ai sensi dell'art. 260 del codice penale svizzero o gravi infrazioni alla legge federale sulla circolazione stradale del 19 dicembre 1958 (LCStr); 
b) la gravità o la particolarità del reato giustifica l'inchiesta mascherata preventiva; e 
c) le indagini già svolte non hanno dato esito positivo oppure altre misure d'inchiesta risulterebbero eccessivamente difficili o onerose da attuare, sproporzionate, vane o non sufficienti a garantire risultati adeguati. 
2 La polizia cantonale può avvalersi, per gli impieghi di inchieste mascherate preventive, di terze persone anche se prive di formazione professionale in materia di polizia. 
3 L'avvio di un'inchiesta mascherata preventiva è sottoposta all'approvazione del giudice dei provvedimenti coercitivi. 
4 Gli art. 141, 151 e 285a-298 del codice di procedura penale (CPP) sono inoltre applicabili per analogia. 
Art. 9h Costituzione di identità fittizie 
1 Il giudice dei provvedimenti coercitivi, su proposta del comandante della polizia cantonale e nell'ambito di un'inchiesta mascherata preventiva, può assegnare un'identità fittizia all'agente infiltrato, a terze persone e alla persona di contatto, allo scopo di garantirne l'anonimato. 
2 L'identità fittizia può essere allestita anticipatamente: a questo scopo il comandante della polizia cantonale può disporre l'allestimento di documenti fittizi o l'alterazione di documenti come pure l'impiego di altro materiale soggetto ad autorizzazione. 
3 Gli impieghi e l'identità fittizia degli agenti infiltrati sono strettamente confidenziali e non possono essere rivelati. Chi contravviene a queste disposizioni incorre in sanzioni disciplinari e/o penali. 
Art. 9i Segnalazioni ai fini della sorveglianza discreta 
(...) 
 
B.  
Avverso questa modifica, Martino Colombo e Filippo Contarini hanno presentato un ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale, chiedendo di annullare le norme appena citate, eccetto quella concernente le segnalazioni ai fini della sorveglianza discreta (art. 9i). 
 
Il Consiglio di Stato del Cantone Ticino, per sé e in rappresentanza del Gran Consiglio, propone di respingere in quanto ammissibile il ricorso. I ricorrenti, dopo aver chiesto una proroga, con replica del 27 giugno 2019 ribadiscono le loro conclusioni. 
 
 
Diritto:  
 
1.  
 
1.1. Secondo l'art. 82 lett. b LTF, il Tribunale federale giudica i ricorsi contro gli atti normativi cantonali, fra i quali rientra la modifica della LPol/TI, nella composizione di cinque giudici, quando sottostanno al referendum (art. 20 cpv. 3 LTF).  
 
1.2. Il diritto ticinese non prevede una procedura di un loro controllo astratto: questi atti sono quindi direttamente impugnabili davanti al Tribunale federale (art. 82 lett. b e art. 87 LTF; DTF 143 I 1 consid. 1.2; 142 V 395 consid. 1.1; sentenza 2C_657/2018 del 18 marzo 2021 consid. 1.1, non destinato alla pubblicazione).  
 
La contestata modifica legislativa, trascorsi infruttuosi i termini per l'esercizio del diritto di referendum, è stata pubblicata nel Bollettino ufficiale delle leggi del 5 febbraio 2019. Presentato entro il termine dell'art. 101 LTF, il ricorso è tempestivo (DTF 142 V 395 consid. 1.2). 
 
1.3. Secondo l'art. 89 cpv. 1 lett. b e c LTF, la legittimazione a impugnare un atto normativo cantonale spetta a chi ne è toccato attualmente o virtualmente e ha un interesse degno di protezione all'annullamento o alla modifica dello stesso. Per essere toccati virtualmente è sufficiente la prevedibilità che con un minimo di verosimiglianza i ricorrenti possano un giorno essere colpiti direttamente dalla normativa impugnata: l'interesse degno di protezione ai sensi dell'art. 89 cpv. 1 lett. c LTF può essere di natura giuridica o fattuale (DTF 146 I 62 consid. 2.1; 145 I 26 consid. 1.2; 145 V 128 consid. 2.1). Queste esigenze sono adempiute per entrambi i ricorrenti, domiciliati nel Cantone Ticino.  
Con il ricorso in materia di diritto pubblico è possibile far valere, tra l'altro, la violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF), nozione che comprende i diritti costituzionali dei cittadini (DTF 141 I 78 consid. 4.1). 
 
1.4. Le esigenze di motivazione previste per i ricorsi al Tribunale federale valgono anche per i gravami contro gli atti normativi cantonali (DTF 146 I 62 consid. 3; 141 I 78 consid. 4.1). Secondo l'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, occorre quindi spiegare perché l'atto impugnato viola il diritto. Questa Corte non è pertanto tenuta a vagliare tutte le questioni giuridiche che si pongono, se queste non sono presentate nella sede federale (DTF 145 II 153 consid. 2.1; 139 I 306 consid. 1.2). Per di più, quando i ricorrenti invocano, come in concreto, la violazione di diritti fondamentali, il Tribunale federale, in applicazione dell'art. 106 cpv. 2 LTF, esamina le censure soltanto se siano state esplicitamente sollevate e motivate in modo chiaro e preciso; critiche meramente appellatorie sono inammissibili e non possono essere esaminate nel merito (DTF 145 I 26 consid. 1.3; 142 I 99 consid. 1.7.2).  
 
I ricorrenti elencano una serie di diritti fondamentali che reputano violati, ma non si confrontano sempre con la relativa sfera di protezione, spiegando con una motivazione conforme alle esposte esigenze per quali ragioni la soluzione adottata dal legislatore cantonale sarebbe non soltanto opinabile, ma lesiva dello specifico diritto costituzionale, come a loro noto (vedi sentenza che li concerne 1C_211/2016 del 20 settembre 2018, consid. 1.7 non pubblicato in DTF 144 I 281, ma apparso in: RtiD I-2019 n. 6 pag. 18). Nella misura in cui si limitano a esporre in modo appellatorio il loro punto di vista, senza sostanziare una violazione del diritto, il ricorso disattende gli art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF e si rivela quindi inammissibile. Lo sono pure le generiche disquisizioni ricorsuali contenute nella premessa al ricorso, secondo cui le censurate norme, con accenno a sistemi totalitari, potrebbero diventare uno strumento di illimitato potere discriminatorio e antidemocratico. 
 
1.5. Nel quadro di un controllo astratto il Tribunale federale esamina di massima con piena cognizione un atto normativo cantonale, imponendosi nondimeno un certo riserbo, tenuto conto segnatamente dei principi derivanti dal federalismo e dalla proporzionalità (DTF 145 I 73 consid. 2, 26 consid. 1.4). Secondo la giurisprudenza, al riguardo è determinante se alla norma interessata possa essere attribuito un senso che la possa fare ritenere compatibile con le garanzie costituzionali invocate o con la CEDU. Il Tribunale federale annulla una disposizione cantonale solo se non si presta ad alcuna interpretazione conforme al diritto costituzionale o al diritto federale di rango superiore o se, in ragione delle circostanze, il suo tenore faccia temere con una certa verosimiglianza che venga interpretata in modo contrario agli stessi (DTF 146 I 70 consid. 4; 145 I 73 consid. 2, 26 consid. 1.4).  
 
Al riguardo occorre considerare la portata dell'ingerenza nel diritto fondamentale, la possibilità di ottenere una sufficiente protezione nel contesto di un successivo controllo puntuale della norma, le circostanze concrete in cui essa viene applicata, come pure la possibilità di una correzione nel caso di una sua applicazione e gli effetti sulla sicurezza del diritto. La semplice circostanza che in singoli casi la disposizione impugnata possa essere applicata in modo lesivo della Costituzione non conduce di per sé al suo annullamento da parte di questa Corte (DTF 146 I 70 consid. 4, 62 consid. 4; 145 I 73 consid. 2). All'interessato rimane infatti aperta la possibilità di addurre un'eventuale incostituzionalità nel caso di applicazione concreta della norma (DTF 143 I 137 consid. 2.2 e rinvii). Le spiegazioni fornite dalle autorità cantonali riguardo alla sua futura applicazione possono essere prese in considerazione (DTF 146 I 62 consid. 4; 145 I 73 consid. 2). Se una norma di applicazione generale appare difendibile sotto il profilo del diritto superiore in situazioni normali, come quelle che il legislatore poteva prevedere, la possibilità che in alcuni casi la sua applicazione potrebbe rivelarsi incostituzionale non può in linea di massima giustificare un intervento del giudice nell'ambito di un controllo astratto della norma (DTF 145 I 73 consid. 2). 
 
1.6. Il limite dell'interpretazione è costituito dal senso letterale chiaro e univoco della norma (DTF 146 I 62 consid. 4). Per delineare la portata della norma occorre procedere tenendo conto del suo testo (interpretazione letterale), dei lavori preparatori (interpretazione storica), dello scopo perseguito dal legislatore (interpretazione teleologica), nonché della relazione con altri disposti (interpretazione sistematica). Il Tribunale federale non privilegia nessuno di questi metodi, preferendo ispirarsi pragmaticamente a un pluralismo interpretativo (DTF 146 IV 249 consid. 1.3; 146 V 87 consid. 7.1).  
 
2.  
Il generico richiamo dei ricorrenti alla preminenza del diritto federale (art. 49 cpv. 1 Cost.) non dimostra che, in maniera generale, le criticate norme cantonali potrebbero sovrapporsi al diritto penale federale. Secondo questo principio, che può essere invocato quale diritto costituzionale individuale, i Cantoni non sono autorizzati a legiferare nelle materie disciplinate esaustivamente dal diritto federale; negli altri campi, essi non possono emanare norme giuridiche che violino sia il senso sia lo spirito del diritto federale e ne pregiudichino la sua realizzazione. Trattandosi del controllo astratto delle norme fondato sull'art. 49 Cost., il Tribunale federale esamina liberamente la conformità delle disposizioni cantonali con il diritto federale (DTF 145 IV 10 consid. 2.1; 144 I 281 consid. 4.2, 113 consid. 6.2; sulla competenza dei Cantoni a legiferare in materia di protezione dell'ordine e della sicurezza pubblici e per disciplinare l'attività preventiva della polizia, indipendente da un sospetto di reato e non fondata sul diritto processuale penale federale vedi DTF 140 I 353 consid. 5 e 5.1 con rinvii anche alla dottrina; sul diritto cantonale di polizia e sulle sue attività e compiti DTF 140 I 353 consid. 5.2). Su questo tema si ritornerà, ove necessario, nell'ambito dell'esame delle singole norme. 
 
3.  
Un atto normativo di portata generale viola il divieto dell'arbitrio (art. 9 Cost.), quando non si fonda su motivi obiettivi, seri o se è sprovvisto sia di senso sia di scopo (DTF 136 I 241 consid. 3.1). Al legislatore cantonale, organo politico soggetto a un controllo democratico, dev'essere riconosciuta una grande libertà nell'elaborazione delle leggi: esso dispone di un largo potere formatore, in particolare nelle materie che dipendono in maniera molto estesa da fattori politici. Non spetta al Tribunale federale rivedere l'opportunità delle scelte effettuate in tale ambito. Una norma legale non verrà pertanto annullata per il motivo che altre soluzioni potrebbero essere ravvisabili o addirittura preferibili (DTF 136 I 241 consid. 3.1; sentenze 1C_132/2015 del 16 agosto 2017 consid. 3.4, non pubblicato in DTF 143 II 568 e 2C_116/2014 del 16 agosto 2016 consid. 9.1). 
 
