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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
 
 
 
6B_916/2021  
 
 
Sentenza del 14 dicembre 2022  
 
Corte di diritto penale  
 
Composizione 
Giudici federali Jacquemoud-Rossari, Presidente, 
Muschietti, Koch, 
Cancelliera Ortolano Ribordy. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
patrocinato dall'avv. Luca Marcellini e 
dall'avv. Demetra Giovanettina, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Ministero pubblico del Cantone Ticino, Palazzo di giustizia, via Pretorio 16, 6901 Lugano, 
opponente. 
 
Oggetto 
Espulsione (art. 66a CP), arbitrio, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 19 maggio 2021 dalla Corte di appello e di revisione penale del 
Cantone Ticino (n.17.2020.218+324). 
 
 
Fatti:  
 
A.  
A.________, cittadino portoghese classe 1973, ha frequentato le scuole elementari e due anni di scuola media senza ottenere la relativa licenza. Dall'età di 10 anni, oltre ad andare a scuola, ha lavorato come scalpellino e aiuto muratore. Nel contesto lavorativo ha cominciato a bere alcolici. A 14 anni ha lasciato la scuola, continuando a lavorare come scalpellino. Nel 1996 ha sposato B.________, anche lei di nazionalità portoghese, e nel 2000 è nato il loro unico figlio C.________. In Portogallo la loro situazione economica non era problematica: entrambi i coniugi lavoravano e nel 2004 hanno acquistato un terreno e lo hanno edificato. Nel 2006 A.________ è giunto in Svizzera interna, senza la famiglia, e vi ha lavorato per quattro anni come muratore/scalpellino stagionale: per nove mesi all'anno viveva da solo in Svizzera, poi tornava in Portogallo e trascorreva i restanti tre mesi con moglie e figlio. Avendo trovato un lavoro a tempo indeterminato come scalpellino, a inizio 2010 A.________ si è trasferito in Ticino, dove è stato raggiunto dalla famiglia qualche mese dopo. In seguito alla diagnosi di una silicosi, nell'agosto 2013 ha dovuto abbandonare il suo impiego e da allora non ha più lavorato. Inizialmente ha beneficiato di indennità di disoccupazione e di un'indennità per cambiamento d'occupazione. Nel 2019 la SUVA gli ha negato la rendita di invalidità, rispettivamente l'indennità per menomazione all'integrità, perché, nonostante la malattia professionale, A.________ poteva svolgere qualsiasi attività ad eccezione di quelle con esposizione alla polvere di quarzo. Con analoga motivazione, anche l'Ufficio dell'assicurazione invalidità ha respinto la richiesta di una rendita di invalidità, A.________ conservando una capacità di guadagno del 95 %. Un'ulteriore richiesta di rendita di invalidità è pendente. Dal 2018 la famiglia vive grazie ai redditi da attività di pulizie svolte da B.________. Il figlio, ormai maggiorenne, è ancora agli studi. Contrariamente alla moglie e al figlio, titolari di un permesso di domicilio, A.________ è ancora al beneficio di un permesso di dimora. 
Negli anni il consumo di alcol di A.________, segnatamente dopo la perdita del lavoro, è degenerato in patologia. Oltre che di un episodio depressivo di media-grave entità e di accentuazione di tratti di personalità, egli soffre di disturbi psichici e comportamentali dovuti all'uso di alcol, sindrome di dipendenza e di disturbi psichici e comportamentali dovuti all'uso di alcol, intossicazione acuta. Nell'ottica di una disintossicazione, A.________ è stato ricoverato cinque volte. 
A.________ è stato condannato per grave infrazione alle norme della circolazione nonché per guida in stato di inattitudine, per fatti commessi rispettivamente nel febbraio 2014 e nell'agosto 2016. 
 
B.  
Il 1° maggio 2019, dopo aver bevuto due litri di birra che teneva nascosta, A.________ è uscito dalla clinica in cui era degente per la sua dipendenza dall'alcol e per la depressione, con lo scopo di "cercare una donna alla quale [...] rubare la borsetta" e acquistare altra birra. Dopo aver avvistato D.________, classe 1941, che passeggiava da sola nel bosco, le si è avvicinato da tergo, le ha messo le mani sulle spalle e le ha dato una spinta, facendola cadere a terra in posizione supina. L'ha poi afferrata per il collo con le mani, stringendo, e si è seduto a cavalcioni su di lei, dopo che era riuscita a girarsi in posizione prona. L'ha trattenuta a terra con forza, le ha spinto il volto al suolo e le ha infilato con forza nel cavo orale il foulard che ella indossava, tappandole anche la bocca con la mano sinistra, mentre con quella destra le ha sottratto gli anelli e la collana che indossava. A.________ se ne è poi andato lasciando la donna a terra priva di sensi, senza toglierle il foulard dalla bocca, ha bevuto velocemente due birre da mezzo litro, è rientrato in clinica e si è cambiato la camicia sporca di sangue. Un passante ha notato D.________ pressoché esanime a terra con un foulard parzialmente inserito nel cavo orale, le ha prestato i primi soccorsi e ha allertato i soccorritori che l'hanno trasportata all'ospedale. D.________ ha riportato un trauma policontusivo con escoriazioni multiple a carico del capo, del volto, del tronco e degli arti superiori e inferiori, nonché un disturbo post-traumatico acuto da stress. 
 
C.  
In relazione ai fatti del 1° maggio 2019, con sentenza del 5 maggio 2020, la Corte delle assise criminali ha riconosciuto A.________ autore colpevole di rapina aggravata, siccome dimostratosi particolarmente pericoloso, e di omissione di soccorso ai danni di D.________. Lo ha quindi condannato, avendo agito in stato di scemata imputabilità di grado lieve, alla pena detentiva di 3 anni e 6 mesi, da dedursi il carcere preventivo sofferto e la pena anticipatamente espiata, e ne ha sospeso l'esecuzione per dar luogo a un trattamento stazionario ex art. 60 CP ordinato nei suoi confronti. Essa ha viepiù revocato la sospensione condizionale della pena pecuniaria inflittagli il 5 dicembre 2016 dal Ministero pubblico del Cantone Ticino e ha infine ordinato l'espulsione di A.________ dal territorio svizzero per un periodo di 7 anni. 
 
D.  
A.________ ha appellato la sentenza di prima istanza, contestando la misura dell'espulsione, di cui ha postulato l'annullamento. Con sentenza del 19 maggio 2021, la Corte di appello e di revisione penale del Cantone Ticino (CARP) ha respinto l'appello inoltratole e confermato la misura e la sua durata. 
 
