Wichtiger Hinweis:
Diese Website wird in älteren Versionen von Netscape ohne graphische Elemente dargestellt. Die Funktionalität der Website ist aber trotzdem gewährleistet. Wenn Sie diese Website regelmässig benutzen, empfehlen wir Ihnen, auf Ihrem Computer einen aktuellen Browser zu installieren.
Zurück zur Einstiegsseite Drucken
Grössere Schrift
 
 
Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
 
 
 
2C_469/2022  
 
 
Sentenza del 25 luglio 2022  
 
II Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Aubry Girardin, Presidente, 
Beusch, Ryter, 
Cancelliere Savoldelli. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Sezione della popolazione, 
Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona, 
 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Permesso di dimora UE/AELS, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 4 maggio 2022 
dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (52.2019.508). 
 
 
Fatti:  
 
A.  
A.________, cittadina rumena nata nel..., si è trasferita in Svizzera il 31 maggio 2012. Il 17 luglio successivo ha ottenuto un'autorizzazione di soggiorno UE/AELS per l'esercizio di un'attività lucrativa a titolo indipendente. 
Dopo avere svolto tale attività, dal 1° settembre 2016 ha lavorato per un breve periodo quale collaboratrice domestica; successivamente, e fino al 15 luglio 2017, come cameriera e/o barista. Dal 17 luglio 2017 al febbraio 2018 è stata impiegata come segretaria al 100 %, mentre nel seguito ha percepito prestazioni assistenziali. 
 
B.  
Preso atto della situazione economica e professionale descritta, l'8 febbraio 2019 la Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino ha deciso che l'autorizzazione di dimora UE/AELS di cui disponeva A.________, precedentemente rinnovata fino al 24 giugno 2022, fosse da revocare. La liceità della revoca è stata confermata sia dal Consiglio di Stato (11 settembre 2019) che dal Tribunale amministrativo ticinese, espressosi in merito con sentenza del 4 maggio 2022. 
Il 29 luglio 2020, nel corso della procedura davanti alla Corte cantonale, A.________ ha comunicato di essere diventata madre di una bambina, il cui padre è un cittadino italiano residente in Italia. Il 30 novembre 2021 ha quindi indicato che - a seguito di un'inabilità al lavoro al 100 %, dovuta all'aggravamento di una malattia di cui soffriva fin dall'infanzia - l'Istituto delle assicurazioni sociali le aveva riconosciuto il diritto a una rendita intera dell'assicurazione invalidità, a partire dal 1° gennaio 2021 e pari a fr. 780.-- mensili. 
 
C.  
Con ricorso dell'8 giugno 2022, A.________ si è rivolta al Tribunale federale, domandando che il giudizio del Tribunale amministrativo ticinese del 4 maggio 2022 sia annullato e che, in riforma dello stesso, il permesso di dimora le sia rinnovato. Postula inoltre l'esenzione dal versamento di un anticipo per le spese di procedura. 
Il Tribunale federale ha chiesto alle autorità cantonali la trasmissione dell'incarto, ma non ha ordinato scambi di scritti. Con decreto del 9 giugno 2022 ha concesso l'effetto sospensivo al gravame. 
 
 
Diritto:  
 
1.  
 
1.1. Giusta l'art. 83 lett. c n. 2 LTF, il ricorso in materia di diritto pubblico è inammissibile contro le decisioni in materia di diritto degli stranieri concernenti permessi o autorizzazioni al cui ottenimento né il diritto federale né il diritto internazionale conferiscono un diritto. L'insorgente, che è di nazionalità rumena, può però di principio riferirsi ai diritti garantiti dall'accordo del 21 giugno 1999 sulla libera circolazione delle persone (ALC; RS 0.142.112.681), ragione per la quale, già per questo motivo, l'art. 83 lett. c n. 2 LTF non trova applicazione (sentenza 2C_871/2020 del 2 dicembre 2020 consid. 1.1). La verifica dell'esistenza effettiva di un diritto di soggiorno sulla base del menzionato accordo è una questione di merito (DTF 136 II 177 consid. 1.1; sentenza 2C_531/2020 del 21 luglio 2020 consid. 1.1).  
 