Il divieto dell'arbitrio è strettamente legato al principio dell'uguaglianza giuridica, che ne costituisce una forma particolare (DTF 141 I 235 consid. 7.1). Quest'ultimo principio, sancito dall'art. 8 cpv. 1 Cost., è leso da un atto normativo se a fronte di situazioni uguali opera distinzioni giuridiche su aspetti rilevanti non giustificate da motivi ragionevoli, oppure se sottopone a un regime identico situazioni che presentano differenze tali da rendere necessario un trattamento diverso (DTF 145 I 73 consid. 5.1; 144 I 113 consid. 5.1.1). 
L'ingiustificata uguaglianza rispettivamente la disparità di trattamento deve riferirsi a un aspetto sostanziale. Non può poi essere trascurato il fatto che una violazione dell'art. 8 cpv. 1 Cost. può comunque trovare una legittimazione negli obiettivi perseguiti dal legislatore (DTF 141 I 78 consid. 9.5), che fruisce di un ampio spazio di manovra (DTF 136 I 1 consid. 4.1; 133 I 249 consid. 3.3; sentenza 2C_116/2014, citata, consid. 12.2.1), che deve rispettare comunque il principio di uguaglianza (DTF 142 II 182 consid. 2.2.2; sentenza 1C_132/2015, citata, consid. 3.5, non pubblicato in DTF 143 II 568). 
 
4.  
 
4.1. Il ricorso è incentrato e si esaurisce in larga misura sulla pretesa indeterminatezza e astrattezza dei comportamenti che potrebbero rientrare nel campo di applicazione delle criticate norme, le quali non rispetterebbero sufficientemente le esigenze poste dal principio di legalità. I ricorrenti fanno valere, in maniera invero assai generica, visto che non si confrontano con le precisazioni e le necessarie distinzioni operate in tale ambito dalla giurisprudenza, una violazione del principio della densità normativa sotto il profilo della sicurezza del diritto.  
 
4.2. Secondo l'art. 36 cpv. 1 Cost., le restrizioni dei diritti fondamentali devono avere una base legale, quelle gravi devono essere previste da una legge in senso formale. La gravità della limitazione dev'essere valutata oggettivamente e non in funzione dell'impressione soggettiva del destinatario. Occorre inoltre verificare se la base legale offra le garanzie di chiarezza e di trasparenza imposte dal diritto costituzionale ai sensi della "densità normativa" (DTF 143 I 310 consid. 3.3.1). Le restrizioni devono inoltre essere giustificate da un interesse pubblico o dalla protezione di diritti fondamentali altrui ed essere proporzionate allo scopo (art. 36 cpv. 2 e 3 Cost.). Rientrano nell'interesse pubblico in particolare la protezione dell'ordine e della sicurezza pubblici (DTF 144 I 281 consid. 5.3.1).  
 
La LPol/TI, contrariamente alle normative di altri Cantoni (cfr. § 10 PolG/ZH, art. 45 cpv. 1 LPol/GE, § 7 PolG/BS, art. 22 LPol/VS, § 4 PolG/ZG, art. 3 PG/SG e § 5 PolG/SZ), non prevede una norma specifica relativa all'applicazione del principio della proporzionalità nell'ambito delle varie attività di polizia: esso dev'essere nondimeno preso in considerazione nel quadro di ogni provvedimento di polizia (DTF 136 I 87 consid. 3.2). Questo principio riveste una notevole importanza ed è sancito dall'art. 5 cpv. 2 Cost. e, quale espressione della limitazione dei diritti fondamentali, dall'art. 36 cpv. 3 Cost. e dall'art. 8 n. 2 CEDU. Esso esige che il provvedimento sia idoneo e necessario a raggiungere lo scopo prefisso e che sussista un rapporto ragionevole tra questo scopo e i mezzi impiegati, rispettivamente gli interessi compromessi (DTF 146 I 70 consid. 6.4 e 6.4.2; 145 I 297 consid. 2.4.3.1; 143 I 403 consid. 5.6.3). Nell'ambito della tutela dell'ordine pubblico, esso implica segnatamente che le misure di polizia siano dirette contro il perturbatore, mentre la valutazione del loro carattere ragionevolmente esigibile presuppone un'ampia ponderazione degli interessi pubblici e privati in discussione (DTF 144 I 281 consid. 5.3.1). Esso richiede inoltre che una misura restrittiva sia in grado di produrre i risultati previsti (regola dell'idoneità) e ch'essi non possano essere raggiunti con una misura meno incisiva (regola di necessità); questo principio vieta inoltre ogni tipo di limitazione che va oltre lo scopo perseguito e richiede una relazione ragionevole tra quest'ultimo e gli interessi pubblici o privati interessati (principio di proporzionalità in senso stretto, che implica una ponderazione degli interessi; DTF 145 I 297 consid. 2.4.3.1, 73 consid. 7.1.1). 
 
Il principio di legalità costituisce, analogamente al principio della proporzionalità (art. 5 cpv. 2 Cost.), un principio costituzionale, ma non anche un diritto costituzionale. Esso è ancorato all'art. 5 cpv. 1 Cost. e stabilisce che il diritto è fondamento e limite dell'attività dello Stato. Ciò significa in particolare che un atto statale deve fondarsi su una base legale sufficientemente precisa, emanata da un organo competente. Questo principio intende garantire in particolare una chiara definizione dei compiti dello Stato e al tempo stesso tenere conto delle esigenze, dal profilo dello stato di diritto, della prevedibilità dell'azione statale (sul principio di legalità ai sensi dell'art. 1 CP vedi DTF 145 IV 329 consid. 2.2). Il principio della legalità nel senso dell'art. 36 cpv. 1 Cost. impone una sufficiente e adeguata determinatezza delle norme giuridiche applicabili. 
 
4.3. I ricorrenti disattendono tuttavia che secondo la giurisprudenza, quest'ultima esigenza non dev'essere intesa in modo assoluto e astratto, come da essi preteso. Il legislatore non può infatti rinunciare a utilizzare nozioni generali e più o meno indeterminate, la cui interpretazione e applicazione dev'essere lasciata alla prassi (DTF 146 I 70 consid. 6.2.2). Contrariamente a quanto essi parrebbero sostenere, il necessario grado di determinatezza non può infatti essere stabilito in modo astratto, ma dipende tra l'altro dalla molteplicità delle fattispecie disciplinate, dalla complessità e prevedibilità della decisione nel singolo caso, dai destinatari della norma, dalla gravità dell'ingerenza nei diritti fondamentali e dalla possibilità di pronunciare una decisione oggettivamente giustificata solo nell'ambito della concretizzazione nel singolo caso. L'indeterminatezza delle norme può essere compensata inoltre in una certa misura mediante garanzie procedurali e tenendo conto del principio della proporzionalità.  
 
4.4. Nel campo del diritto di polizia, l'esigenza della determinatezza pone infatti difficoltà particolari, visto che i compiti di polizia e le nozioni di "ordine" e di "sicurezza pubblica" si lasciano difficilmente delimitare astrattamente. L'attività di polizia è in effetti generalmente diretta contro pericoli non individualmente prevedibili e dev'essere adattata alle circostanze concrete. La difficoltà di disciplinare le attività della polizia è uno dei motivi del riconoscimento della clausola generale di polizia all'art. 36 cpv. 1 terzo periodo Cost. (DTF 143 I 310 consid. 3.3.1; 143 II 162 consid. 3.2.1; sulla portata di questa clausola vedi DTF 147 I 161 consid. 5; con riferimento al Concordato sulle misure contro la violenza in occasione di manifestazioni sportive vedi sentenza 1C_94/2009 del 16 novembre 2011 consid. 7.4, in: RtiD I-2011 n. 1).  
 
In effetti, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, l'esigenza di precisione di una norma deriva dal principio generale di legalità, ma anche da quelli della sicurezza del diritto e dell'uguaglianza dinanzi alla legge. Le norme giuridiche devono essere formulate in maniera così precisa da consentire gli assoggettati di orientarvi il loro comportamento e di poter individuare con un grado di certezza conforme alle circostanze le conseguenze di una determinata condotta; anche la Corte dei diritti dell'uomo esige che la limitazione delle garanzie della CEDU si fondi su una sufficiente determinatezza della base legale (DTF 144 I 126 consid. 6.1; 143 I 310 consid. 3.3.1; vedi anche DTF 144 I 242 consid. 3.1.2; PATRICK VON HAHN, Ermittlungen ohne Verdacht, 2019, pag. 111 segg. e pag. 46 segg. sulle competenze in materia di polizia). L'esigenza della densità normativa non è tuttavia assoluta, poiché non si può esigere dal legislatore che rinunci totalmente a far capo a nozioni generali, comportanti necessariamente una parte d'interpretazione. Ciò è dovuto in primo luogo alla natura generale e astratta inerente a ogni norma giuridica, nonché alla necessità che ne deriva di lasciare alle autorità d'applicazione un certo margine di manovra al momento della concretizzazione della norma. Per determinare il grado di precisione che si ha il diritto di esigere dalla legge, occorre tener conto della cerchia dei suoi destinatari e della gravità delle ingerenze nei diritti fondamentali ch'essa autorizza (DTF 138 I 378 consid. 7.2). Una limitazione grave esige in principio una base legale formale, chiara e precisa, mentre quelle meno gravi possono, per il tramite di una delega legislativa, risultare da atti di livello inferiore alla legge, o trovare il loro fondamento nella clausola generale, in concreto di polizia, questione che il Tribunale federale esamina liberamente (DTF 122 I 360 consid. 5b/bb; sentenza 2C_889/2013 del 20 ottobre 2014 consid. 6.2.2 in fine). In concreto è pacifico che, per lo meno alcune delle criticate norme possono costituire un'ingerenza grave nei diritti fondamentali degli interessati. 
 
4.5. I ricorrenti rilevano che la modifica della LPol/TI non è stata accompagnata da un regolamento adattato alle nuove norme, né da prescrizioni d'ordine o direttive interne alla polizia, che comunque non potrebbero colmare le criticate lacune.  
 
Nella risposta il Governo cantonale precisa che le disposizioni operative sono sancite da ordini di servizio interni, condivisi dal pubblico ministero. Nell'ambito delle delibere parlamentari era stato proposto di obbligare il Consiglio di Stato a emanare un regolamento d'applicazione che precisasse le competenze e il margine di manovra della polizia riguardo agli art. 7c, 7d e 9d-9i LPol/TI. Rilevato che secondo il Procuratore generale era sufficiente emanare direttive interne ritenendo più logico che fosse la polizia ad allestire e a emanare un ordine di servizio in unione con il pubblico ministero, l'emendamento, seguendo la maggioranza della Commissione, è stato respinto. La questione sarà, ove necessario, esaminata in seguito. 
 
Custodia di polizia 
 
5.  
 
5.1. I ricorrenti, che criticano unicamente i capoversi 1 a 4 del nuovo art. 7c LPol/TI, adducono che questa norma, troppo vaga e indeterminata, violerebbe gli art. 5 CEDU e 31 cpv. 1 Cost., nonché il principio della densità normativa. Ciò nella misura in cui prevederebbe la privazione della libertà in casi non contemplati dalla richiamata disposizione costituzionale, secondo cui nessuno può essere privato della libertà se non nei casi previsti dalla legge e secondo le modalità da questa descritte. Essi non spiegano tuttavia perché la norma litigiosa non adempirebbe le condizioni imposte dalle invocate norme, che si riferiscono peraltro all'arresto e alla detenzione. Al riguardo adducono semplicemente che non sarebbero definite le condizioni che potrebbero condurre a una custodia, poiché, diversamente dal § 25 lett. a PolG/ZH, la norma ticinese non specificherebbe la serietà, la gravità e l'imminenza del pericolo per sé stessi o per terzi, e neppure la necessità di adottare la criticata misura. Non sostengono che la custodia di polizia, che parrebbero confondere con la detenzione in ambito penale, lederebbe il principio della forza derogatoria del diritto federale (art. 49 cpv. 1 Cost.).  
 
5.2. Nel messaggio n. 7496 del 30 gennaio 2018, il Consiglio di Stato sottolinea che scopo della criticata modifica è di fornire alla polizia cantonale strumenti di inchiesta che le consentano di prevenire e impedire la commissione di crimini e delitti. In effetti, la misura in esame è volta principalmente alla prevenzione di violenze e non presenta un carattere penale e repressivo, né viene adottata in relazione alla commissione di reati, né persegue lo scopo di migliorare l'interessato: costituisce quindi un provvedimento di natura di polizia volto a tutelare la sicurezza, la cui adozione non implica un rimprovero di natura penale, né viola la presunzione di innocenza, trattandosi di una misura di natura amministrativa (DTF 137 I 31 consid. 4.3, 4.4 e 5.2; 136 I 87 consid. 6.5; 134 I 125 consid. 4.1).  
 