E.  
Avverso questo giudizio, A.________ si aggrava al Tribunale federale con un ricorso in materia penale. Chiede in via principale che si prescinda dall'ordinare la sua espulsione e che gli sia riconosciuta una congrua indennità per le spese legali dipendenti dalla procedura di appello, subordinatamente che la sentenza impugnata sia annullata e la causa rinviata alla CARP per nuova decisione. Postula inoltre di essere posto al beneficio dell'assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio. 
Invitati a esprimersi sul gravame, la CARP rinvia alle motivazioni della sua sentenza e il Ministero pubblico si rimette al giudizio di questo Tribunale. Il ricorrente non ha replicato. 
 
 
Diritto:  
 
1.  
Inoltrato dall'imputato (art. 81 cpv. 1 lett. b n. 1 LTF) e diretto contro una decisione finale (art. 90 LTF), resa in materia penale (art. 78 cpv. 1 LTF) da un'autorità cantonale di ultima istanza (art. 80 cpv. 1 LTF), il ricorso in materia penale è proponibile e di massima ammissibile, in quanto tempestivo (art. 100 cpv. 1 unitamente all'art. 46 cpv. 1 lett. b LTF) e presentato nelle forme richieste (art. 42 cpv. 1 LTF). 
 
2.  
Il ricorso verte unicamente sulla misura dell'espulsione, in particolare sulla mancata applicazione del caso di rigore. L'insorgente si prevale dell'art. 66a cpv. 2 CP, dell'art. 13 Cost., dell'art. 8 CEDU nonché dell'art. 5 par. 1 Allegato I ALC e si duole di arbitrio nell'accertamento dei fatti, come pure di un abuso del potere d'apprezzamento. 
 
2.1. Giusta l'art. 66a cpv. 1 lett. c CP, il giudice espelle dal territorio svizzero per un periodo da 5 a 15 anni lo straniero condannato segnatamente per rapina (art. 140 CP), a prescindere dall'entità della pena inflitta. Eccezionalmente può rinunciare a pronunciare l'espulsione se questa costituirebbe per lo straniero un grave caso di rigore personale e l'interesse pubblico all'espulsione non prevale sull'interesse privato dello straniero a rimanere in Svizzera; tiene in ogni modo conto della situazione particolare dello straniero nato o cresciuto in Svizzera (art. 66a cpv. 2 CP; cosiddetto caso di rigore). Secondo il chiaro tenore letterale della norma, in caso di condanna per uno o più reati menzionati dall'art. 66a cpv. 1 CP l'espulsione è la regola e la sua rinuncia un'eccezione, subordinata alla realizzazione delle due condizioni cumulative di cui all'art. 66a cpv. 2 CP. Il caso di rigore permette di rispettare il principio della proporzionalità (art. 5 cpv. 2 Cost.). Dev'essere applicato in modo restrittivo (DTF 146 IV 105 consid. 3.4.2).  
L'esistenza di un caso di rigore non si determina fondandosi su rigide norme di età e neppure può essere automaticamente riconosciuta in base a un determinato periodo di presenza in Svizzera. L'esame del caso di rigore dev'essere effettuato, in ogni singolo caso, sulla scorta dei consueti criteri di integrazione (DTF 146 IV 105 consid. 3.4.4). Analogamente a quanto previsto nel diritto migratorio per i casi personali particolarmente gravi (v. art. 31 cpv. 1 dell'ordinanza del 24 ottobre 2007 sull'ammissione, il soggiorno e l'attività lucrativa [OASA; RS 142.201]), occorre valutare l'integrazione dello straniero conformemente ai criteri di cui all'art. 58a cpv. 1 LStrI (RS 142.20) : la sua situazione familiare, in particolare il momento e la scolarizzazione dei figli, la situazione finanziaria, la durata della sua presenza in Svizzera, lo stato di salute, oltre alle possibilità di un reinserimento nel suo Paese di origine (DTF 144 IV 332 consid. 3.3.2). Di regola si può ammettere la sussistenza di un grave caso di rigore personale quando la prospettata espulsione costituisce per lo straniero un'ingerenza, di una certa portata, nel suo diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dalla Costituzione (art. 13 Cost.) e dal diritto internazionale (in particolare art. 8 CEDU; sentenza 6B_2/2019 del 27 settembre 2019 consid. 7.1 non pubblicato in DTF 145 IV 455). 
 
2.2. L'art. 66a CP dev'essere interpretato conformemente alla CEDU. Il criterio della proporzionalità dell'art. 8 n. 2 CEDU deve quindi guidare la ponderazione degli interessi nell'ambito del caso di rigore dell'art. 66a cpv. 2 CP. L'art. 8 n. 2 CEDU impone di determinare se la misura pronunciata rispetti un giusto equilibrio tra, da un lato, il diritto dell'interessato al rispetto della sua vita privata e familiare e, dall'altro, la tutela dell'ordine pubblico e la prevenzione dei reati (sentenza 6B_1465/2020 del 18 novembre 2021 consid. 4.2.2 con rinvii).  
Secondo la giurisprudenza, per potersi avvalere del diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell'art. 8 n. 1 CEDU, lo straniero deve stabilire l'esistenza di legami sociali e professionali particolarmente intensi con la Svizzera, sensibilmente superiori a quelli che risultano da un'integrazione ordinaria. Al riguardo, quello del Tribunale federale non è un approccio schematico, consistente nel presumere che, a partire da un soggiorno in Svizzera di una determinata durata, lo straniero vi sia radicato e disponga per conseguenza di un diritto di presenza nel nostro Paese. Esso procede piuttosto a una ponderazione dei diversi interessi, considerando la durata di soggiorno in Svizzera un elemento tra altri e dando poco peso agli anni trascorsi in Svizzera nell'illegalità, in prigione o in virtù di una semplice tolleranza. Un soggiorno legale di 10 anni implica di regola una buona integrazione dello straniero (sentenza 6B_1465/2020 del 18 novembre 2021 consid. 4.2.2 con rinvii). 
Lo straniero può prevalersi dell'art. 8 n. 1 CEDU e dell'art. 13 cpv. 1 Cost. per opporsi a un'eventuale separazione dalla sua famiglia. Le relazioni familiari protette dall'art. 8 n. 1 CEDU sono innanzitutto quelle della cosiddetta famiglia nucleare, ossia quelle esistenti tra i coniugi come pure tra i genitori e i figli minorenni che vivono sotto lo stesso tetto. Perché possa invocare la tutela della sua vita familiare sgorgante dall'art. 8 CEDU, lo straniero deve intrattenere un rapporto stretto ed effettivo con una persona della sua famiglia che ha il diritto di risiedere durevolmente in Svizzera. Non vi è peraltro ingerenza nella vita familiare se è ragionevolmente possibile attendersi dalle persone interessate che realizzino la loro vita familiare all'estero. Non sussiste a priori una violazione dell'art. 8 CEDU se il membro della famiglia con un diritto di presenza in Svizzera può lasciare senza difficoltà questo territorio con lo straniero a cui è stato negato un diritto di soggiorno. Per contro, se la partenza di tale membro non può essere esatta senza altre difficoltà, occorre procedere alla ponderazione degli interessi prevista dall'art. 8 n. 2 CEDU (sentenza 6B_1465/2020 del 18 novembre 2021 consid. 4.2.2 con rinvii). 
 