1.2. Il ricorso è stato presentato nei termini (art. 100 cpv. 1 LTF), contro una decisione finale di un tribunale superiore (art. 86 cpv. 1 lett. d e 2; art. 90 LTF) e da una persona che ha legittimazione ad insorgere (art. 89 cpv. 1 LTF). Indipendentemente dal fatto che il permesso di dimora oggetto di revoca da parte delle autorità migratorie sia ormai "scaduto" (24 giugno 2022, precedente consid. B), ammesso dev'essere in effetti anche un interesse a ricorrere perché, di per sé, un'autorizzazione di soggiorno UE/AELS ha soltanto portata dichiarativa e non perde quindi validità col passare del tempo (DTF 136 II 329 consid. 2.2; 136 II 405 consid. 4.4; sentenza 2C_560/2020 del 9 giugno 2021 consid. 1.2). D'altra parte, la conferma del diritto al soggiorno in Svizzera, certificata da un permesso di dimora UE/AELS, è proprio quanto richiede anche l'insorgente. Il gravame va quindi esaminato quale ricorso ordinario in materia di diritto pubblico ai sensi dell'art. 82 segg. LTF (sentenze 2C_560/2020 del 9 giugno 2021 consid. 1.2; 2C_505/2020 del 10 novembre 2020 consid. 1.2).  
 
2.  
 
2.1. Di principio, il Tribunale federale applica il diritto federale d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF). Nondimeno, tenuto conto dell'onere di allegazione e motivazione imposto dall'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, considera di regola solo gli argomenti proposti (DTF 142 III 364 consid. 2.4). Chi ricorre deve pertanto spiegare, in maniera concisa ma confrontandosi con i considerandi della sentenza impugnata, perché quest'ultima viola il diritto (DTF 143 II 283 consid. 1.2.2). Esigenze più severe valgono poi in relazione alla lesione di diritti fondamentali, che va denunciata con precisione (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 143 II 283 consid. 1.2.2).  
Per quanto concerne i fatti, il Tribunale federale fonda il suo ragionamento sugli accertamenti che sono stati svolti dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Può scostarsene se sono stati eseguiti in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF o in modo manifestamente inesatto, cioè arbitrario (art. 105 cpv. 2 LTF; DTF 140 III 115 consid. 2). A meno che non ne dia motivo la decisione impugnata, non tiene neppure conto di fatti o mezzi di prova nuovi (art. 99 cpv. 1 LTF). 
 
2.2. Dato che l'insorgente non li mette validamente in discussione - con motivazione conforme all'art. 106 cpv. 2 LTF, che ne dimostri un accertamento rispettivamente un apprezzamento arbitrario - i fatti che emergono dal giudizio impugnato vincolano il Tribunale federale anche nel caso concreto (art. 105 cpv. 1 LTF). D'altra parte, le condizioni previste dall'art. 99 cpv. 1 LTF non sono adempiute, di modo che considerati non possono essere neanche i nuovi documenti, datati 29 marzo 2022 e relativi al merito, allegati all'impugnativa in sede federale. La situazione economica e professionale dell'insorgente era infatti oggetto di esame già in sede cantonale, e documenti relativi alle sue entrate andavano quindi prodotti davanti alle autorità ticinesi.  
Una rettifica d'ufficio, ai sensi dell'art. 105 cpv. 2 LTF, è però necessaria per quanto riguarda il momento in cui la ricorrente è risultata inabile al lavoro al 100 %. La Corte cantonale indica infatti che tale inabilità sarebbe subentrata a partire dal 1° gennaio 2021 (giudizio impugnato, consid. 3.3 e 3.5), mentre dalla decisione dell'Istituto delle assicurazioni sociali del 15 novembre 2021, cui rinvia anche la querelata sentenza (consid. O dei fatti e 3.2 in diritto), risulta in realtà che l'inabilità al lavoro al 100 % è intervenuta già il 1° gennaio 2020 e che la data del 1° gennaio 2021 è evocata solo per indicare il momento a partire dal quale - dopo il periodo di attesa - è riconosciuta la rendita. 
 
3.  
 