5.3. Come si vedrà, seppure non esplicitamente ripresa, in applicazione del principio di proporzionalità, la condizione di un pericolo grave e imminente deve valere anche per la fattispecie prevista dall'art. 7c cpv. 1 lett. a LPol/TI. Il messaggio governativo prevedeva infatti espressamente che il pericolo dovesse essere grave e imminente anche per la lett. a della norma in esame, testo rimasto invariato pure nel rapporto di maggioranza. Lo stralcio delle condizioni "in modo grave ed imminente" è avvenuto, invero in maniera poco intelligibile, nel quadro delle deliberazioni parlamentari. In tale ambito si rileva che si tratta di una riformulazione, poiché il testo proposto dal Governo adempie ai presupposti del reato dell'art. 129 CP (esposizione a pericolo della vita altrui; estratto dal verbale del Gran Consiglio, seduta XXVII, lunedì 10 dicembre 2018, bozza pag. 26 seg.). Nella risposta, il Governo cantonale osserva tuttavia, rettamente, che dagli atti parlamentari non emerge alcuna intenzione di cambiare il senso della norma zurighese, disposizione che rispetta il principio della densità normativa e alla quale si ispira la disposizione ticinese (al riguardo e sul cd. "polizeilicher Gewahrsam", vedi DTF 136 I 87 consid. 6; BEAT OPPLIGER/STEFAN HEIMGARTNER, in DONATSCH/JAAG/ZIMMERLIN, [ed.], PolG: Kommentar zum Polizeigesetz des Kantons Zürich, 2018 [in seguito: Kommentar PolG/ZH], n. 8 pag. 246 al § 25). Aggiunge che il perturbamento della sicurezza dev'essere grave e imminente, ossia una situazione che presuppone un intervento immediato della polizia. Non è quindi ravvisabile alcuna volontà di modificare il senso e la portata del testo originario o che imporrebbe d'interpretare in altra maniera la criticata norma e di non applicarla in tal modo in futuro, come espressamente sottolineato dal Governo nella risposta: queste spiegazioni dell'autorità riguardo alla futura applicazione della norma in esame sono pertanto vincolanti, nel senso che il pericolo dev'essere grave e imminente anche riguardo all'applicazione della lettera a dell'art. 7c cpv. 1 LPol/TI (DTF 146 I 62 consid. 4; 145 I 73 consid. 2). Nell'applicare l'art. 7c cpv. 1 lett. a LPol/TI la polizia e le autorità cantonali sono quindi obbligate ad attenersi a queste spiegazioni e assicurazioni, nel senso che il pericolo dev'essere grave e imminente.  
 
5.3.1. Riguardo all'art. 7c cpv. 1 lett. a e b LPol/TI i ricorrenti, richiamano il messaggio governativo nel quale si citano come esempi la persona sotto l'effetto di sostanze alcoliche o di altro genere e che non è più in grado di agire coscienziosamente o che minaccia di togliersi la vita, o una persona in scompenso psichiatrico in attesa d'essere visitata da un medico, ossia la cosiddetta "custodia di protezione (Schutzgewahrsam) ". Al riguardo l'esempio addotto dagli insorgenti, secondo cui un consumo moderato di alcolici non potrebbe rientrare in questa fattispecie, è del tutto inconferente. È infatti manifesto che un tale consumo non implica un pericolo per l'interessato né per la sicurezza di terzi, né comporta di massima una grave e imminente perturbazione della sicurezza e dell'ordine pubblico.  
 
5.3.2. Ininfluente è pure l'accenno al motivo di privazione della libertà di una persona alcolizzata di cui all'art. 5 n. 1 lett. e CEDU, e il richiamo, senza esprimersi oltre, delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo nelle cause Petschulies contro Germania (ricorso n. 6281/13 del 2 giugno 2016 § 65) e Kharin contro Russia (ricorso n. 37345/03 del 3 febbraio 2011 § 34). In queste sentenze non è stata peraltro ritenuta una violazione della Convenzione, qualora non si tratti semplicemente, per l'appunto, di un problema di alcolismo, visto che il consumo di alcol deve comportare, come nel quadro della norma litigiosa, un pericolo per sé o per l'ordine pubblico. Adducendo che occorrerebbe dimostrare l'effettiva pericolosità dell'individuo, che il pericolo dovrebbe essere presente e non formulato in modo ipotetico e che la custodia dovrebbe essere necessaria, i ricorrenti disattendono che, come visto, il rispetto di questi presupposti può essere valutato di massima soltanto al momento della loro applicazione con riferimento alle specificità del caso concreto (DTF 146 I 70 consid. 6.2.2). Contrariamente all'assunto ricorsuale, l'effettiva pericolosità del consumo di alcool non può essere fissata tassativamente nella legge di polizia, ritenuto che la pericolosità del comportamento che ne potrebbe derivare dipende dalla situazione reale e dall'agire specifico degli interessati. Anche gli ulteriori esempi citati dai ricorrenti riguardo alla lett. b, ossia una manifestazione non autorizzata, ma pacifica che non crea pericolo quale la raccolta di firme sulla via pubblica o un gruppo di amici che ritrovandosi a bere potrebbero successivamente provocare degli schiamazzi, non sono per nulla rilevanti, né plausibili o convincenti. In effetti, in siffatti casi, in applicazione del principio di proporzionalità, sarebbe chiaramente sufficiente disperdere se del caso il gruppo o fare sgombrare i luoghi, visto che non sarebbero adempiute le necessarie, imprescindibili condizioni di un pericolo grave e imminente giustificante una custodia di polizia. Ne segue che la pretesa indeterminatezza della norma non viola né la Costituzione né la CEDU.  
 
5.3.3. In relazione all'art. 7 cpv. 1 lett. b LPol/TI, i ricorrenti eccepiscono che il concetto di perturbamento della "sicurezza e dell'ordine pubblico" sarebbe troppo vago e quindi lesivo del principio della densità normativa. Adducono ch'esso, poiché astratto, si presterebbe anche a interpretazioni errate e fuorvianti. Esso potrebbe comportare un campo di applicazione ipoteticamente infinito, poiché qualunque tipo di situazione potrebbe ricadere sotto il rispetto dell'ordine pubblico, come feste con un livello acustico relativamente elevato, ragazzi che di notte alzano un po' la voce, un gruppo di amici che, ritrovandosi a bere, ipoteticamente potrebbero dare adito a schiamazzi. Sostengono che l'asserita indeterminatezza potrebbe implicare effetti indiretti (cd. "chilling effect", "effetto dissuasivo"; al riguardo vedi DTF 146 I 11 consid. 3.2; 143 I 147 consid. 3.3 con numerosi rinvii) su altri diritti costituzionali, quali la libertà di associazione e di riunione sindacale.  
Ora, adducendo, manifestamente a torto, che "qualsiasi" imminente perturbamento della sicurezza e dell'ordine pubblico potrebbe condurre a una custodia di polizia, i ricorrenti misconoscono ch'esso dev'essere anche "grave", ciò che non si verifica per gli esempi da loro indicati. L'accenno al titolo dodicesimo del CP, relativo ai crimini o delitti contro la tranquillità pubblica (art. 258 segg. CP), è inconferente, ritenuto ch'essi sostengono a torto che la custodia di polizia sarebbe uno strumento repressivo e non preventivo (DTF 137 I 31 consid. 4.3, 4.4 e 5.2). L'assunto, che richiama l'abrogato art. 355 CP, è ininfluente, né si è in presenza di una violazione della preminenza del diritto federale (art. 49 cpv. 1 Cost.). Come visto, la protezione dell'ordine e della sicurezza pubblici (cfr. art. 1 cpv. 1 LPol/TI) spetta ai Cantoni. Nei loro ambiti di competenza, i Cantoni possono di principio integrare nelle regolamentazioni di diritto pubblico delle norme di diritto penale destinate ad assicurarne il rispetto. Il Tribunale federale ha già avuto modo di precisare che ingerenze nella tranquillità pubblica non sono disciplinate in modo esaustivo dagli art. 258 segg. CP (DTF 144 I 281 consid. 4.3; 117 Ia 472 consid. 2b). La norma in esame non interferisce in questo ordinamento. 
 
5.3.4. Anche l'accenno ricorsuale al fatto che la norma ticinese, contrariamente al § 25 lett. b del PolG/ZH ("Die Polizei darf eine Person in Gewahrsam nehmen, wenn sie voraussichtlich der fürsorgerischen Hilfe bedarf"), non implicherebbe una valenza di aiuto alla persona in difficoltà non regge. In effetti, l'art. 7c cpv. 5 LPol/TI dispone che la persona presa in custodia dev'essere sottoposta a visita medica se lo richiede espressamente, come pure quando le sue condizioni psico-fisiche appaiono alterate o lo imporrebbero altri motivi.  
 
A ciò nulla muta l'accenno, sotto il profilo della densità normativa, all'art. 23 della legge ticinese sull'assistenza sociopsichiatrica del 2 febbraio 1999 (LASP; RL 806.100). Secondo questa norma, una persona può essere collocata in un'Unità terapeutica riabilitativa coattivamente per motivi di polizia solo se costituisce con grande probabilità un pericolo grave e imminente per la propria o altrui vita e salute, evitabile solo con la privazione della libertà e se il collocamento è suscettibile di favorire l'adozione di interventi terapeutici o riabilitativi. Questa disposizione persegue in effetti uno scopo preciso e diverso. 
 
5.4. Riguardo all'art. 7 cpv. 2 LPol/TI, i ricorrenti rilevano che, contrariamente a quanto disposto dall'art. 31 cpv. 2 Cost., l'interessato non verrebbe informato "immediatamente" e in una "lingua a lui comprensibile" sui diritti che gli spettano. Poiché la contestata norma non esplicita queste garanzie, la stessa dovrebbe essere annullata.  
 
Nella risposta il Governo aggiunge, rettamente, che l'ulteriore accenno ricorsuale alla mancata indicazione dell'obbligo d'informare l'interessato sul diritto di non accusarsi è ininfluente, visto che non si tratta di un fermo o di un arresto provvisorio, ma di una temporanea privazione della libertà extragiudiziale per proteggere le persone. Al riguardo i ricorrenti parrebbero confondere del resto il fatto che la persona presa in custodia dev'essere informata sul motivo del provvedimento con le informazioni che la polizia o il pubblico ministero devono fornire all'imputato durante il primo interrogatorio, in particolare circa la facoltà di non rispondere (art. 158 CPP). 
 
Il Governo cantonale precisa poi che l'immediatezza dell'informazione dipende dalle circostanze concrete della fattispecie, accennando al fatto che se l'interessato non è interrogabile a causa del suo stato psico-fisico (stato di ebrietà o confusionale), un'informazione immediata non verrebbe compresa, ciò che si sarebbe voluto intendere con la formulazione "se le circostanze lo permettono". Certo, come rilevato nella replica dai ricorrenti, quest'espressione si riferisce tuttavia all'opportunità di informare una persona di sua fiducia, e non all'immediatezza dell'informazione. Ciò nulla muta al fatto che, come precisato nelle osservazioni dal Governo, l'attuazione della garanzia d'essere informati immediatamente in una lingua comprensibile è pacifica, essendo già sancita dal CPP, dalla Costituzione e dalla CEDU, ciò che i ricorrenti di per sé non censurano. Anche l'art. 24d cpv. 3 PolG/SH, richiamato dal Governo, non prevede espressamente l'obbligo d'informare l'interessato in una lingua a lui comprensibile, ciò che è comunque manifesto per la dottrina (JÜRG MARCEL TIEFENTHAL, Kantonale Polizeihoheit: Eine systematische Darstellung des kantonalen Polizeirechts anhand des Schaffhauser Polizeigesetzes, 2016, n. 18 ad art. 24d pag. 634). Anche su questo punto la spiegazione e l'assicurazione fornita dal Consiglio di Stato vincolano le autorità di polizia ticinesi. 
 
5.5. I ricorrenti adducono che anche l'art. 7c cpv. 3 LPol/TI sarebbe lesivo dell'art. 31 Cost., perché non si capirebbe cosa si dovrebbe intendere per il "tempo necessario", visto che gli scopi della custodia non sarebbero sufficientemente definiti. Come visto, quest'ultimo assunto è infondato. Aggiungono, perentoriamente e in maniera del tutto generica, che sarebbe probabile che il limite massimo di 24 ore diverrebbe la regola, ipotizzando che la polizia potrebbe fermare dei cittadini alla fine di un evento sportivo, politico o sindacale, deducendone una violazione dei principi di proporzionalità e della densità normativa.  
 