2.3. Con l'accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC; RS 0.142.112.681), la Svizzera ha in sostanza conferito ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea un diritto ampio e reciproco a esercitare un'attività economica (DTF 145 IV 364 consid. 3.4.1).  
In base all'art. 5 par. 1 Allegato I ALC, i diritti conferiti dall'ALC possono essere limitati soltanto da misure giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e pubblica sanità. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale in materia di diritto migratorio, le deroghe alla libera circolazione garantita dall'ALC devono essere interpretate in modo restrittivo. Le misure di allontanamento presuppongono che lo straniero costituisca una minaccia attuale e sufficientemente grave per l'ordine pubblico. Nell'applicazione dell'art. 5 par. 1 Allegato I ALC, occorre effettuare un "esame specifico" sotto il profilo degli interessi inerenti alla tutela dell'ordine pubblico. Il richiamo all'ordine pubblico per limitare la libera circolazione presuppone, al di là della turbativa all'ordine sociale insita in ogni reato, l'esistenza di una minaccia effettiva e sufficientemente grave per un interesse fondamentale per la società. L'art. 5 par. 1 Allegato I ALC non consente di pronunciare una misura (unicamente) per ragioni di prevenzione generale. Una condanna penale può di conseguenza essere considerata come motivo per limitare i diritti conferiti dall'ALC solo se le circostanze su cui si fonda rivelano un comportamento personale che rappresenta una minaccia attuale per l'ordine pubblico. Per valutare l'attualità della minaccia e adottare misure di ordine pubblico, non occorre prevedere quasi con certezza che lo straniero commetterà infrazioni in futuro; per converso, per rinunciare a tali misure, non si deve esigere che il rischio di recidiva sia nullo. Nell'ambito della prognosi relativa al comportamento futuro, si deve stabilire, in funzione del genere e dell'entità di una possibile lesione dei beni giuridici, se lo straniero perturberà in futuro, con sufficiente verosimiglianza, la sicurezza o l'ordine pubblici. Una misura che pone fine al soggiorno ai sensi dell'art. 5 par. 1 Allegato I ALC può essere pronunciata già in presenza di un debole, ma reale rischio di recidiva, purché riferito a una grave lesione di beni giuridici importanti, come ad esempio l'integrità fisica. Tanto più la gravità di un potenziale reato è importante, quanto minori sono le esigenze in merito al rischio di recidiva. Le misure dettate da motivi di ordine pubblico devono rispettare la CEDU e il principio della proporzionalità (DTF 145 IV 364 consid. 3.5.2 con rinvii; v. pure sentenza 6B_126/2016 del 18 gennaio 2017 consid. 2.2 non pubblicato in DTF 143 IV 97, con rinvii). 
 
2.4. Il ricorrente si è reso colpevole di rapina aggravata (art. 140 n. 3 cpv. 2 CP) e di omissione di soccorso (art. 128 CP), di modo che sussiste un caso di espulsione obbligatoria giusta l'art. 66a cpv. 1 lett. c CP. Occorre quindi esaminare se siano in concreto date le condizioni per rinunciare eccezionalmente a pronunciare questa misura.  
 
3.  
Passando in rassegna la sua integrazione, la sua situazione familiare, il suo stato di salute, la gravità della colpa e il rischio di recidiva, la CARP ha ritenuto che l'insorgente non potesse prevalersi di un diritto derivante dall'art. 8 CEDU, posto come l'espulsione non costituisce un'ingerenza di una certa entità nel suo diritto al rispetto della vita privata e familiare. E in ogni caso, il suo interesse privato a rimanere in Svizzera non prevale su quello pubblico alla sua espulsione. La CARP ha inoltre considerato la misura compatibile con l'ALC, tenuto conto dell'alto rischio di recidiva. 
 
3.1. Secondo il ricorrente, l'esame effettuato dalla CARP sarebbe innanzitutto viziato da arbitrio nella valutazione delle prove e nell'accertamento dei fatti, nonché da un abuso del potere di apprezzamento.  
 
3.2. Prima di passare al vaglio le diverse critiche ricorsuali, è opportuno rammentare che, per costante giurisprudenza, l'arbitrio non si realizza già qualora la soluzione proposta con il ricorso possa apparire sostenibile o addirittura preferibile a quella contestata; il Tribunale federale annulla la pronuncia criticata solo se il giudice del merito ha emanato un giudizio che appare - e ciò non solo nella motivazione bensì anche nell'esito - manifestamente insostenibile, in aperto contrasto con la situazione reale, gravemente lesivo di una norma o di un principio giuridico chiaro e indiscusso oppure in contraddizione urtante con il sentimento della giustizia e dell'equità (DTF 147 I 241 consid. 6.2.1). Per quanto riguarda in particolare la valutazione delle prove e l'accertamento dei fatti, il giudice - che in questo ambito dispone di un ampio margine di apprezzamento - incorre nell'arbitrio se misconosce manifestamente il senso e la portata di un mezzo di prova, se omette senza valida ragione di tener conto di un elemento di prova importante, suscettibile di modificare l'esito della vertenza, oppure se ammette o nega un fatto ponendosi in aperto contrasto con gli atti di causa o interpretandoli in modo insostenibile (DTF 143 IV 500 consid. 1.1).  
 