3.1. Nel suo giudizio, la Corte cantonale ha esposto le possibilità di soggiorno previste dall'accordo sulla libera circolazione delle persone e rammentato le varie attività svolte dalla ricorrente per poi rilevare:  
(a) che a partire dal febbraio 2018 la stessa ha perso lo statuto di lavoratrice dipendente e non lo ha più riacquistato (art. 4 ALC in relazione con l'art. 6 allegato I ALC); 
(b) che l'insorgente non può soggiornare in Svizzera nemmeno quale persona che non esercita un'attività economica, in quanto il riconoscimento di un permesso in questo senso è - tra l'altro - subordinato al fatto che chi lo richiede disponga di mezzi finanziari sufficienti per non dovere ricorrere all'assistenza sociale durante il soggiorno (art. 6 ALC in relazione con l'art. 24 allegato I ALC), ciò che non è nella fattispecie il caso perché, sempre a partire dal febbraio 2018, è attestata la percezione di aiuti pubblici; 
(c) che la ricorrente non può infine invocare il diritto di rimanere dopo avere cessato la propria attività economica, siccome le sue condizioni di salute sono peggiorate quando la qualità di lavoratrice non era già più data (art. 7 lett. c ALC in relazione con l'art. 4 allegato I ALC). 
Detto dell'accordo sulla libera circolazione delle persone, il Tribunale amministrativo ticinese ha nel contempo ritenuto che il diniego del diritto a proseguire il soggiorno in Svizzera fosse conforme anche al principio della proporzionalità, il cui rispetto è richiesto dall'art. 96 della legge federale del 16 dicembre 2005 sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI; RS 142.20), così come - per i casi in cui è possibile invocare questa norma - dall'art. 8 CEDU
 
3.2. Insorgendo davanti al Tribunale federale, la ricorrente non sostiene l'esistenza delle condizioni per un richiamo all'art. 6 ALC in relazione con l'art. 24 allegato I ALC, di modo che su tale aspetto non occorre ritornare (art. 42 cpv. 2 LTF; precedente consid. 2.1; sentenze 2C_647/2020 dell'11 marzo 2021 consid. 6.1 e 2C_204/2017 del 12 giugno 2018 consid. 8). Correttamente, la stessa non sostiene poi nemmeno l'esistenza di un diritto al rinnovo del suo permesso di dimora in base al diritto interno, siccome l'art. 33 cpv. 3 LStrI ha carattere potestativo (sentenza 2C_615/2020 del 20 maggio 2021 consid. 1.3).  
A differenza di quanto concluso dalla Corte cantonale, la ricorrente è però dell'avviso che un diritto di soggiorno in base all'art. 7 lett. c ALC in relazione con l'art. 4 allegato I ALC sarebbe dato, perché la sua qualità di lavoratrice non sarebbe mai venuta a mancare. Inoltre, ritiene che il diniego di un permesso di soggiorno violi il principio della proporzionalità, il cui rispetto è richiesto dall'art. 8 n. 2 CEDU
 
4.  
 
4.1. Giusta l'art. 6 cpv. 1 allegato I ALC, il lavoratore dipendente, cittadino di una parte contraente, che occupa un impiego di durata uguale o superiore a un anno al servizio di un datore di lavoro dello Stato ospitante riceve una carta di soggiorno della durata di almeno 5 anni a decorrere dalla data del rilascio, automaticamente rinnovabile per almeno 5 anni. In occasione del primo rinnovo, la validità della carta di soggiorno può essere limitata, per un periodo non inferiore ad un anno, qualora il possessore si trovi in una situazione di disoccupazione involontaria da oltre 12 mesi. Le ulteriori proroghe dell'autorizzazione di soggiorno sono sottoposte alla condizione che l'interessato conservi lo statuto di lavoratore (sentenze 2C_439/2018 del 7 maggio 2019 consid. 4.1 e 2C_98/2015 del 3 giugno 2016 consid. 5.2).  
Il capoverso 6 dell'art. 6 allegato I ALC precisa al riguardo che la carta di soggiorno in corso di validità non può essere ritirata per il solo fatto che il lavoratore non è più occupato, quando lo stato di disoccupazione dipende da un'incapacità temporanea di lavoro dovuta a malattia o a infortunio, oppure quando si tratti di disoccupazione involontaria debitamente constatata dall'ufficio del lavoro competente. 
 