Queste semplici supposizioni e congetture, che disattendono le esigenze di motivazione dell'art. 42 LTF, non dimostrano che la criticata norma non potrebbe prestarsi ad alcuna interpretazione conforme al diritto costituzionale o federale o che, visto il suo tenore, con una certa verosimiglianza essa verrebbe interpretata in modo contrario agli stessi (DTF 145 I 26 consid. 1.4). Né, riguardo alla durata massima di 24 ore, i ricorrenti si confrontano con la relativa prassi, alla quale, per brevità, si rinvia (DTF 136 I 87 consid. 6.3). 
 
Nella risposta, il Consiglio di Stato rileva del resto, rettamente, che nell'ambito di interventi alla fine di un evento sportivo non si sarebbe in presenza della criticata custodia di polizia, ma semmai di un fermo preventivo di polizia ai sensi dell'art. 8 del Concordato sulle misure contro la violenza in occasione di manifestazioni sportive del 15 novembre 2008 (RL 569.200; sentenza 1C_94/2009, citata, in relazione con le correlate modifiche della LPol/TI, segnatamente gli art. 10b e 10d LPol/TI). Il Governo precisa che, sebbene non siano esplicitati in un regolamento - in effetti nel regolamento sulla polizia del 6 marzo 1990 (RL 561.110) non figura alcun adeguamento alle norme litigiose - le varie fasi della custodia (motivi, inizio durata ecc.) vengono protocollate in un rapporto di polizia e registrate nel giornale di polizia. 
 
5.6. Riguardo all'art. 7c cpv. 4 LPol/TI, i ricorrenti definiscono criticabile la scelta, operata nel quadro del dibattito parlamentare, di prevedere il ricorso al giudice dei provvedimenti coercitivi (GPC) anziché al Tribunale cantonale amministrativo, com'era inizialmente previsto nel messaggio governativo. Questa soluzione lederebbe l'art. 31 cpv. 4 Cost., secondo cui chi è privato della libertà in via extragiudiziale ha diritto di rivolgersi in ogni tempo al giudice, che decide il più presto possibile sulla legalità del provvedimento. Ciò perché il GPC è un'autorità penale che esercita le competenze derivanti dal CPP, quali la carcerazione preventiva e quella di sicurezza (art. 18 cpv. 1 CPP), nonché quelle conferitegli da altre leggi (art. 71 cpv. 1 della legge ticinese sull'organizzazione giudiziaria del 10 maggio 2006, LOG, RL 177.100). Rilevano che nel Cantone Ticino il GPC funge anche da giudice dell'applicazione della pena, con giurisdizione sull'intero territorio del Cantone (art. 73 cpv. 1 LOG), deducendone un evidente rischio d'imparzialità, perché l'interessato potrebbe comparire davanti allo stesso giudice per la medesima fattispecie, per essere giudicato in applicazione di due leggi di natura completamente diversa.  
 
5.6.1. Ora, visto che il GPC ha giurisdizione sull'intero territorio cantonale, non parrebbe escluso che GPC differenti potrebbero statuire su siffatti casi, motivo per cui, nell'ambito del controllo astratto, la norma litigiosa può prestarsi a un'interpretazione conforme al diritto costituzionale. Certo, al riguardo gli insorgenti osservano che il Tribunale cantonale amministrativo, in una sentenza del 29 maggio 2006 (incarto n. 52.2006.159), anteriore quindi all'entrata in vigore del CPP, aveva stabilito che l'allora Giudice dell'istruzione e dell'arresto (GIAR, ora GPC) non poteva essere considerato un giudice indipendente e imparziale quando agiva fuori dal diritto penale, ciò che al loro dire avverrebbe in concreto, visto che la custodia di polizia è inerente al diritto pubblico.  
 
Nel messaggio si indica che il ricorso al Tribunale cantonale amministrativo era dato analogamente a quanto era previsto dal fermo preventivo di polizia nell'ambito delle misure contro la violenza in occasione di manifestazioni sportive e in altre manifestazioni, conformemente agli art. 10c cpv. 2 e 10d cpv. 2 LPol/TI. Nel quadro del dibattito parlamentare è stato rilevato che appare tuttavia insensato attribuire al Tribunale cantonale amministrativo il compito di pronunciarsi su una privazione della libertà che è di natura coercitiva e presenta quindi affinità con il fermo di polizia, l'arresto provvisorio e la carcerazione preventiva e di sicurezza. È stato osservato inoltre che per l'inchiesta mascherata preventiva e per l'assegnazione di identità fittizie le nuove norme prevedono il ricorso al GPC, motivo per cui per logica e unità di materia, egli dev'essere il giudice competente anche per la custodia di polizia. Nella risposta il Consiglio di Stato aggiunge che il GPC è già organizzato in modo tale da poter garantire decisioni celeri. 
Le generiche critiche ricorsuali non si confrontano con la prassi secondo cui, riguardo alla custodia di polizia, la protezione giuridica garantita dall'art. 31 cpv. 4 Cost., che conferisce una tutela più estesa di quella dell'art. 5 n. 4 CEDU, esige di potersi rivolgere direttamente a un'autorità giudiziaria, ciò che sarebbe difficilmente compatibile qualora tale competenza fosse attribuita al Tribunale cantonale amministrativo (DTF 136 I 87 consid. 6.5.1-6.5.4). I ricorrenti misconoscono inoltre che nella sentenza 1C_94/2009, citata (consid. 4.2.2 e 4.2.3), è stato rilevato che l'art. 10c cpv. 2 LPol/TI, secondo cui contro la misura del fermo preventivo di polizia è dato il ricorso al Tribunale cantonale amministrativo, non è conforme all'esigenza dell'art. 31 cpv. 4 Cost. di poter rivolgersi in ogni tempo al giudice: quella norma non poteva tuttavia essere annullata poiché adottata in applicazione delle previgenti normative federali, ciò che non si verifica nel caso in esame. 
 
5.6.2. I ricorrenti fanno valere infine, invero in maniera difficilmente intelligibile, che poiché la LPol/TI non imporrebbe di registrare la data, l'ora, il luogo, il nome del detenuto e il motivo della sua custodia, l'interessato non potrebbe utilizzare in maniera effettiva il diritto di ricorso. Essi disattendono che l'art. 7c cpv. 2 LPol/TI impone d'informare la persona presa in custodia sul motivo del provvedimento; mal si comprende inoltre che la stessa, per lo meno al momento d'inoltrare il ricorso, non sia a conoscenza delle sue generalità, a maggior ragione visto che può farsi assistere da un patrocinatore (art. 7c cpv. 6 LPol/TI). Nella risposta il Governo precisa poi che le varie fasi della custodia cautelare (motivi, inizio, durata, ecc.), sebbene non siano esplicitate in un regolamento, vengono protocollate in un rapporto di polizia, conformemente al principio della documentazione e registrate nel giornale di polizia, ciò che i ricorrenti non contestano nella replica.  
 
Ne segue che, nelle descritte circostanze, l'art. 7c cpv. 1-4 LPol/TI non lede il diritto federale e la Costituzione. 
 
Trattenuta e consegna di minorenni 
 
6.  
I ricorrenti adducono che il nuovo art. 7d LPol/TI non permetterebbe di comprendere quali comportamenti potrebbero implicare una trattenuta di minorenni, né in che luogo essi verrebbero trattenuti. Queste indeterminatezze e astrattezze violerebbero i principi della densità normativa e della sicurezza del diritto. Al loro dire, la norma, che non indica i motivi e le garanzie previsti per la custodia di polizia, permetterebbe quindi di trattenerli senza una messa in pericolo degli stessi o della sicurezza o dell'ordine pubblico e, sproporzionatamente, non solo per 24 ore. Sostengono che la consegna all'autorità competente sarebbe ingiustificata, visto che non vengono formulati il motivo e lo scopo della trattenuta: ne deducono che la polizia potrebbe quindi controllare e limitare la libertà personale dei minorenni senza troppi impedimenti legislativi. 
 
6.1. I ricorrenti potrebbero avere figli minorenni, motivo per cui non è escluso ch'essi, per lo meno virtualmente, potrebbero essere toccati dalla criticata misura.  
 
La contestata norma può chiaramente essere interpretata in maniera conforme alla Costituzione, nella misura in cui la riconsegna e l'affidamento di minorenni a chi ne detiene la custodia o all'autorità di protezione dei minori competente, presuppone, implicitamente, ch'essi si siano sottratti a tale autorità o a chi ne detiene la custodia. 
 
Nella DTF 136 I 87 consid. 7, che si riferisce al § 28 PolG/ZH ("Vor-, Zu- und Rückführung") e a tale misura nel quadro della custodia di polizia ai sensi del § 25 lett. d PolG/ZH, si rileva che questa norma può essere riferita all'art. 5 n. 1 lett. b CEDU. Trattasi in effetti di una forma specifica dell'assistenza amministrativa e di aiuto ad atti esecutivi, in vista di garantire l'attuazione di obblighi imposti da differenti leggi. Siffatte norme si limitano a conferire in maniera astratta alla polizia la competenza a eseguire decisioni amministrative e giudiziarie: la questione di sapere a quali condizioni e in quali ambiti possa avere luogo la riconsegna dei minori a chi ne detiene la custodia o all'autorità di protezione competente è quindi disciplinata dalle basi legali inerenti alle differenti materie specifiche, per esempio l'art. 296 e segg. CC, come indicato nel messaggio governativo. Queste consegne devono rispettare inoltre il principio costituzionale della proporzionalità. La specifica forma di riconsegna del § 25 lett. d PolG/ZH (riguardo ai minorenni vedi i § 26 cpv. 3 e § 29 cpv. 1 PolG/ZH; sui loro bisogni specifici il § 11PolG/ZH), volta a garantire l'esecuzione di un obbligo imposto dalla legge, è quindi compatibile con la Convenzione (DTF 136 I 87 consid. 7). La stessa conclusione vale anche per la norma ticinese in esame. Per di più in quest'ambito, conformemente alla prassi appena citata, l'art. 1 cpv. 2 n. 3 LPol/TI prevede espressamente che la polizia assicura con mezzi proporzionati l'esecuzione delle decisioni amministrative e giudiziarie emesse dalle autorità. 
 
6.2. In parte diverso è il caso della trattenuta di minorenni per altri motivi, non espressamente indicati nella norma litigiosa. Al riguardo giova rilevare che la loro trattenuta per motivi di sicurezza quando si trovino in luoghi che potrebbero comportare un pericolo per la loro integrità fisica, sessuale o psichica ai sensi del § 29 cpv. 1 lett. b PolG/ZH non era oggetto della DTF 136 I 87.  
 