3.3. Con riferimento alla sua integrazione professionale, il ricorrente si duole della mancata presa in considerazione di tutta la sua vicenda medica. Dalla relativa documentazione risulterebbe che la perdita del lavoro e le successive difficoltà di trovarne un altro siano state un dramma per lui, tanto da provocare un aggravamento dell'alcolismo e un'esasperazione della sindrome depressiva già latente. Alla base della travagliata situazione professionale vi sarebbero comprovati problemi di salute direttamente correlati alla perdita del lavoro, elemento fondante del suo sistema di valori, e non una mancanza di volontà, come implicitamente suggerito dai giudici precedenti. Gli anni di "inattività" non sarebbero stati una scelta e la CARP incorrerebbe nell'arbitrio ritenendo che egli non sia intenzionato a lavorare. Nel valutare poi la sua integrazione linguistica, l'autorità precedente non avrebbe tenuto conto del suo grado di istruzione e delle sue scarse risorse intellettuali. Essa si fonderebbe sul rapporto Labor Transfer, che però sarebbe datato, e sul ricorso a un interprete in occasione del dibattimento di primo e secondo grado, dimenticando che l'insorgente avrebbe sostenuto tutti i verbali di interrogatorio e i colloqui con il perito senza l'ausilio di un interprete. In realtà sia nel contesto professionale, sia in quello medico e sia in quello penale, eccezion fatta per i dibattimenti, le sue conoscenze linguistiche gli avrebbero sempre permesso di far fronte alle necessità imposte dalle circostanze. Sotto il profilo della sua integrazione in Svizzera, oltre a relativizzare impropriamente la durata del soggiorno, la CARP non avrebbe tenuto conto della presenza di una solida rete familiare, dell'assenza di debiti o di percezione di prestazioni assistenziali. Nei dieci anni trascorsi in Ticino l'insorgente si sarebbe costituito una piccola realtà domestica.  
 
3.3.1. La censura appare alquanto appellatoria. La CARP non ha ignorato i problemi di salute del ricorrente né ha negato che, tra gli elementi fondanti del suo sistema di valori, vi sia il lavoro. Ha però rilevato che ha lavorato solo 7 anni sui quasi 15 passati in Svizzera, nonostante una capacità lavorativa, in attività che non comportano l'esposizione alla polvere di quarzo, attestata sia dall'Ufficio dell'assicurazione invalidità sia dalla SUVA. Sicché gli anni di "inattività", benché soffertamente vissuti, non sono dovuti a un'inabilità al lavoro. La Corte cantonale ha inoltre accertato che l'insorgente neppure svolge un altro tipo di attività, rilevando, sulla scorta delle dichiarazioni della moglie, che inizialmente si occupava dell'orto e della preparazione del pranzo, ma che poi la situazione è peggiorata. Riferendosi alla pendente richiesta di rendita di invalidità, i giudici cantonali hanno sostenuto che l'intenzione dell'insorgente non è quella di lavorare in futuro, bensì di far capo alle assicurazioni sociali. Se tale formulazione appare non del tutto appropriata, ciò non toglie che allo stato attuale si può condividere la conclusione della CARP che considera non riuscita l'integrazione professionale in Svizzera in base a una valutazione degli atti esente da arbitrio.  
 
3.3.2. Il rapporto Labor Trasfer sulle competenze linguistiche del ricorrente è effettivamente datato, risalendo al 2013. L'autorità cantonale vi ha tuttavia fatto riferimento non per determinare le sue conoscenze della lingua italiana, ma per rilevare che da allora nulla o poco è mutato. Infatti al dibattimento di primo come di secondo grado l'insorgente ha beneficiato dei servizi di un interprete. Se è vero che egli ha fatto fronte all'istruttoria senza interprete, l'intervento di questa figura al dibattimento è stato espressamente richiesto dal suo precedente difensore perché l'insorgente "si esprime in italiano, ma con difficoltà, lentezza e fatica". È quindi in modo sostenibile che la CARP ha considerato che anche sotto il profilo linguistico l'integrazione in Svizzera non poteva dirsi riuscita, aspetto che va oltre le sole conoscenze linguistiche che consentono di far fonte alle necessità di comunicazione imposte dalle circostanze, di cui si prevale il ricorrente.  
 
3.3.3. Sull'importanza della durata di soggiorno nella valutazione del caso di rigore, questione che attiene al diritto e non ai fatti, si tornerà in seguito (v. infra consid. 4.2).  
 
3.4. Con riguardo alla sua situazione familiare, a mente del ricorrente l'autorità cantonale avrebbe valutato in modo arbitrario le dichiarazioni rilasciate sia dalla moglie sia dal figlio.  
La censura non necessita di un esame di merito perché, anche se fosse fondata, sarebbe ininfluente sull'esito della causa (v. art. 97 cpv. 1 LTF). I legami familiari hanno una rilevanza per determinare se il ricorrente possa invocare il diritto al rispetto della vita familiare. Poiché il figlio del ricorrente è ormai maggiorenne, la loro relazione non rientra più tra quelle tutelate dall'art. 8 n. 1 CEDU (v. supra consid. 2.2). Appare dunque irrilevante stabilire se intrattengano un rapporto stretto ed effettivo e di conseguenza superfluo pronunciarsi sulla valutazione delle dichiarazioni del figlio in merito. Quanto alla moglie, l'esistenza di un reale e vissuto legame coniugale è incontestata. Come già ricordato però (v. supra consid. 2.2) non vi è ingerenza nella vita familiare se è ragionevolmente possibile attendersi dalle persone interessate che realizzino la loro vita familiare all'estero. Determinare se ciò sia il caso tuttavia non dipende dai loro desideri o aspirazioni, bensì da una valutazione oggettiva della loro situazione personale e dell'insieme delle circostanze della fattispecie (DTF 122 II 1 consid. 2). Non è quindi necessario stabilire se la CARP abbia commesso arbitrio ritenendo che la moglie ha lasciato intendere che seguirebbe l'insorgente se dovesse tornare in Portogallo. Sapere se, sulla base degli elementi oggettivi, l'espulsione costituirebbe un caso di rigore è una questione di diritto su cui si tornerà nel seguito (v. infra consid. 4.1).  
 