4.2. Quello di "lavoratore" è un concetto autonomo di diritto europeo, che non dipende da considerazioni sul piano nazionale (DTF 131 II 339 consid. 3.1; sentenze 2C_988/2020 del 29 aprile 2021 consid. 3.2; 2C_439/2018 del 7 maggio 2019 consid. 4.1). La nozione di lavoratore che delimita il campo di applicazione del principio della libera circolazione dev'essere interpretata in modo estensivo, mentre le eccezioni e le deroghe a questa libertà fondamentale vanno sottoposte ad un'interpretazione restrittiva. È quindi considerato "lavoratore" colui che svolge, per una certa durata, a favore di un'altra persona e sotto la sua direzione, delle prestazioni per le quali percepisce una controprestazione (esistenza di una prestazione lavorativa, di un legame di subordinazione e di una rimunerazione). Ciò presuppone che l'attività lavorativa sia reale ed effettiva; attività così ridotte da apparire meramente marginali e accessorie non vanno prese in considerazione (DTF 141 II 1 consid. 2.2.4 e 3.3.2; sentenze 2C_815/2020 dell'11 febbraio 2021 consid. 3; 2C_519/2020 del 21 agosto 2020 consid. 3.2.2; 2C_322/2020 del 24 luglio 2020 consid. 3.5.1).  
Per determinare se l'attività lavorativa svolta è reale ed effettiva, si può tenere conto dell'eventuale carattere irregolare delle prestazioni fornite, della loro durata limitata e dell'esigua retribuzione che esse procurano. Se un lavoratore effettua solo un numero molto ridotto di ore o se percepisce solo redditi esigui, ciò può costituire una dimostrazione del fatto che l'attività da lui svolta è unicamente marginale ed accessoria (DTF 131 II 339 consid. 3.4; sentenze 2C_988/2020 del 29 aprile 2021 consid. 3.2, con un riassunto della giurisprudenza in materia e 2C_439/2018 del 7 maggio 2019 consid. 4.1). 
 
4.3. Da parte sua, l'art. 4 allegato I ALC in relazione con il regolamento 1251/70 (GU L 142 del 1970, pag. 24), riconosce il diritto di rimanere sul territorio di un'altra parte contraente anche dopo avere cessato la propria attività economica a titolo dipendente.  
Più precisamente, il regolamento 1251/70 prevede infatti che ha diritto di rimanere sul territorio di uno Stato membro il lavoratore che, essendo residente senza interruzione sul territorio di tale Stato da più di due anni, cessa di esercitarvi un'attività subordinata a seguito di inabilità permanente al lavoro (art. 2 par. 1 lett. b prima frase), mentre se l'inabilità è dovuta ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale che diano diritto ad una pensione interamente o parzialmente a carico di un'istituzione di tale Stato, non è prescritta durata minima di residenza (art. 2 par. 1 lett. b seconda frase; DTF 141 II 1 consid. 4.1; sentenze 2C_905/2020 del 14 gennaio 2021 consid. 3.1 e 2C_439/2018 del 7 maggio 2019 consid. 4.2). In questo contesto, i periodi di disoccupazione involontaria debitamente accertati dal competente ufficio del lavoro e le assenze per malattia o infortunio sono considerati periodo di occupazione ai sensi dell'articolo 2 paragrafo 1 (art. 4 par. 2). 
 
4.4. In vigore dal 1° luglio 2018, l'art. 61a LStrI indica infine che in caso di cessazione involontaria del rapporto di lavoro dopo i primi dodici mesi di soggiorno, il diritto di soggiorno dei cittadini di uno Stato membro dell'UE o dell'AELS titolari di un permesso di dimora si estingue sei mesi dopo la cessazione del rapporto di lavoro mentre, se il versamento dell'indennità di disoccupazione si protrae oltre il termine di sei mesi, il diritto di soggiorno si estingue sei mesi dopo il termine del versamento dell'indennità (art. 61a cpv. 4 LStrI).  
Quest'ultima norma non si applica però in caso di cessazione del rapporto di lavoro a causa di incapacità temporanea al lavoro dovuta a malattia, infortunio o invalidità e agli stranieri che possono appellarsi al diritto di rimanere conformemente all'accordo sulla libera circolazione delle persone (art. 61a cpv. 5 LStrI). 
 