È vero che da l testo della norma litigiosa non risultano ulteriori motivi che potrebbero giustificare una trattenuta, contrariamente a quanto disciplinato esplicitamente nella legge di polizia zurighese, base di lavoro della modifica ticinese in questione. Il § 29 cpv. 1 PolG/ZH indica infatti due condizioni distinte: la prima, l'unica ripresa da quella ticinese, che il minorenne si sia sottratto al controllo di chi detiene l'autorità parentale o dell'autorità di protezione (lett. a; vedi anche il § 26 cpv. 3 PolG/ZH); la seconda ch'egli si trattenga in luoghi che rappresentino un pericolo per la sua integrità fisica, sessuale o psichica (lett. b). Certo, la norma ticinese, in maniera difficilmente intelligibile, non ha recepito questi ultimi motivi, sebbene nei lavori preparatori si presuppone implicitamente ch'essa verrà applicata anche a tali fattispecie. Nella dottrina zurighese, osservato che questa trattenuta si differenzia chiaramente dalla custodia di polizia, si rileva che la polizia, disponendo di un vasto potere di apprezzamento in quest'ambito, tranne nei casi di applicazione della lett. a, in caso di dubbio agirà piuttosto con cautela e un eventuale intervento dipenderà dalla situazione di pericolo, ossia dall'interesse pubblico a prevenire pericoli (HEINZ AEMISEGGER/FLORENCE ROBERT, in: Kommentar PolG/ZH, n. 4, 7 e 8 ad § 29; JÜRG MARCEL TIEFENTHAL, Kantonales Polizeirecht der Schweiz, 2018, n. 2 pag. 236, secondo cui una siffatta trattenuta può avvenire soltanto per motivi di sicurezza di polizia, ossia in caso di pericolo per sé stessi o altri). 
Nel messaggio governativo si indica la volontà di creare una base legale, analogamente a quanto già avvenuto in altri Cantoni (Grigioni e Svitto), con particolare riferimento al PolG/ZH, normativa che è stata la base di lavoro della modifica ticinese in esame, per far fronte a un problema che nella pratica si presenterebbe di frequente. Si precisa che la norma può venir applicata nei casi in cui minorenni frequentino luoghi non adatti alla loro età e nei quali la loro permanenza potrebbe costituire un pericolo per la loro integrità fisica, psichica e sessuale. Nella risposta, il Consiglio di Stato rileva che lo scopo, rispettando il principio di proporzionalità, è la tutela e la protezione dei minorenni, per esempio sotto l'influsso di sostanze stupefacenti, in stato di ubriachezza o ritrovati in luoghi inadatti alla loro età, scappati da casa, dalla famiglia affidataria o da istituti. Si precisa che il minorenne verrà trattenuto presso gli uffici di polizia e che la trattenuta, visto che si tratta di una decisione delicata, dev'essere confermata dall'ufficiale responsabile. Si sottolinea che all'interno della polizia è attivo un gruppo di specialisti (Gruppo minorenni), che in caso di necessità interviene a supporto degli agenti operanti sul campo. Durante i fuori orario delle autorità regionali di protezione, la Polizia cantonale collabora con una cellula d'intervento socio-educativo d'urgenza in aiuto a famiglie con figli minorenni. Si precisa che questa trattenuta, volta all'aiuto o alla sorveglianza, va distinta dalla custodia di polizia (per la custodia di polizia di persone minorenni, l'art. 7c cpv. 2 secondo periodo LPol/TI esige che venga informato il rappresentante legale). 
Anche altri Cantoni prevedono norme generiche analoghe a quella ticinese (p. es. art. 80 PolG/BE; art. 35 LPol/VS; § 38 cpv. 2 PolG/BS). Pure dette disposizioni non esplicitano, espressamente, che la trattenuta potrebbe avvenire anche per motivi di sicurezza, segnatamente la messa in pericolo dell'incolumità del minorenne o quando egli si trattenga in un luogo inidoneo, ciò che, implicitamente, parrebbe possibile anche senza una specifica regolamentazione (GIANFRANCO ALBERTINI, Legge sulla polizia e ordinanza sulla polizia del Cantone dei Grigioni, 2014, n. 1 e 6 ad art. 14, pag. 89 seg.). 
 
In tale ambito occorre considerare che secondo l'art. 301 cpv. 2 CC, i genitori possono consentire al figlio minorenne, corrispondentemente alla sua maturità, di organizzare liberamente la sua vita, ed egli ha l'amministrazione e il godimento di ciò che guadagna col proprio lavoro (art. 323 cpv. 1 CC)e a 16 anni dispone della libertà sessuale (art. 187 CP). È comunque evidente che scopo della norma litigiosa è, implicitamente, la tutela e la protezione del minorenne. Nel rapporto di maggioranza si precisa infatti, rettamente, che i minorenni dovrebbero presentare uno stato psicofisico tale, a causa per esempio di un eccesso di consumo di alcol o di droghe, da non essere più in grado di badare a sé stessi. Tenuto conto dei loro notori e particolari bisogni di protezione, scopo di un'eventuale trattenuta è in sostanza la tutela della loro incolumità e del loro sviluppo. Ora, questi intenti sono esplicitati all'art. 11 Cost. e nella Convenzione sui diritti del fanciullo conclusa il 20 novembre 1989 ed entrata in vigore per la Svizzera il 26 marzo 1997 (RS 0.107). Un intervento della polizia giusta l'art. 7d LPol/TI potrebbe quindi aver luogo, considerando in particolare l'età e la maturità del minorenne, solo nel suo interesse, per preservarlo da un pericolo, che chiaramente dev'essere imminente. 
 
6.3. Riguardo al criticato lasso di tempo della trattenuta, il Governo osserva ch'esso deve poter permettere alla polizia di organizzare la loro riconsegna, per esempio nel caso di minorenni privi di documenti o per i quali occorre organizzare la riconsegna in un altro Cantone o all'autorità di protezione, in particolare all'Ufficio dell'aiuto e della protezione (UAP), che adotta le misure di protezione d'urgenza (art. 5 della legge sull'organizzazione e la procedura in materia di protezione del minore e dell'adulto dell'8 marzo 1999, LPMA, RL 213.100, e art. 7a del relativo regolamento, ROPMA, RL 213.110). Al riguardo il Governo richiama tuttavia a torto la DTF 136 I 87 consid. 3.4 in fine, perché in quella causa per la custodia di polizia eccedente le 24 ore doveva essere formulata una richiesta al giudice dell'arresto, allo scopo di coordinare la tutela giuridica dell'attività amministrativa di polizia con quella del diritto processuale penale al servizio del perseguimento penale.  
È palese che, come per la custodia di polizia, la trattenuta dev'essere annullata qualora non sia più proporzionale, quindi se del caso già prima della scadenza del termine di 24 ore, in particolare quando il pericolo per il minorenne sia diminuito o scomparso (DTF 136 I 87 consid. 6.3). 
Giova rilevare che, sebbene i ricorrenti non ne accennino, nel messaggio governativo si indica che si potrebbero trattenere minorenni "per il tempo necessario" alla loro riconsegna. Nell'ambito delle deliberazioni parlamentari è stato tuttavia precisato che la Commissione, dopo averne discusso molto a lungo, ha stralciato l'espressione "il tempo necessario", sostituendola con "di regola entro 24 ore" (estratto del verbale del Gran Consiglio, citato, pag. 30 seg.) : ciò in vista di casi eccezionali di minorenni provenienti dall'estero o da un altro Cantone, soluzione criticata da alcuni parlamentari. Sottolineato che la trattenuta dev'essere tolta "al più presto", come indicato nella norma litigiosa, si osserva che "l'infelice" e "insoddisfacente", espressione "di regola" risulta essere un'indicazione per la polizia, ritenuto che una trattenuta per 48 ore sarebbe manifestamente esorbitante. Quest'ultima conclusione è chiaramente corretta. Ora, come visto, nel quadro di un controllo astratto, la semplice circostanza che in singoli casi la contestata norma potrebbe essere applicata in maniera lesiva della Costituzione non implica di per sé il suo annullamento (DTF 146 I 70 consid. 4), tenuto conto in particolare della circostanza che la norma litigiosa persegue lo scopo di tutelare il minorenne. 
 
Fonti confidenziali 
 
7.  
 
7.1. Riguardo al nuovo art. 9d LPol/TI, i ricorrenti fanno valere una violazione dell'art. 13 cpv. 2 Cost., secondo cui ognuno ha diritto d'essere protetto da un impiego abusivo dei suoi dati personali e accennano, in maniera del tutto generica, alla legge federale sulla protezione dei dati del 19 giugno 1992 (RS 235.1), senza richiamarne alcuna norma specifica. Osservano che soltanto nel quadro delle registrazioni audio e video, di cui all'art. 9c cpv. 7 LPol/TI, norma in vigore dal 1° marzo 2012, il Consiglio di Stato disciplina i relativi particolari, segnatamente le condizioni e le modalità di conservazione, utilizzazione e distruzione di dati raccolti in quell'ambito. Rilevano che, contrariamente ad altre normative cantonali che regolano tali questioni in maniera più esaustiva (PolG/ZH § 51-54a "Information, Datenbearbeitung und Datenschutz"; LPol/GR art. 27-30), la LPol/TI non indica quali informazioni verranno raccolte, né le modalità e i limiti della loro assunzione, elaborazione, conservazione e cancellazione, né l'accesso alle stesse da parte dell'interessato e la gravità del reato ipotizzato, e neppure i requisiti della necessità, della sussidiarietà e della proporzionalità. La norma non determinerebbe nemmeno quale sarebbe l'interesse pubblico preponderante. Essa incentiverebbe la delazione e l'interessato sarebbe privo di ogni tutela giuridica, non disponendo neppure del diritto di interrogare i delatori (art. 6 n. 3 lett. d CEDU). Nell'ipotesi in cui la delazione dovesse comportare una diffamazione o una calunnia, reati punibili a querela di parte, il rifiuto di comunicare l'identità del delatore impedirebbe all'interessato di far valere i suoi diritti.  
 
7.2. Nella risposta il Consiglio di Stato rileva che per adempiere il suo compito principale, ossia l'interesse pubblico a prevenire e impedire la commissione di reati (art. 1 cpv. 2 LPol/TI), per la polizia è necessario che l'ottenimento e l'utilizzo di informazioni rientri tra i mezzi leciti, indispensabili per mantenere l'ordine e la sicurezza. Precisa che gli "informatori" sono persone, non appartenenti alla polizia, che la informano di propria iniziativa, in singole occasioni o durante lunghi periodi, in cambio della garanzia di riservatezza e anonimato. Le "persone di fiducia" sono individui, non appartenenti alla polizia, incaricati di ottenere, sotto il controllo di quest'ultima, informazioni in cambio della garanzia di riservatezza e anonimato. In quest'ultimo caso, la polizia non riceve passivamente le informazioni, ma impartisce concretamente istruzioni e ordini alla persona di fiducia. Il rapporto tra la polizia e gli informatori poggia sulla reciproca fiducia e confidenzialità, non su un contratto di lavoro. Si aggiunge che il termine "informatore" (art. 14a, abrogato, della legge federale del 21 marzo 1997 sulle misure per la salvaguardia della sicurezza interna, LMSI, RS 120) è stato ripreso nella legge federale del 25 settembre 2015 sulle attività informative, all'art. 15 con la denominazione di "fonti umane"; LAIn; RS 121), e designerebbe le persone che hanno accesso esclusivo a informazioni specifiche. Rilevato che in Svizzera "informatore" e "persona di fiducia" hanno la stessa condizione legale, si è optato per il termine generale di "fonti confidenziali".  
 
Si osserva che l'art. 9d LPol/TI è stato concepito in relazione all'art. 7 cpv. 1 e art. 8 della legge sulla protezione dei dati personali elaborati dalla polizia cantonale e dalle polizie comunali del 13 dicembre 1999 (LPDPpol; RL 163.150), nel senso di un'eccezione ai principi della raccolta e dell'elaborazione dei dati. Si sostiene che l'art. 8 LPDPpol, secondo cui le informazioni confidenziali devono essere elaborate in modo da salvaguardare adeguatamente tutti gli interessi in gioco, istituirebbe il diritto di chi si rivolge alla polizia in buona fede, esclusi i falsi denuncianti e manipolatori, di vedere trattare confidenzialmente le informazioni quando lo giustifichi un motivo importante. Ciò poiché la mancata protezione degli informatori comporterebbe la diminuzione della collaborazione tra la polizia e la popolazione. 
 
Riguardo alla delazione si osserva che la polizia verificherebbe sempre che sussista un riscontro oggettivo dell'informazione confidenziale e che l'informatore dichiari per iscritto di non commettere alcun reato e di non aspettarsi rimbors i. Si precisa infine che il quadro di azione dell'art. 9d LPol/TI è delimitato dalla LPDPpol, quale lex specialis rispetto alla legge ticinese sulla protezione dei dati personali del 9 marzo 1987 (LPDP; RL 163.100; vedi art. 5 LPDP, secondo cui agli archivi della polizia cantonale si applica la legislazione speciale). Si accenna poi alla prospettata elaborazione futura di direttive e ordini di servizio. Nel rapporto di maggioranza si rileva che allo scopo di prevenire la commissione di reati sarebbe logico proteggere gli informatori (pag. 15). La norma non è stata oggetto di discussioni durante le deliberazioni parlamentari. 
 