3.5. In relazione al pericolo per l'ordine pubblico, ritenuto sulla base della gravità dei fatti commessi, di una prognosi negativa e di una solo parziale consapevolezza del problema di dipendenza, l'insorgente rimprovera all'autorità cantonale di aver estrapolato dall'incarto unicamente gli elementi negativi, tralasciando altri riscontri probatori. Il ricorrente sostiene che i fatti per i quali sarebbe stato condannato, benché incontestabilmente gravi, andrebbero però valutati alla luce della particolare situazione in cui si sono verificati. La CARP non avrebbe considerato che il giorno della rapina egli era degente in una clinica in ragione di uno "scompenso depressivo con assunzione di alcol" e che ha agito in uno stato di scemata imputabilità di grado lieve connesso all'alcol assunto proprio quel giorno. Risulterebbe peraltro che mai prima di allora l'insorgente avrebbe rivolto la propria aggressività verso terzi e che i fatti commessi ai danni dell'anziana signora sarebbero l'evento culminante di un lungo periodo di difficoltà manifestatesi nella depressione e nella dipendenza dall'alcol. I giudici cantonali avrebbero dovuto considerare l'eccezionalità dell'episodio e il suo stretto legame con il suo stato di salute a quel momento, segnatamente il suo quadro psichico generale. Il ricorrente evidenzia poi come per il perito il rischio di nuovi atti violenti in caso di assunzione di alcol riguarderebbe soprattutto oggetti e non persone, rischio che comunque potrebbe essere "notevolmente contenuto" attraverso un adeguato percorso di cure, già intrapreso, e il supporto della famiglia, che avrebbe intenzione di fornirgli. Confrontandosi in modo solo selettivo con la perizia, senza tener conto di questi elementi, la CARP valuterebbe in modo arbitrario un mezzo di prova per poi formulare una prognosi negativa. Anche in relazione alla ritenuta assenza di consapevolezza del ricorrente del problema di dipendenza, l'autorità precedente incorrerebbe nell'arbitrio, servendosi di una dichiarazione rilasciata nel suo primo verbale "in un momento di verosimile confusione" senza tener conto di una serie di elementi indicativi di un'assunzione di responsabilità e della volontà di fare il necessario per risolvere le proprie difficoltà. Tra questi evidenzia la sua immediata collaborazione con l'autorità inquirente; l'avvio positivo della misura terapeutica stazionaria, per la quale avrebbe in precedenza manifestato la sua disponibilità; l'assenza di scompensi particolari in seguito alla sua prolungata astinenza dall'alcol; la sua consapevolezza di quanto commesso ai danni della vittima nonché il suo pentimento. Tenendo in debita considerazione tutto quanto appena esposto, la CARP avrebbe dovuto ritenere la pericolosità del ricorrente ulteriormente ridotta rispetto a quella descritta dal perito.  
 
3.5.1. Tutti gli elementi che il ricorrente evoca emergono dalla sentenza impugnata, sia i vari ricoveri, sia le sue patologie, sia ancora l'assenza di precedenti specifici connessi a reati violenti. L'addotta "particolare situazione in cui si sono verificati" i fatti è già stata presa in considerazione al momento di valutare la colpa del ricorrente e di commisurare la pena. In merito a tale aspetto, non oggetto di appello, la CARP ha richiamato espressamente la motivazione del tribunale di primo grado in applicazione dell'art. 82 cpv. 4 CPP. Essa ha in particolare osservato che la rapina aggravata giusta l'art. 140 n. 3 CP è un reato in sé grave per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore a due anni. Quanto alla colpa dell'insorgente, benché abbia agito in stato di scemata imputabilità, è stata definita comunque medio-grave. Non va poi trascurato che in concreto è stata ritenuta la forma aggravata del reato siccome il ricorrente si è dimostrato particolarmente pericoloso (art. 140 n. 3 cpv. 2 CP).  
 
3.5.2. Relativamente al rischio di commettere nuovi reati, l'insorgente oppone la propria valutazione della perizia a quella della CARP. Quest'ultima risulta sostenibile e condivisibile. Il perito ha infatti indicato che, senza un'adeguata elaborazione dei suoi vissuti problematici, sussiste un alto pericolo che il ricorrente ricada nell'uso di alcol e commetta nuovi reati, tra cui principalmente aggressioni contro oggetti, ma anche contro persone. Quand'anche "minoritario", il rischio di aggressioni contro le persone è dato e a ragione al riguardo l'autorità cantonale ha reputato inquietante la precisazione del perito per cui in quelle situazioni l'insorgente ritenga "di non avere niente da perdere". Vero è che, secondo il perito, il rischio di nuovi reati può essere contenuto dal supporto della famiglia e da un adeguato percorso di cura. Altrettanto vero è che il ricorrente ha iniziato l'esecuzione del trattamento stazionario ordinato in primo grado, a cui come sottolineato nel gravame si era dichiarato disponibile già in corso di istruzione e poi ancora dinanzi al tribunale di prime cure. Tale disponibilità non è stata ignorata dalla CARP, che ha comunque rilevato come sia stato condannato a sottoporsi alla misura dalla decisione di prima istanza. Si osserva tuttavia che non risulta che i ricoveri degli anni precedenti non fossero volontari e che nel gravame si precisa espressamente come il giorno della rapina l'insorgente "si trovava volontariamente ricoverato [...] a seguito di uno scompenso depressivo con assunzione di alcol". La sua adesione alla misura non è dunque sufficiente a relativizzare la pericolosità attestata dal perito. Come non lo è il sostegno della sua famiglia, che la CARP ha ritenuto non essergli mai mancato negli anni. Sicché, se per il perito questo è necessario, non è comunque sufficiente. Non giova al ricorrente prevalersi dell'assenza di comportamenti violenti dopo la sua incarcerazione, rispettivamente di scompensi particolari consecutivi all'astinenza dall'alcol. A prescindere dalla decisione del Giudice dei provvedimenti coercitivi relativa al collocamento del ricorrente in vista dell'esecuzione della misura, che secondo l'insorgente sarebbe stata valutata in modo arbitrario, è in modo del tutto sostenibile che la CARP ha considerato tale assenza fortemente agevolata dall'"ambiente protetto" in cui si è trovato, dapprima il carcere e poi l'istituto di collocamento. Del resto, relativamente al pericolo di commettere nuovi reati, il perito segnala che nulla indica una tendenza alla violenza quando l'insorgente è sobrio, essendo l'alcol ad aumentare la propensione ad agiti impulsivi e a facilitare lo sfogo di una certa carica di rabbia soppressa (incarto cantonale, All. 99, pag. 25). Il problema del ricorrente non si riduce effettivamente alla dipendenza dall'alcol, come obiettato nel gravame, ma concerne anche la depressione. Tuttavia l'insorgente non può essere seguito laddove pretende che l'attuale misura terapeutica interverrebbe in "una situazione di maggior consapevolezza sia da parte di chi cura, sia da parte del ricorrente stesso". La complessa diagnosi e articolazione tra la depressione e l'abuso di alcol è stata infatti formulata già a metà del 2018 al termine del suo quarto ricovero, come rilevato dal perito citato nel ricorso. Al suo quinto ricovero quindi, in occasione del quale l'insorgente ha commesso i fatti all'origine di questo procedimento, sussisteva già tale consapevolezza.  
 