5.  
In primo luogo, la ricorrente è dell'avviso che, a differenza di quanto concluso dalla Corte cantonale, un diritto di soggiorno in base all'art. 7 lett. c ALC in relazione con l'art. 4 allegato I ALC e l'art. 2 par. 1 lett. b prima frase del regolamento 1251/70 sarebbe dato perché, fino all'intervento dell'incapacità al lavoro al 100 %, dovuta in casu non a infortunio o malattia professionale, bensì al peggioramento di un problema di salute che la stessa aveva fin dall'infanzia, la sua qualità di lavoratrice non sarebbe mai venuta a mancare. 
 
5.1. Come rilevato nel giudizio impugnato (ivi, consid. 3.5), tra le condizioni necessarie per un valido richiamo all'art. 4 allegato I ALC in relazione con l'art. 2 par. 1 lett. b prima frase del regolamento 1251/70 vi è effettivamente anche quella secondo cui - quando interviene l'inabilità al lavoro a causa di una malattia non professionale - lo statuto di lavoratore sia ancora dato e che la persona in questione termini l'attività lavorativa proprio a causa del peggioramento del suo stato di salute (DTF 147 II 35 consid. 3.3; 144 II 121 consid. 3.5.3; 141 II 1 consid. 4.2.3; sentenze 2C_986/2020 del 5 novembre 2021 consid. 5.1 e 5.2; 2C_322/2020 del 24 luglio 2020 consid. 3.1; 2C_984/2018 del 7 aprile 2020 consid. 6.2.3; 2C_755/2019 del 6 febbraio 2020 consid. 4.1; 2C_134/2019 del 12 novembre 2019 consid. 4.5).  
Ora, il Tribunale amministrativo ticinese ritiene che nella fattispecie questa condizione non sia rispettata, perché le attività svolte dopo il febbraio 2018, quando la ricorrente ha lasciato un posto di lavoro quale segretaria al 100 % (precedente consid. A), e fino all'insorgere dell'inabilità al lavoro al 100 % - il 1° gennaio 2020, a causa dell'aggravarsi di problemi di salute esistenti fin dall'infanzia (precedente consid. B e 2.2) - avrebbero solo carattere marginale e accessorio. Per contro, l'insorgente considera che detto statuto è stato mantenuto anche dopo il febbraio 2018, poiché "si può senz'altro sostenere che, precedentemente all'insorgenza dell'inabilità lavorativa (...) prestasse almeno 12 ore di lavoro a settimana". 
 
5.2. Argomentando in questo senso la propria critica al giudizio impugnato, la ricorrente non dimostra però ancora alcunché.  
 
5.2.1. In effetti, va innanzitutto rammentato che, sulla base dall'art. 4 par. 2 del regolamento 1251/70, i periodi di disoccupazione involontaria debitamente accertati dal competente ufficio del lavoro e le assenze per malattia o infortunio sono considerati periodo di occupazione ai sensi dell'articolo 2 paragrafo 1 del regolamento medesimo.  
Sempre in relazione all'art. 4 par. 2 del regolamento 1251/70, va però anche rilevato che una di queste due fattispecie non è qui riscontrabile, perché accertamenti vincolanti in merito a una disoccupazione involontaria, debitamente attestata dal competente ufficio del lavoro, oppure a una malattia intervenuta prima del 1° gennaio 2020, non ve ne sono e l'esistenza di una di queste due fattispecie non viene per altro sostanziata nemmeno nell'impugnativa presentata in sede federale. 
 
5.2.2. In parallelo, benché sottoscritto da un giurista che redige regolarmente ricorsi davanti al Tribunale federale, il gravame nemmeno si confronta (art. 42 cpv. 2 LTF) con il considerando 3.3 della sentenza querelata, nel quale il Tribunale amministrativo ticinese:  
(a) da un lato, ha esaminato la situazione dal febbraio 2018 in avanti - quando la ricorrente ha interrotto l'attività di segretaria al 100 % e ha cominciato a dipendere dall'aiuto sociale (precedente consid. A) - per poi concludere che ogni attività intrapresa successivamente dovesse essere considerata come accessoria e marginale, sia per quanto concerne il numero di ore svolte sia a livello pecuniario; 
(b) d'altro lato, ha rimproverato all'insorgente una violazione dell'obbligo di collaborare (art. 90 LStrI), per non avere fornito indicazioni precise in merito alle entrate da lei conseguite. 
 