7.3. I ricorrenti, insistendo sull'asserita carenza di una base legale per rapporto ad altri cantoni, misconoscono che nel Cantone Ticino la protezione dei dati elaborati dalla polizia cantonale è disciplinata dalla LPDPpol, che si applica all'elaborazione di dati personali utili alla prevenzione, alla ricerca e alla repressione dei reati e ai compiti di protezione e sicurezza in generale svolti dalla polizia; per gli ambiti non previsti dalla stessa si applica la LPDP (art. 2 cpv. 1 e 2 LPDPpol). La stessa si applica anche alla nuova norma litigiosa, che non prevede alcuna deroga o precisazione al riguardo. L'art. 4 LPDPpol precisa poi espressamente che è considerata confidenziale l'informazione comunicata in buona fede alla polizia da chi ha un interesse legittimo all'anonimato, motivo per cui l'accenno ricorsuale a possibili delazioni comportanti diffamazioni o calunnie non regge. L'art. 8 LPDPpol dispone inoltre che le informazioni confidenziali devono essere elaborate in modo da salvaguardare adeguatamente tutti gli interessi in gioco. I ricorrenti non tentano di spiegare (art. 42 LTF) perché, in relazione con le norme appena citate sulla protezione dei dati, nell'ambito di un controllo astratto l'art. 7d LPol/TI non si presterebbe ad alcuna interpretazione conforme al diritto costituzionale (DTF 145 I 73 consid. 2).  
 
Del resto, essi non pretendono che questa norma costituirebbe un'ingerenza grave nei diritti fondamentali degli interessati. Il ricorso a fonti confidenziali non rappresenta d'altra parte un'acquisizione di mezzi di prova, né si tratta di un'inchiesta mascherata o di un'inchiesta ai sensi del CPP. Nella dottrina si sottolinea che di per sé non sarebbe necessaria una base legale esplicita per regolamentare le fonti confidenziali, per lo meno nella misura in cui la fonte confidenziale non influisca direttamente sulla volontà della persona interessata, visto che ognuno può comunicare le proprie osservazioni alla polizia. Si osserva inoltre che il reperimento e la raccolta di informazioni può essere ascritta in sostanza all'autorità, motivo per cui è soggetta alle stesse regole e limitazioni (THOMAS HANSJAKOB/UMBERTO PAJAROLA in: Andreas Donatsch et al. [ed.], Kommentar zur Schweizerischen Strafprozessordnung, 3aed. 2020, n. 13 segg. ad art. 285a; CHRISTIANE LENTJES MEILI, in: PolG/ZH, Kommentar, n. 21-25 ad § 32e, in particolare n. 23; sulle differenze tra le osservazioni e le indagini preventive a livello federale e cantonale vedi ANDREAS MEIER, Verdeckte Ermittlung, 2017, pag. 48 segg.). Ciò nondimeno alcuni Cantoni l'hanno espressamente disciplinata, in sostanza in maniera analoga alla norma ticinese (p. es. art. 50 PolG/NW; art. 10d PolG/ZG; art. 24a PolG/UR; § 9c PolG/SZ e art. 56 LPol/JU), prevedendo se del caso anche un indennizzo adeguato per l'informatore (art. 21g LPol/GR). 
 
Infine, nella misura in cui i ricorrenti insistono sul fatto che le parti hanno il diritto di presenziare all'assunzione delle prove e di porre domande agli interrogati (art. 147 cpv. 1 CPP), e ai delatori quali testimoni a carico (art. 6 n. 3 lett. d CEDU), essi misconoscono che l'acquisizione di informazioni confidenziali non persegue direttamente lo scopo di assumere prove e che non si è nell'ambito di un'accusa o di un procedimento penale. In quanto ammissibili, le critiche rivolte all'art. 9d LPol/TI sono quindi infondate. 
 
Osservazione preventiva 
 
8.  
 
8.1. Con riferimento all'art. 9e LPol/TI, i ricorrenti sottolineano che questa norma si ispira all'art. 56 LPol/GE, il cui previgente art. 21A era oggetto della DTF 140 I 381. Precisano di non contestare, al riguardo, il principio di legalità. Osservano che dal testo legale parrebbe che potranno essere posti sotto osservazione le persone, le cose "e" i luoghi liberamente accessibili, mentre al loro dire essa dovrebbe essere interpretata nel senso di poter osservare persone e cose "in" luoghi liberamente accessibili. Ne deducono che la polizia potrebbe precedere all'osservazione non solo di persone e cose ovunque, ma anche di luoghi, perlomeno quelli liberamente accessibili, al loro dire in violazione della sfera privata, tutelata dagli art. 13 Cost. e 8 CEDU.  
Nella risposta il Consiglio di Stato precisa che secondo il suo tenore, scopo della norma è di poter osservare persone, cose e luoghi accessibili al pubblico, che non apparterrebbero quindi alla sfera privata, adducendo quale esempio il traffico di stupefacenti in un parco pubblico e l'utilità della videosorveglianza di spazi pubblici, anche per impedire la commissione di reati e tutelare la sicurezza e l'ordine pubblico. 
 
8.2. L'art. 13 Cost. e l'art. 8 CEDU proteggono vari aspetti della sfera privata, compresa la protezione contro l'uso abusivo dei dati personali (DTF 146 I 11 consid. 3.1.1; 144 I 126 consid. 4.1; 140 I 381 consid. 4.1; sul diritto all'autodeterminazione informativa cui accennano i ricorrenti vedi DTF 146 I 11 consid. 3.1.2; 145 IV 42 consid. 4.2; 144 I 281 consid. 6.2). Il fatto che i dati siano registrati su strade pubbliche non muta la protezione offerta dai diritti fondamentali. La tutela della sfera privata non si limita infatti a locali privati, ma si estende anche alla sfera privata pubblica. Vi rientrano quindi anche fatti della vita che presentano un contenuto personale e che si verificano nella sfera pubblica (DTF 147 I 103 consid. 15.1; 146 I 11 consid. 3.1.1).  
L'osservazione preventiva secondo la norma litigiosa costituisce una misura di sorveglianza da parte degli organi di polizia che serve a prevenire i reati, e quindi prima che venga commesso un reato e prima dell'apertura di un procedimento penale (DTF 147 I 103 consid. 15; 140 I 381 consid. 4.2.1). Come tale, è da annoverare nel diritto di polizia e non in quello di procedura penale (sulla delimitazione dei due campi cfr. DTF 140 I 353 consid. 5). 
 
8.3. I ricorrenti sostengono che farebbe difetto una clausola di sussidiarietà, poiché l'art. 9e cpv. 1 LPol/TI, contrariamente all'art. 9f cpv. 1 lett. c LPol/TI relativo all'indagine in incognito preventiva, e alla norma ginevrina, non prevede che l'osservazione potrebbe avere luogo sol-tanto qualora le informazioni raccolte in precedenza non hanno dato esito positivo, deducendone che l'assenza di questo requisito comporterebbe un'applicazione più estensiva della misura.  
 
Ora, trattandosi di un'ingerenza lieve nei diritti fondamentali, di corta durata, e che altre misure d'inchiesta dovrebbero risultare vane, e implicitamente, non produrrebbero pertanto alcun risultato, o sarebbero eccessivamente difficili (cpv. 1 lett. b), la criticata norma prevede una clausola di sussidiarietà sufficiente (DTF 140 I 381 consid. 4.5.1). 
 
8.4. Gli insorgenti censurano inoltre l'insufficienza di garanzie procedurali, segnatamente l'assenza di un'ulteriore comunicazione alla persona osservata, qualora l'osservazione non dovesse comportare l'apertura di un'istruzione da parte del ministero pubblico. Sostengono che la persona osservata dovrebbe sempre essere informata, vista la violazione della sua sfera privata. Al loro dire il rimando dell'art. 9e cpv. 4 LPol/TI all'art. 283 CPP, relativo alla comunicazione ai diretti interessati del motivo, del genere e della durata dell'osservazione, e ai casi qualora essa può essere differita o tralasciata, non tutelerebbe sufficientemente la sfera privata. Ciò poiché non si capirebbe chi sarebbe competente a ordinarla e, inoltre, perché la norma non obbligherebbe la polizia a tenere un rapporto delle indagini eseguite, né sarebbe indicata l'autorità di ricorso.  
 
Al riguardo il Governo precisa che l'informazione è data a posteriori, da parte della stessa istanza che ha ordinato l'osservazione preventiva, quindi della polizia cantonale, in applicazione del rimando agli art. 141 e 283 CPP. Ciò sarebbe sufficiente secondo quanto stabilito nella DTF 140 I 381 consid. 4.5.1 in fine, che aveva annullato il previgente art. 21A cpv. 2 LPol/GE poiché quella norma non contemplava, successivamente, una comunicazione alla persona osservata. Anche il nuovo art. 56 cpv. 5 LPol/GE si limita del resto a indicare l'applicazione, per analogia, dell'art. 283 CPP
 
L'Esecutivo cantonale sottolinea poi che, sebbene non esplicitato nella norma, secondo il principio di documentazione è palese che, come per altre attività di polizia, gli agenti redigano rapporti e documentino il loro lavoro. Aggiunge che qualora le informazioni raccolte non dovessero sfociare in un sospetto concreto, il materiale verrà distrutto, mentre nel caso contrario verrà aperto un procedimento penale e la persona osservata verrà informata secondo le modalità previste dall'art. 283 CPP. Aggiunge che l'autorità di ricorso, non menzionata neppure all'art. 283 CPP, seguirà la via del reclamo ai sensi dell'art. 393 e segg. CPP, giusta il rinvio dell'art. 9e cpv. 4 LPol/TI all'art. 283 CPP. Nella replica i ricorrenti non dimostrano l'infondatezza di questi rilievi. 
 
8.5. Mal si comprende il generico e impreciso assunto, sul quale i ricorrenti insistono anche nella replica, secondo cui l'art. 9e cpv. 1 LPol/TI permetterebbe alla polizia di osservare persone e cose sul suolo pubblico e, al loro dire, anche su quello privato, essendo manifesto che secondo il chiaro testo legale l'osservazione preventiva è circoscritta ai luoghi liberamente accessibili, ossia pubblici e non privati. Nella risposta il Governo precisa, rettamente, che l'osservazione preventiva in luoghi pubblici costituisce un'ingerenza debole nei diritti fondamentali (DTF 140 I 381 consid. 4.5.1), mentre un'osservazione che non potrebbe essere attuata in luoghi pubblici sarebbe qualificata quale misura coercitiva necessitante di un mandato del procuratore pubblico. Al riguardo giova rilevare in effetti che una videosorveglianza di impiegati sul luogo di lavoro disposta dalla polizia allo scopo di far luce su un reato costituisce un provvedimento coercitivo del diritto processuale penale attuato mediante apparecchi tecnici di sorveglianza, che dev'essere ordinato dal pubblico ministero e approvato dal giudice dei provvedimenti coercitivi (DTF 145 IV 42 consid. 4.2 e 4.5; cfr., sull'utilizzazione di cd. "Keylogger", sentenza 1B_132/2020 del 18 giugno 2020, destinata a pubblicazione).  
 
8.6. Occorre sottolineare che nel caso in esame i ricorrenti non censurano, per lo meno non con una motivazione conforme alle esigenze dell'art. 42 LTF, l'osservazione preventiva mediante l'utilizzazione di dispositivi tecnici, in particolare per localizzare persone o cose (art. 9e cpv. 2 lett. c LPol/TI).  
Al riguardo giova nondimeno rinviare alla sentenza DTF 147 I 103 consid. 17.5, con la quale il Tribunale federale ha ritenuto incostituzionale l'analoga norma bernese concernente l'osservazione preventiva di polizia mediante un localizzatore GPS fissato a un veicolo. Ciò poiché le limitate garanzie contenute nell'art. 118 cpv. 2 PolG/BE non giustificano l'ingerenza nei diritti fondamentali mediante una sorveglianza GPS, ritenendo che la LPol/BE dovrebbe prevedere perlomeno le stesse garanzie procedurali applicabili nell'ambito della sorveglianza GPS secondo il CPP. 
 
Ne segue che le generiche censure mosse all'osservazione preventiva non dimostrano l'incostituzionalità della norma impugnata, sottolineata nondimeno la portata della DTF 147 I 103, nei casi di applicazione concreta dell'art. 9e cpv. 2 lett. c LPol/TI. 
Indagine in incognito preventiva 
 
9.  
 