3.5.3. Fondandosi su una dichiarazione dello stesso insorgente nel suo primo verbale di interrogatorio, la CARP ha ritenuto che egli non è sempre apparso consapevole della sua dipendenza dall'alcol, elemento che ha giudicato allarmante in relazione alla sua prognosi. Benché nei successivi verbali il ricorrente riconosca di avere un problema di dipendenza e di soffrire di depressione, la valutazione dell'autorità cantonale appare sostenibile, nella misura in cui non fa stato di una completa e costante negazione del problema. Il fatto che si sia assunto da subito la responsabilità dei fatti in giudizio non muta né sovverte tale constatazione relativa alla consapevolezza della sua dipendenza. Peraltro, richiamando le considerazioni del tribunale di primo grado sulla commisurazione della pena, la CARP dà comunque atto delle ampie ammissioni fornite sin dall'inizio, non senza rilevare che le dichiarazioni finali dell'insorgente parevano non far "emergere una piena e totale presa di coscienza della gravità del reato commesso". Del resto, il perito citato nel ricorso riferisce sì di un'assunzione di responsabilità e di un certo pentimento delle proprie azioni, ma anche di una capacità e possibilità empatica nei confronti della vittima comunque "necessaria di approfondita elaborazione". A ciò aggiungasi che, richiesto in appello di spiegare cosa facesse nel centro in cui era collocato, il ricorrente ha descritto le mansioni che vi svolgeva e solo su insistenza della Corte ha riferito della terapia seguita e del suo scopo, la CARP deducendone una scarsa consapevolezza delle ragioni della misura non propriamente indicativa della buona riuscita del trattamento. Certo, la struttura "semplice" e la "modesta istruzione" dell'insorgente, addotte nel gravame sulla scorta delle constatazioni del perito, possono in parte spiegare tali dichiarazioni, in particolare la descrizione con semplici mezzi del contenuto delle sue giornate. Ciò tuttavia non toglie che egli ha accennato alla terapia unicamente su insistenza della Presidente della Corte cantonale, di modo che non appare arbitrario ritenere che abbia manifestato una scarsa consapevolezza dello scopo della misura.  
 
4.  
Sulla scorta dei fatti, accertati come visto senza arbitrio, occorre determinare se l'espulsione costituirebbe per il ricorrente un grave caso di rigore personale ai sensi dell'art. 66a cpv. 2 CP, vale a dire un'ingerenza di una certa portata nella sua vita familiare o privata. 
 
4.1. L'insorgente è sposato con una connazionale dal 1996 ed è padre di un figlio nato nel 2000 in Portogallo. Quest'ultimo ha già raggiunto la maggiore età e conseguentemente il ricorrente non può prevalersi dell'art. 8 CEDU per evitare una separazione dal figlio, in assenza di rapporto di dipendenza che oltrepassa il normale legame familiare tra padre e figlio (v. DTF 147 I 268 consid. 1.2.3). La moglie, con cui intrattiene una relazione effettiva, è titolare di un diritto di presenza durevole in Svizzera. Entrambi hanno la cittadinanza portoghese. La loro nazionalità comune costituisce un indizio di rilievo per ritenere che possano condurre la loro vita familiare all'estero. In tal senso si osserva inoltre che entrambi hanno vissuto in Portogallo sino all'età adulta, giungendo in Svizzera all'età di 38 anni la moglie e di 33 (come lavoratore stagionale), rispettivamente di 37 anni il ricorrente. Conoscono quindi la lingua, la cultura e le dinamiche sociali del loro Paese d'origine, avendovi trascorso la maggior parte della loro vita. La moglie si trova in Ticino da poco più di 10 anni. Nulla indica tuttavia che vi sia radicata a tal punto da renderle praticamente impossibile una partenza e una vita altrove. Al riguardo, nel gravame, si evidenzia la volontà della moglie di non abbandonare il figlio ancora agli studi, temendo che non li porti a termine, e di non rinunciare "alla realtà di riferimento degli ultimi anni", potendo contare su "una consolidata posizione lavorativa". Trattasi di fattori che non rendono certo facile un suo rientro in Portogallo, ma nemmeno troppo arduo. Da un lato il figlio, oltre a essere maggiorenne, potrebbe continuare i suoi studi superiori anche in Portogallo, Paese in cui ha comunque vissuto fino all'età di 10 anni. Dall'altro lato, nulla indica che la moglie non possa trovare e svolgere un'attività lucrativa in Patria, né il contrario è preteso nell'impugnativa. Del resto, la CARP ha accertato che la situazione finanziaria della coppia in Portogallo non era problematica, lavorando entrambi e riuscendo ad acquistare un terreno e costruirvi una casa. In Portogallo vivono la madre, un fratello e due sorelle del ricorrente, nonché la famiglia della moglie, se con i primi i rapporti non sono buoni, con la seconda invece lo sono. In Patria quindi dispongono di un luogo (di proprietà) in cui vivere e di una rete sociale. Ne segue che un'eventuale partenza della coppia (o dell'intera famiglia) dalla Svizzera non porrebbe difficoltà insormontabili, potendo ragionevolmente realizzare la loro vita familiare in Portogallo, precisato che il fatto, peraltro non preteso, che le condizioni di vita siano eventualmente migliori in Svizzera rispetto al Paese d'origine non costituisce un ostacolo a una vita familiare all'estero. Sicché l'espulsione non può essere considerata un'ingerenza di una certa portata nel diritto alla vita familiare dell'insorgente.  
 