5.2.3. In ogni caso, considerato che dal febbraio 2018 in avanti gli unici compensi accertati (art. 105 cpv. 1 LTF) sono quelli relativi al periodo tra marzo e luglio 2019 - e che gli stessi si attestano a fr. 368.10 per un totale di 16.66 ore (marzo), a fr. 817.60 per un totale di 37 ore (aprile), a fr. 966.75 per un totale di 43.75 ore (maggio), a fr. 895.-- per un totale di 40.5 ore (giugno) e a fr. 928.05 per un totale di 42 ore (luglio) - va comunque rilevato che la conclusione alla quale giunge la Corte cantonale non presta il fianco a critica alcuna.  
Salari mensili come quelli appena riportati, che oscillano tra fr. 368.10 e fr. 966.75 e che sono relativi a un contratto su chiamata, non permettono infatti il riconoscimento dello statuto di lavoratore, che è stato quindi negato a giusta ragione anche nella fattispecie che ci occupa (sentenze 2C_168/2021 del 23 novembre 2021 consid. 4.2 e 2C_988/2020 del 29 aprile 2021 consid. 3.3.2, entrambe con riferimento a casi che avevano per oggetto importi analoghi). 
 
5.3. Già perché al momento in cui è subentrata l'inabilità al lavoro al 100 %, il 1° gennaio 2020, la ricorrete non svolgeva più nessuna attività lavorativa ai sensi dell'art. 6 allegato 1 ALC e della giurisprudenza ad esso relativa da circa venti mesi (febbraio 2018), le condizioni per riconoscerle un diritto a rimanere in Svizzera in base all'art. 7 lett. c ALC in relazione con l'art. 4 allegato I ALC e l'art. 2 par. 1 lett. b prima frase del regolamento 1251/70 non sono quindi riunite.  
Come visto, per un valido richiamo all'art. 4 allegato I ALC è infatti anche necessario che - al momento in cui interviene l'inabilità al lavoro - lo statuto di lavoratore sia ancora dato e che la persona il cui permesso è in discussione abbia cessato l'attività svolta a causa del peggioramento del suo stato di salute, ciò che non è qui il caso. 
 
6.  
In secondo luogo, l'insorgente si richiama all'art. 8 CEDU, facendo valere una lesione del principio di proporzionalità (art. 8 n. 2 CEDU). Ora, anche riguardo all'aspetto della proporzionalità le critiche contenute nel ricorso sono solo frammentarie e ledono quindi l'art. 42 cpv. 2 LTF, che richiede un confronto con le argomentazioni dell'istanza inferiore (precedente consid. 2.1). Sia come sia, in base ai fatti che risultano dal giudizio impugnato, che vincolano anche il Tribunale federale (art. 105 cpv. 1 LTF; precedente consid. 2.2), pure le condizioni per riferirsi a questa norma non sono date. 
 
6.1. La ricorrente a ragione non si richiama all'art. 8 CEDU nell'ottica della tutela del diritto alla vita familiare, in quanto dal giudizio impugnato non risulta che la stessa intrattenga una relazione stretta con un membro del suo nucleo familiare che dispone di un diritto di soggiorno duraturo in Svizzera (nazionalità svizzera o permesso di domicilio; DTF 137 I 284 consid. 1.3; sentenze 2C_1051/2021 dell'11 marzo 2022 consid. 6.1; 2C_603/2019 del 16 dicembre 2019 consid. 6.1).  
In particolare, tali condizioni non sono realizzate nei confronti della figlia, nata pendente causa dall'unione con un cittadino italiano residente in Italia e il cui soggiorno in Svizzera dipende da quello della madre. 
 