9.1. Riguardo alla misura di cui all'art. 9f LPol/TI, i ricorrenti fanno valere soltanto, in maniera del tutto generica, che la criticata norma non potrebbe limitarsi a designare, per analogia, la competenza del ministero pubblico, rispettivamente del GPC per la comunicazione dell'indagine alla persona interessata, autorità l'una di perseguimento penale l'altra giudicante e che operano con gli strumenti previsti dal CPP e che sono tenute a gestire e a conservare gli atti (art. 100 segg. CPP). Ne deducono che, visto che l'art. 9f LPol/TI non imporrebbe una conservazione degli atti, il ministero pubblico e il GPC non potrebbero disporre di detti strumenti, previsti dal CPP, ma non dalla LPol/TI, motivo per cui non sussisterebbero sufficienti garanzie giudiziarie per esaminare la proporzionalità di indagini in incognito preventive.  
 
9.2. Il Consiglio di Stato, osservato dapprima che il CPP regola esclusivamente i casi nei quali sussiste il sospetto che sia stato commesso un reato, mentre l'attività preventiva è volta alla loro prevenzione (DTF 140 I 353 consid. 5), rileva che l'indagine in incognito è definita dall'art. 298a CPP e pertanto è ripresa come tale nella LPol/TI, con la differenza che quella disciplinata dal CPP persegue lo scopo di chiarire reati già commessi, mentre quella preventiva è volta invece alla prevenzione o all'impedimento di una loro commissione. Precisa che la norma è stata concepita considerando le DTF 140 I 381 consid. 4.5.2 (che ha annullato la norma ginevrina poiché non prevedeva una comunicazione a posteriori alla persona interessata dalla misura) e 140 I 353 consid. 5.2, 5.4 e 5.5.2, con le quali i ricorrenti non si confrontano, come pure le nuove basi legali nel frattempo adottate anche da altri Cantoni (ZH, GR, NE, BE, VD, GE e SG). Scopo della norma sarebbe di permettere tra l'altro alla polizia di sorvegliare le chat room per rilevare la presenza di pedofili, prevenire reati sessuali e collaborare con vittime di truffe, come quelle del cosiddetto "falso nipote", o di estorsioni. Sostiene che mal si comprende la censura ricorsuale inerente al criticato rimando agli specifici articoli del CPP: l'autorità competente per ordinare ed eseguire le misure antecedenti l'apertura di una procedura penale è la Polizia cantonale, la quale dopo un mese di indagini necessita dell'autorizzazione del pubblico ministero, motivo per cui la ripartizione delle competenze è chiara. Nel caso in cui gli agenti dovessero accertare un reato e fosse quindi necessaria l'apertura dell'istruzione penale, l'interessato ne sarebbe immediatamente informato.  
 
9.3. Ora, come osservato dal Governo, le garanzie di tale indagine sono sancite dal rimando agli specifici art. 298a-298d CPP, segnatamente dal fatto che il prosieguo dell'indagine per oltre un mese necessita di un'autorizzazione del ministero pubblico e che per la fine e la comunicazione delle indagini valgono le garanzie dell'art. 298d LPol/TI. Per il resto, il citato principio di documentazione esposto nel quadro dell'esame dell'art. 9e LPol/TI, rende priva d'oggetto la superficiale critica ricorsuale, che non dimostra che la norma litigiosa non potrebbe essere applicata in maniera conforme alla Costituzione.  
Inchiesta mascherata preventiva 
 
10.  
 
10.1. Con riferimento all'art. 9g LPol/TI i ricorrenti sostengono che le condizioni per applicare l'inchiesta mascherata preventiva non sono più restrittive di quelle previste dagli art. 285a segg. CPP, relativi all'inchiesta mascherata disciplinata dal CPP. Adducono ch'esse potrebbero addirittura essere adempiute con maggiore facilità a causa del concetto vago e indefinito inerente alla nozione di "particolarità" del reato. Al loro dire, anche il semplice sospetto che qualcuno potrebbe compiere un reato non grave, ma "particolare" potrebbe quindi giustificare l'avvio di una tale inchiesta. Criticano in sostanza un'astrattezza e un'imprevedibilità inaccettabile del concetto di "particolarità" del reato, lesiva al loro dire degli art. 5, 9, 13 e 36 Cost., che si presterebbe potenzialmente a ogni tipo di abuso, visto che il criterio della "particolarità" eliminerebbe quello della gravità del reato prevista dal CPP.  
 
10.2. Queste generiche critiche non reggono. In effetti, nella DTF 140 I 381 consid. 4.5.3 il Tribunale federale ha ritenuto che, sotto il profilo della proporzionalità (regola dell'idoneità), dette inchieste sono atte a raggiungere lo scopo prefisso, segnatamente la tutela della sicurezza e il mantenimento dell'ordine pubblico. Ha stabilito inoltre che la norma ginevrina, che subordinava tali inchieste, come la norma litigiosa ticinese in esame, alla "gravité ou la particularité" del reato, adempiva pure il requisito della necessità. Il rilievo dei ricorrenti, secondo cui essi non condividono questa conclusione, è ininfluente.  
 
Giova osservare inoltre che nella sentenza appena citata il Tribunale federale aveva annullato la previgente norma ginevrina in quanto essa non prevedeva una comunicazione a posteriori della misura in esame all'interessato, né un rimedio giuridico (cfr. art. 298 CPP). Per di più, contrariamente alla norma ticinese in questione, quella ginevrina non contemplava l'approvazione preventiva della misura da parte di un giudice, motivo per cui essa non offriva garanzie sufficienti contro gli abusi, oltre a violare il principio di proporzionalità in senso stretto, ragione per cui non era compatibile con l'art. 13 cpv. 1 Cost. 
 
10.3. I ricorrenti osservano poi che la criticata norma prevede non solo la possibilità di disporre un'inchiesta mascherata alla condizione che in base a indizi concreti si possa ritenere che potrebbe essere commesso un crimine o un delitto per i reati indicati in maniera esaustiva all'art. 286 cpv. 2 CPP, gli unici al loro dire giustificanti se del caso un'inchiesta mascherata, ma ne estende l'applicazione anche a due ulteriori reati. Il primo, quello di sommossa di cui all'art. 260 CP, delitto per il quale è comminata una pena detentiva sino a tre anni o una pena pecuniaria e, in secondo luogo, alle gravi infrazioni alla legge federale sulla circolazione stradale del 19 dicembre 1958 (LCStr; RS 741.01).  
 
Riguardo all'estensione dell'inchiesta mascherata ai reati della LCStr osservano che la criticata misura sarebbe impraticabile, e che del resto vi sarebbero altri strumenti di indagine, deducendone che non sussisterebbe un interesse pubblico sufficiente in quest'ambito. Le stesse considerazioni varrebbero per il reato di sommossa (art. 260 CP), che non avrebbe mai raggiunto dimensioni preoccupanti in Svizzera, e ancor meno nel Cantone Ticino, deducendone che in questi due ambiti l'inchiesta mascherata lederebbe il principio di proporzionalità in senso stretto. L'estensione potrebbe violare inoltre le libertà fondamentali di credo e di coscienza (art. 15 Cost.), di riunione (art. 22 Cost.) e d'associazione (art. 23 Cost.), poiché la necessità non si fonderebbe tanto su motivi di polizia, bensì su giustificazioni di carattere politico e di controllo sociale. Questa estensione, sarebbe arbitraria e ingiustificata, poiché implicherebbe effetti diretti e indiretti (effetto dissuasivo) sulle invocate libertà e sarebbe costitutiva di una ricerca indiscriminata di prove, lesiva del principio della proporzionalità in senso stretto. 
 
Le due aggiunte litigiose porterebbero alla situazione assurda che se durante l'inchiesta mascherata dovesse concretizzarsi anche solo un tentativo di perpetrare detti reati, l'inchiesta mascherata dovrebbe concludersi immediatamente, poiché non sarebbe consentita dal CPP. Le due estensioni litigiose violerebbero inoltre il divieto dell'arbitrio in relazione al principio dell'uguaglianza giuridica (art. 8 e 9 Cost.; DTF 142 I 195 consid. 6.1; 141 I 235 consid. 7.1). Ciò poiché la polizia potrebbe disporre un'inchiesta mascherata nei confronti di chi è soltanto sospettato di poter rendersi un giorno colpevole dei due citati reati, ma non di chi si sarebbe già reso colpevole degli stessi. 
 
10.4. Nel messaggio del Consiglio di Stato si precisa che l'inchiesta mascherata preventiva deve portare, nella maggioranza dei casi, all'apertura di un'inchiesta penale, nell'ambito della quale il ministero pubblico dovrà potersi avvalere degli elementi raccolti dalla polizia, essendo difficilmente ipotizzabile che la decisione di apertura di un'istruzione penale sia presa sulla base di elementi raccolti dalla polizia attraverso un metodo che potrebbe rivelarsi proibito ai sensi dell'art. 141 CPP nell'ambito della procedura penale. Si rileva che l'utilizzo di agenti infiltrati o di terzi all'interno di reti sociali permetterebbe di anticipare l'organizzazione di azioni punitive o di scontri tra bande in occasione di manifestazioni sportive o di altro genere e di contribuire alla lotta alla pedopornografia in internet. Precisato che lo scopo del catalogo dell'art. 286 cpv. 2 CPP è di limitare l'inchiesta mascherata a reati gravi, il Governo precisa che per ossequiare la volontà del legislatore non si potrebbe circoscriverli a quelli dell'art. 286 cpv. 2 CPP, dovendo valutare se l'atto che potrebbe essere commesso sia o no grave ai sensi dell'art. 286 cpv. 1 lett. b CPP.  
 
Riguardo all'estensione a reati della LCStr e di sommossa si sottolinea che negli ultimi anni si accerta sempre più l'organizzazione, mediante l'ausilio delle reti sociali, di gare clandestine a velocità folli, che metterebbe in pericolo non solo l'incolumità dei partecipanti, ma pure della collettività; verrebbero altresì organizzate spedizioni punitive in vari ambiti, in particolare tra le tifoserie violente, ciò che giustificherebbe le criticate estensioni. Si afferma che la gravità del reato e le restrittive condizioni di cui all'art. 9g lett. a-c LPol/TI, sono condizioni imprescindibili, anche per le due estensioni. Riguardo al reato di sommossa, si indicano ad esempio assembramenti di estremisti o tifosi violenti (hooliganismo), tipologia di reati che, datene le condizioni, possono raggiungere un grado di particolarità rientrante nella definizione del CPP. Si aggiunge che l'art. 22 LPol/GE non prevede nessun elenco di delitti, limitandosi a stabilire che, in presenza di seri indizi, la gravità o la particolarità del reato giustifica un'inchiesta mascherata, formulazione ritenuta sufficiente dal Tribunale federale per rispettare il principio di legalità (DTF 140 I 381 consid. 4.4.3). Si sostiene che la norma ticinese, che riprende la formulazione di quella ginevrina aggiungendovi i reati di cui all'art. 286 cpv. 2 CPP, oltre ad altri due, sarebbe quindi ancora più restrittiva della formulazione, molto più ampia e non limitata, dell'art. 22 LPol/GE. Riguardo all'autorizzazione da parte del GPC, sancita anche nelle leggi sulla polizia di numerosi Cantoni (SZ, SO, BE, GR, NE e GE) rinvia alla DTF 140 I 381 consid. 4.5.3. 
 
10.5. I ricorrenti misconoscono che nella DTF 140 I 381 il Tribunale federale ha stabilito che l'inchiesta mascherata preventiva di cui al previgente art. 22 LPol/GE, la quale costituisce un'ingerenza grave, rispetta l'esigenza della densità normativa, ritenuto che presuppone la sussistenza di indizi concreti che potrebbe venir commesso un reato e che la misura sia giustificata, come previsto dalla norma ticinese, dalla gravità o dalla particolarità dello stesso: in quella sentenza si sottolineava la scelta politica del Consiglio di Stato, della maggioranza del Gran Consiglio e dei cittadini, che non avevano lanciato alcun referendum contro la legge, di non elaborare una lista dei reati entranti in considerazione. Il Tribunale federale ha ritenuto che la densità normativa dell'art. 22 LPol/GE non era criticabile per il fatto che non era previsto alcun catalogo di reati, sebbene l'art. 286 cpv. 2 CPP limiti l'inchiesta mascherata a determinati reati indicati nel rispettivo catalogo. Ha aggiunto che il fatto che tale misura è riservata ai crimini e delitti gravi o particolari è sufficiente per rispettare il principio della legalità (consid. 4.4.3; il nuovo art. 58 cpv. 1 lett. a LPol/GE rinvia invece ai crimini o delitti previsti all'art. 286 cpv. 2 CPP). La norma ginevrina ossequiava pure la regola dell'idoneità e, prevedendo le condizioni della gravità o della particolarità, rispettava anche la regola della necessità (consid. 4.5.3). I ricorrenti, disattendendo il loro obbligo di motivazione (art. 42 LTF), non si confrontano con questa giurisprudenza, decisiva. La norma ginevrina non è stata infatti annullata per tali motivi, ma perché non prevedeva la necessaria autorizzazione di un giudice, né la comunicazione a posteriori dello svolgimento di un'inchiesta mascherata (consid. 4.5.3 in fine), garanzie previste dalla norma ticinese in esame.  
 