4.2. Il ricorrente risiede in Svizzera da più di 10 anni. Nella DTF 144 I 266, richiamata nel ricorso ed emanata nell'ambito della LStrI, questo Tribunale ha stabilito che di regola, nel contesto del diritto migratorio, è possibile partire dall'assunto che, dopo un soggiorno legale di dieci anni in Svizzera, lo straniero vi abbia creato delle relazioni sufficientemente salde, e che siano di conseguenza necessari motivi particolari per porre fine a tale soggiorno. Il Tribunale federale ha tuttavia precisato che in singoli casi la situazione può essere diversa e l'integrazione dello straniero può lasciare a desiderare (DTF citata consid. 3.9). Ciò è il caso in linea di principio delle persone che si sono rese colpevoli di uno dei reati elencati dall'art. 66a cpv. 1 CP (sentenza 6B_627/2018 del 22 marzo 2019 consid. 1.4). Orbene, secondo la giurisprudenza testé esposta (v. supra consid. 2.2), nell'ambito dell'art. 66a CP, non vige alcun automatismo o schematismo: l'esistenza di un caso di rigore non si determina sulla base di rigide norme di età né in funzione di un determinato periodo di presenza in Svizzera, ma si esamina, in ogni singolo caso, sulla scorta dei consueti criteri d'integrazione (DTF 146 IV 105 consid. 3.4.4). È quindi senza abusare del proprio potere e in conformità con la prassi appena esposta che la Corte cantonale non si è accontentata del periodo di residenza in Svizzera per ritenere intaccata la vita privata del ricorrente, ma ha esaminato i criteri di integrazione. La lamentata mancata esplicita menzione dell'assenza di debiti o di percezione di prestazioni assistenziali nel suo ragionamento non appare in sé criticabile, emergendo comunque dagli accertamenti di fatto. Infatti la sentenza costituisce un tutto e si presume che il giudice abbia presenti tutti gli elementi che vi figurano (v. sentenza 6B_38/2021 del 14 febbraio 2022 consid. 5.3.1). Ciò posto, si rileva che se una situazione debitoria o il ricorso a prestazioni assistenziali sono elementi che possono deporre contro un'integrazione nella vita economica, la loro assenza non è necessariamente sinonimo di integrazione. Risulta poi dalla sentenza impugnata che, nonostante gli anni trascorsi in Svizzera, il ricorrente è tuttora titolare di un permesso di dimora, essendogli stato negato il permesso di domicilio in ragione della sua precedente condanna per grave infrazione alle norme della circolazione stradale. Egli è giunto in Svizzera in età adulta, poi raggiunto dalla famiglia che si è creato in Portogallo. L'insorgente afferma essersi costituito "una piccola realtà domestica", ma ciò che lo lega alla Svizzera è unicamente la presenza del suo nucleo familiare. Oltre a questo, non emergono legami sociali e professionali particolarmente intensi con la Svizzera. Del resto la CARP ha, senza arbitrio (v. supra consid. 3.3), ritenuto che la sua integrazione sotto il profilo linguistico e professionale non fosse riuscita. In simili circostanze, l'espulsione non costituirebbe un'ingerenza di una certa portata neppure nel diritto al rispetto della vita privata del ricorrente.  
 
4.3. L'art. 8 CEDU non osta all'espulsione, e di riflesso nemmeno l'art. 13 Cost., che non conferisce garanzie più estese di quelle convenzionali (v. DTF 146 I 20 consid. 5.1). L'espulsione non costituirebbe pertanto un grave caso di rigore personale per il ricorrente. Non essendo data la prima condizione cumulativa posta dall'art. 66a cpv. 2 CP, non è possibile in concreto rinunciare eccezionalmente alla pronuncia della misura.  
 
4.4. Abbondanzialmente, volendo per ipotesi ammettere l'esistenza di un caso di rigore, l'espulsione risulterebbe comunque rispettosa del principio della proporzionalità e la seconda condizione posta dall'art. 66a cpv. 2 CP per rinunciare eccezionalmente alla misura non sarebbe quindi realizzata.  
 
4.4.1. Si rammenta che, nell'ambito dell'esame della proporzionalità dell'espulsione di uno straniero giunto in Svizzera in età adulta, occorre prendere in considerazione la gravità del reato commesso e della colpa dell'autore, la durata della sua presenza nel nostro Paese, il tempo trascorso dalla perpetrazione dell'infrazione e il comportamento da egli tenuto da allora, i suoi legami sociali, culturali e familiari con il paese di residenza e con quello di origine, il suo stato di salute, la durata della misura, nonché le difficoltà che incombono su lui e la sua famiglia in caso di espulsione (DTF 139 I 145 consid. 2.4; v. pure sentenza 6B_693/2020 del 18 gennaio 2021 consid. 7.1.1).  
 