6.2. Contrariamente a quanto pare sostenere, la stessa non può però riferirsi all'art. 8 CEDU nemmeno a tutela del diritto alla vita privata.  
Il diritto di invocare l'art. 8 CEDU a tutela della propria vita privata presuppone infatti un soggiorno legale nel nostro Paese di almeno dieci anni o, in assenza di questa durata, un'integrazione particolarmente riuscita (DTF 144 I 266 consid. 3.9; sentenze 2C_1051/2021 dell'11 marzo 2022 consid. 6.1; 2D_37/2021 del 2 dicembre 2021 consid. 3.2.2; 2C_603/2019 del 16 dicembre 2019 consid. 6.2). 
Tuttavia, la durata richiesta non è qui data in quanto gli anni trascorsi in Svizzera grazie alla semplice tolleranza delle autorità - ad esempio, in ragione dell'effetto sospensivo concesso durante una procedura di ricorso - non sono determinanti, e il soggiorno legale in Svizzera si è quindi esteso solo dal 17 luglio 2012 (momento del rilascio del permesso di dimora) all'8 febbraio 2019 (momento della revoca; sentenze 2C_1051/2021 dell'11 marzo 2022 consid. 6.2; 2C_603/2019 del 16 dicembre 2019 consid. 6.2; 2C_436/2018 dell'8 novembre 2018 consid. 2.2). Nel contempo, data rispettivamente dimostrata non è l'esistenza di un'integrazione particolarmente riuscita, che permette di riconoscere il diritto al richiamo all'art. 8 CEDU prima dei dieci anni richiesti in via di principio dalla giurisprudenza. 
 
6.3. Scartata anche la possibilità del riconoscimento di un diritto di soggiorno in base all'art. 8 CEDU, non va d'altra parte approfondita oltre neppure la critica con cui è lamentata la violazione del principio della proporzionalità. Nei casi in cui, come nella fattispecie, nessun disposto conferisce un diritto di soggiorno specifico a chi ricorre, il richiamo al principio della proporzionalità non è infatti d'aiuto, poiché non supplisce alla mancanza di una norma in tal senso, e la censura formulata nel p.to 8 dell'impugnativa non può di conseguenza assumere nessuna portata propria (sentenze 2C_647/2020 dell'11 marzo 2021 consid. 6.4; 2C_926/2020 dell'8 dicembre 2020 consid. 7.5 e 2C_603/2019 del 16 dicembre 2019 consid. 7).  
Come già detto, il citato p.to 8 dell'impugnativa contiene ad ogni modo solo critiche generiche e quindi non idonee a rimettere in discussione l'esame svolto - su più pagine - dal Tribunale amministrativo ticinese, evidenziando in particolare la dipendenza dall'aiuto sociale, le esecuzioni in corso, le possibilità di reintegrazione e di cura nel Paese di origine, ecc. (giudizio impugnato, consid. 4). In aggiunta a quanto rilevato dalla Corte cantonale nel suo giudizio, si può poi anche osservare che le rendite AI vengono di principio corrisposte anche all'estero (sentenza 2C_755/2019 del 6 febbraio 2020 consid. 5.3). 
 
7.  
Per quanto precede, il ricorso è respinto. Nella misura in cui la richiesta di esenzione dal versamento di un anticipo spese sia da intendere come istanza di assistenza giudiziaria, la stessa non può essere accolta poiché, così come redatto, il gravame doveva apparire sin dall'inizio come privo di probabilità di successo (art. 64 cpv. 1 LTF). 
 
Nell'addossare le spese giudiziarie all'insorgente, viene comunque fissato un importo ridotto (art. 65 cpv. 1 e 2, art. 66 cpv. 1 LTF). Non vengono assegnate ripetibili (art. 68 cpv. 3 LTF). 
 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.  
Il ricorso è respinto. 
 
2.  
La domanda di assistenza giudiziaria è respinta. 
 
3.  
Le spese giudiziarie di fr. 1'000.-- sono poste a carico della ricorrente. 
 
4.  
Comunicazione al rappresentante della ricorrente, alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, nonché alla Segreteria di Stato della migrazione. 
 
 
Losanna, 25 luglio 2022 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
La Presidente: F. Aubry Girardin 
 
Il Cancelliere: Savoldelli