Certo, potrebbe essere auspicabile, che i Cantoni armonizzino le loro norme legislative in materia di indagini preventive di polizia, ritenuto che nella pratica siffatte misure non si limitano notoriamente soltanto al territorio cantonale (TIEFENTHAL, Kantonales Polizeirecht der Schweiz, n. 24 e segg. pag. 408 segg.). Al riguardo giova osservare che determinati Cantoni prevedono semplicemente un rinvio all'art. 286 cpv. 2 CPP e quindi al catalogo dei reati ivi menzionati (p. es. art. 58 cpv. 1 lett. a LPol/GE; § 32e cpv. 2 lett. a PolG/ZH; art. 52octies cpv. 1 lett. a PG/SG; § 33b cpv. 1 lett. a PolG/BS; art. 21a cpv. 1 lett. c LPol/GR; art. 33c cpv. 1 lett. a PolG/FR; art. 44 cpv. 1 lett. a PolG/VS e art. 114 cpv. 1 lett. a PolG/BE), mentre altri si limitano a indicare la gravità o la particolarità del reato che potrebbe essere commesso, senza limitarne l'applicazione concreta a una determinata cerchia o tipologia di reati (p. es. art. 74 cpv. 1 lett. b LPol/JU; § 10a cpv. 1 lett. b PolG/ZG; art. 71 cpv. 1 lett. b LPol/NE e art. 48 cpv. 1 n. 2 PolG/NW). Anche in questi ultimi casi la misura in esame potrebbe quindi essere applicata a reati non contemplati nel catalogo dell'art. 286 cpv. 2 CPP e, quindi, in maniera addirittura più ampia che la criticata norma ticinese. Siffatte estensioni non sono di per sé criticate (TIEFENTHAL, Kantonales Polizeirecht der Schweiz, n. 25-27 pag. 409 seg., in particolare n. 29 pag. 411). 
 
A livello federale, l'inchiesta mascherata preventiva è esclusa, visto che per disporla deve sussistere il sospetto che sia stato commesso un reato rientrante nel relativo catalogo (art. 286 cpv. 1 lett. a e cpv. 2 CPP), l'adozione di misure preventive non rientrando nei compiti delle autorità penali. Certo, nel messaggio del 21 dicembre 2005 del Consiglio federale concernente l'unificazione del diritto processuale penale, richiamato dai ricorrenti, si precisa che le condizioni previste dalla legge federale del 20 giugno 2003 sull'inchiesta mascherata (LFIM; RS 312.8), abrogata con l'entrata in vigore del CPP, per l'inchiesta mascherata prima di un procedimento penale sono identiche a quelle che devono essere riunite per l'apertura di quest'ultimo (FF 2006 pag. 1159). Potrebbero quindi sorgere problemi di coordinazione qualora un'inchiesta mascherata preventiva di polizia si fonderebbe su indizi concreti di un crimine o di un delitto, non previsto nel catalogo dell'art. 286 cpv. 2 CPP. Queste divergenze, non impongono tuttavia di scostarsi dalle conclusioni della DTF 140 I 381, né i ricorrenti lo pretendono. 
 
10.6. I ricorrenti parrebbero disattendere inoltre che l'art. 9g LPol/TI non si applica indiscriminatamente in caso di sommossa o di gravi infrazioni alla LCStr, visto che al riguardo devono essere adempiute anche tre condizioni restrittive e cumulative, segnatamente la sussistenza di indizi concreti che tali reati possano essere commessi (cpv. 1 lett. a), la particolarità e la gravità del reato nel caso concreto (lett. b) e, in applicazione del principio di sussidiarietà, la necessità che le indagini già svolte non abbiano dato esito positivo oppure che altre misure d'inchiesta risulterebbero eccessivamente difficili o onerose da attuare, sproporzionate o vane (lett. c). In tale ambito occorre precisare che, sebbene con riferimento all'art. 141 cpv. 2 CPP relativo all'utilizzabilità delle prove acquisite illegittimamente, il Tribunale federale ha recentemente avuto l'occasione di precisare che per determinare se un reato è grave, decisiva è la gravità del caso concreto e non l'entità della pena comminata in astratto: con riferimento alla fattispecie di sommossa, ha ritenuto che in linea di principio l'interesse pubblico alla ricerca della verità e all'utilizzazione delle prove riveste un grande peso. Ha stabilito che per valutare la gravità di tale reato, occorre quindi prendere in considerazione non solo il contributo individuale dell'imputato, ma anche l'insieme delle circostanze, compresi gli atti di violenza commessi dagli altri partecipanti. Ne ha concluso che la sommossa può essere qualificata come grave reato ai sensi dell'art. 141 cpv. 1 CPP e ha considerato l'interesse pubblico a far luce sull'infrazione concreta oggetto di quella sentenza superiore a quello del ricorrente a una raccolta legale delle prove, rispettivamente all'inutilizzabilità di riprese video di privati (DTF 147 IV 9 consid. 1.4.2-1.4.4). Il criticato concetto di "particolarità" del reato della norma ticinese tiene conto precisamente delle circostanze concrete, e non meramente astratte, del reato che potrebbe venir commesso. Inoltre, anche per le due criticate estensioni l'inchiesta dovrà essere approvata dal GPC e, giusta il rinvio all'art. 298 CPP, la misura dovrà poi essere comunicata agli interessati, che potranno se del caso contestarla (cpv. 3).  
 
Ne segue che i ricorrenti sostengono a torto che, per la loro tipologia, i due criticati reati non potrebbero mai raggiungere il necessario grado di una particolare gravità: gli esempi addotti nella risposta governativa non escludono in effetti che, in determinati casi concreti, questa condizione potrebbe realizzarsi. Del resto i ricorrenti disattendono che non è sufficiente che un reato figuri nel catalogo dell'art. 286 cpv. 2 CPP per disporre automaticamente un'inchiesta mascherata da parte di un'autorità penale: anche in quel caso ciò può avvenire soltanto se la gravità del reato lo giustifica e se le operazioni d'inchiesta già svolte non hanno dato esito positivo o se altrimenti le indagini risulterebbero vane o eccessivamente difficili (art. 286 cpv. 1 lett. b e c CPP), come richiesto anche per l'inchiesta mascherata preventiva da parte della polizia, misura che dev'essere applicata quale ultima ratio (cfr. VINCENT JEANNERET/CÉLINE GAUTHIER/ROLAND RYSER, in: Yvan Jeanneret/André Kuhn/Camille Perrier Depeursinge [ed.], Commentaire romand, Code de procédure pénale suisse, 2aed. 2019, n. 31, 35 e 39 ad art. 286). In entrambi i casi le autorità competenti devono infatti, indipendentemente dal sospettato reato, esaminare concretamente la sua gravità e il rispetto del principio di sussidiarietà dell'inchiesta mascherata, il cui avvio, nell'ambito di quella preventiva, dev'essere poi approvato dal GPC. Non è quindi escluso che anche riguardo alle criticate estensioni la norma litigiosa potrà essere applicata in maniera conforme alla Costituzione. 
Giova rilevare infine che, come visto (consid. 5.6.1), l'accenno di violazione della sfera privata (art. 13 Cost.), poiché l'art. 9g cpv. 3 LPol/TI prevede che l'avvio di un'inchiesta mascherata è sottoposta all'approvazione del GPC, limitandosi al riguardo a richiamare la citata sentenza del 29 maggio 2006 del Tribunale cantonale amministrativo, è privo di consistenza. 
Costituzione di identità fittizie 
 
11.  
 
11.1. Con riferimento all'art. 9h LPol/TI i ricorrenti si limitano a osservare che l'art. 287 cpv. 1 lett. b CPP dispone che possono essere impiegati quali agenti infiltrati le persone "assunte" a titolo provvisorio al fine di svolgere compiti di polizia, anche se privi di formazione professionale in tale materia. Al riguardo richiamano un'opinione dottrinale, secondo la quale l'agente infiltrato assunto a titolo provvisorio dovrebbe disporre di un contratto di lavoro, e non solo di un rapporto di mandato con la polizia (TANJA KNODEL, in: BSK StPO, 2aed. 2014, n. 1 e 7 ad art. 287). Sostengono che un rapporto di subordinazione costituirebbe una garanzia ulteriore a tutela della persona oggetto di un'inchiesta mascherata. Al loro dire, poiché la LPol/TI non disciplina questo aspetto, sussisterebbe il rischio che operazioni di inchiesta mascherata potrebbero venire affidate informalmente a terze persone, ciò che dovrebbe comportare l'annullamento della criticata norma.  
 
Nella risposta il Governo sottolinea che l'eventuale impiego di terze persone avviene secondo le istruzioni e sotto la sorveglianza della polizia, essendo manifesto che il loro impiego non può avvenire in maniera informale. L'allestimento di un'identità fittizia per queste persone dev'essere infatti, su proposta del comandante della polizia cantonale, autorizzato dal GPC. 
 
11.2. I ricorrenti misconoscono inoltre che neppure l'art. 298 cpv. 1 lett. b CPP disciplina espressamente le modalità di assunzione di determinati agenti infiltrati, segnatamente di persone che dispongono di conoscenze particolari in ambiti specifici, ma che non sono membri di un corpo di polizia. Per di più, questa questione è dibattuta nella dottrina e per altri autori l'assunzione può avvenire a tempo determinato, e anche sulla base di un semplice mandato, purché l'interessato si trovi in un rapporto di subordinazione al comandante della polizia cantonale, come disciplinato nel Cantone Ticino (THOMAS HANSJAKOB/UMBERTO PAJAROLA, in: op. cit., n. 4 ad art. 287). Ne discende che le generiche critiche mosse all'art. 9h LPol/TI non reggono.  
 
12.  
 
12.1.  
Ne segue che il ricorso, in quanto ammissibile, dev'essere respinto, rilevando che nell'applicazione della custodia di polizia ai sensi dell'art. 7c cpv. 1 lett. a LPol/TI, analogamente alla disciplina della lett. b, la polizia dovrà attenersi alle spiegazioni fornite dal Consiglio di Stato, nel senso che anche per questa fattispecie il pericolo dev'essere grave e imminente; nell'applicazione concreta del cpv. 2 di questa norma, come confermato dal Consiglio di Stato, la polizia dovrà informare immediatamente e in una lingua a lui comprensibile l'interessato. Per la trattenuta di minorenni si rinvia alle spiegazioni illustrate nei consid. 6.2 e 6.3. L'osservazione preventiva mediante l'utilizzazione di mezzi tecnici non è stata impugnata: al riguardo giova nondimeno rinviare alla DTF 147 I 103 consid. 17.5. 
 
12.2. Le spese giudiziarie sono poste a carico dei ricorrenti, soccombenti (art. 66 cpv. 1 LTF). Non si attribuiscono ripetibili alle autorità vincenti (art. 68 cpv. 3 LTF).  
 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.  
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
 
2.  
Le spese giudiziarie di fr. 1'000.-- sono poste a carico dei ricorrenti. Non si attribuiscono ripetibili della sede federale. 
 
3.  
Comunicazione ai ricorrenti e al Consiglio di Stato della Repubblica e Cantone Ticino, per sé e in rappresentanza del Gran Consiglio. 
 
 
Losanna, 6 luglio 2021 
 
In nome della I Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Kneubühler 
 
Il Cancelliere: Crameri