4.4.2. Il ricorrente si è reso colpevole, in età adulta, di rapina aggravata, siccome dimostratosi particolarmente pericoloso, e di omissione di soccorso. Si osserva che già la forma semplice del reato di rapina è considerata grave al punto da implicare l'espulsione obbligatoria (art. 66a cpv. 1 lett. c CP). Benché agendo in stato di scemata imputabilità di grado lieve, ha deliberatamente inteso prendere di mira una donna indifesa, perché un uomo avrebbe potuto "essere più forte" di lui, al fine di rubarle la borsetta e disporre di denaro per acquistare della birra, e ciò malgrado fosse ricoverato volontariamente a causa della sua dipendenza dall'alcol e della depressione. Dopo avere spinto a terra la donna, afferrata per il collo, essersi seduto a cavalcioni su di lei, averla trattenuta a terra e averle inserito con forza il foulard nel cavo orale, le ha sottratto gli anelli e la collana e se ne è andato, lasciando l'anziana signora "come svenuta", "priva di sensi", anche se "respirava". La vittima ha riportato, oltre che diverse contusioni, un disturbo post-traumatico acuto da stress. L'insorgente è stato condannato a una pena di 3 anni e 6 mesi, ben superiore quindi alla "pena di lunga durata" che, nel diritto migratorio, può giustificare la revoca di un permesso di soggiorno allo straniero condannato penalmente (v. art. 62 cpv. 1 lett. b LStrI; DTF 139 I 145 consid. 2.1). La sua colpa, considerata oggettivamente e soggettivamente grave, è stata per finire definita medio-grave alla luce della scemata imputabilità di grado lieve. La CARP ha inoltre evidenziato come il ricorrente abbia delinquito durante il periodo di prova di una precedente condanna per fatti di una gravità inferiore, condanna all'origine peraltro del mancato rilascio del permesso di domicilio. Ne ha dedotto la sua scarsa capacità di trarre un qualsiasi insegnamento. A ciò aggiungasi un rischio, rilevato dal perito, di commettere nuovi reati anche contro le persone (v. supra consid. 3.5.3), in momenti in cui può ritenere di non avere niente da perdere, ciò che è allarmante in merito alle possibili conseguenze. Benché il rischio possa essere contenuto dalla misura pronunciata e dal supporto della famiglia, esso esiste. L'interesse pubblico all'espulsione del ricorrente è dunque importante. Sul comportamento tenuto dopo i fatti, da cui è trascorso invero non molto tempo, nulla di negativo può essere segnalato. Questo non significa però che non esista più alcun interesse pubblico alla misura dell'espulsione. Da un lato, da allora è privato della propria libertà. Dall'altro lato, malgrado la collaborazione fornita alle autorità inquirenti, le sue dichiarazioni finali non hanno permesso di far emergere "una piena e totale presa di coscienza della gravità del reato commesso".  
L'insorgente, classe 1973, è nato e cresciuto in Portogallo e vi ha costituito la propria famiglia. Conosce dunque la lingua, la cultura e le tradizioni del suo Paese e altrettanto dicasi per gli altri componenti della famiglia. Nel 2010, in età adulta, si è trasferito stabilmente in Svizzera, raggiunto poco dopo da moglie e figlio. Se è vero che vive in Svizzera da oltre 10 anni, la sua integrazione non risulta propriamente riuscita e il suo legame con il nostro Paese si riduce a quella che egli definisce "una piccola realtà domestica", vale a dire alla presenza di moglie e figlio maggiorenne. Adduce pure una "rete sociale", intesa però piuttosto come rete di operatori che, nel contesto della misura, lo aiuterebbero a reintegrarsi nella realtà ticinese. È vero che il perito, citato dal ricorrente, ha asserito che gli operatori potrebbero assisterlo nella reintegrazione professionale. Sennonché non si scorge, e neppure è spiegato nel gravame, quali possibilità di reinserimento professionale siano in concreto prospettabili, tenuto conto della nuova richiesta di invalidità ancora pendente. La sua espulsione dunque non sarebbe in contraddizione con la misura pronunciata. Inoltre, come già rilevato dalla CARP, le cure delle patologie di cui soffre l'insorgente, la dipendenza dall'alcol e la depressione nonché i disturbi respiratori, possono essere senz'altro dispensate anche in Portogallo che dispone di un buon sistema sanitario. Nulla indica che ciò dipenda dal trasferimento della moglie in Portogallo e dal fatto che vi trovi un nuovo lavoro, come insinuato senza particolari sviluppi nel ricorso. Il reato è stato commesso molti anni dopo il matrimonio. La moglie, elemento fondamentale per l'equilibrio del ricorrente, ha dichiarato di volergli stare vicino e di volerlo aiutare. Ella ha trascorso la maggior parte della sua vita proprio in Portogallo, dove ha anche lavorato, e poco più di 10 anni in Svizzera. Se non può essere negato che un suo eventuale rientro in Portogallo possa comportare delle difficoltà, queste non appaiono insormontabili e del resto il gravame non illustra il contrario. Qualora invece decidesse di rimanere in Svizzera, grazie alla sua attività professionale, sarebbe in ogni caso indipendente finanziariamente. Nemmeno le ripercussioni dell'espulsione sul figlio, oramai più che maggiorenne, risulterebbero oltremodo gravose. I suoi studi possono essere continuati in Svizzera con l'ausilio finanziario della madre rispettivamente grazie a un prestito o borsa di studio, oppure in Portogallo, Paese in cui è nato ed è vissuto fino all'età di 10 anni. 
In simili circostanze, l'espulsione del ricorrente non comporterebbe dunque necessariamente la separazione della famiglia e l'interesse privato dell'insorgente a rimanere in Svizzera in ragione dei suoi legami familiari va pertanto relativizzato e in ogni modo non prevale sull'interesse pubblico alla misura, che risulta dunque proporzionata vista anche la sua durata ancora contenuta. 
 
5.  
Occorre ancora esaminare se l'espulsione nel caso concreto sia compatibile con l'ALC. 
Il ricorrente, che da anni non svolge più un'attività lucrativa, non spiega a quale titolo si prevalga dell'ALC. La CARP ha ritenuto tale accordo applicabile in virtù dell'art. 4 Allegato I ALC. Ci si può domandare se ciò sia effettivamente il caso, dagli accertamenti cantonali non risultando un'inabilità permanente al lavoro (v. al riguardo sentenza 2C_469/2022 del 25 luglio 2022 consid. 4.3). La questione può essere lasciata irrisolta, dal momento che la moglie dell'insorgente ha un diritto di soggiorno in Svizzera, disponendo di un permesso di domicilio, sicché egli può richiamarsi all'art. 3 Allegato I ALC
Ciò posto, la CARP ha rilevato che il rischio di commissione di reati contro l'integrità fisica della persona è, "allo stato attuale, alto". Se effettivamente, secondo il perito, questo rischio può essere relativizzato dalla misura ordinata e dal supporto della famiglia dell'insorgente, si è visto (v. supra consid. 3.5.2) che tale rischio comunque sussiste ove egli ricada nell'uso di alcol e che esso risulta allarmante quanto alle possibili conseguenze, nella misura in cui può concernere le persone in momenti in cui il ricorrente ritenga "di non avere niente da perdere". In quest'ottica sussiste indubbiamente un grave pericolo per l'ordine pubblico, come giustamente ritenuto dalla Corte cantonale. Infatti, poiché in queste circostanze la gravità di un potenziale reato è importante, concernendo l'integrità fisica, anche un debole, ma reale rischio di recidiva è sufficiente per porre fine al soggiorno dello straniero conformemente all'art. 5 Allegato I ALC (v. supra consid. 2.3). L'espulsione risulta quindi giustificata da un motivo di ordine e sicurezza pubblici ai sensi di questa norma. La misura appare inoltre conforme alla CEDU e proporzionata (v. supra consid. 4.4.2).  
L'ALC non osta quindi alla pronuncia dell'espulsione. 
 
6.  
Ne segue che il ricorso dev'essere respinto perché infondato. 
La domanda di assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio non può trovare accoglimento, dal momento che le conclusioni apparivano d'acchito prive di possibilità di successo (art. 64 cpv. 1 LTF). Le spese giudiziarie, il cui importo tiene conto della precaria situazione finanziaria dell'insorgente (art. 65 LTF), sono pertanto poste a suo carico secondo soccombenza (art. 66 cpv. 1 LTF). 
Non si accordano ripetibili alle autorità vincenti (art. 68 cpv. 3 LTF). 
 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.  
Il ricorso è respinto. 
 
2.  
La domanda di assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio è respinta. 
 
3.  
Le spese giudiziarie di fr. 1'200.-- sono poste a carico del ricorrente. 
 
4.  
Comunicazione ai patrocinatori del ricorrente, al Ministero pubblico e alla Corte di appello e di revisione penale del Cantone Ticino. 
 
 
Losanna, 14 dicembre 2022 
 
In nome della Corte di diritto penale 
del Tribunale federale svizzero 
 
La Presidente: Jacquemoud-Rossari 
 
La Cancelliera: Ortolano Ribordy