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Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
1P.602/2003 /bom 
 
Sentenza del 23 febbraio 2004 
I Corte di diritto pubblico 
 
Composizione 
Giudici federali Aemisegger, presidente della Corte 
e presidente del Tribunale federale, 
Reeb, Féraud, 
cancelliere Gadoni. 
 
Parti 
A.________, 
ricorrente, patrocinato dall'avv. Francesco Naef, 
contro 
 
Ministero pubblico del Cantone Ticino, palazzo di giustizia, via Pretorio 16, 6901 Lugano, 
Camera dei ricorsi penali del Tribunale d'appello 
del Cantone Ticino, palazzo di giustizia, via Pretorio 16, 6901 Lugano. 
 
Oggetto 
risarcimento all'accusato a seguito dell'abbandono del procedimento penale, 
 
ricorso di diritto pubblico contro la sentenza emanata 
il 4 settembre 2003 dalla Camera dei ricorsi penali del Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
A. 
A seguito di parecchie denunce il Procuratore pubblico del Cantone Ticino (PP) ha aperto nel 1978 nei confronti di A.________ vari procedimenti penali per i reati di truffa, amministrazione infedele, usura, incitamento alla speculazione e appropriazione indebita. Le inchieste, congiunte dal PP, riguardavano essenzialmente asseriti illeciti commessi dall'accusato tra la fine del 1977 e l'estate del 1983, mediante due società attive nel campo delle borse merci, la B.________ e la C.________ SA. Il 7 novembre 1984 il Giudice istruttore sottocenerino, incaricato dell'istruzione, aveva emanato contro A.________ un ordine d'arresto a diffusione nazionale, tuttavia mai eseguito, essendosi questi trasferito all'estero nel dicembre del 1984. Il provvedimento era stato impugnato senza successo dinanzi alle istanze cantonali; adito dall'accusato, il Tribunale federale ha ritenuto l'ordine di arresto non sorretto dall'interesse pubblico e lesivo del principio della proporzionalità, annullando la decisione della Camera dei ricorsi penali del Tribunale d'appello del Cantone Ticino (CRP) che lo confermava (cfr. sentenza 1P.386/1995 del 13 gennaio 1998, parzialmente pubblicata in RDAT II-1998 n. 10 pag. 22 segg.). 
Con decreto del 5 novembre 1998 il PP ha abbandonato i procedimenti; ha rilevato che per 25 procedure era intervenuta la prescrizione e che per le due rimanenti non erano adempiuti gli elementi costitutivi di reato né erano sufficienti le indicazioni contenute nella denuncia. 
B. 
Il 5 novembre 1999 A.________ ha presentato alla CRP una domanda d'indennità secondo l'art. 317 CPP/TI. Chiedeva un'equa rifusione delle spese di patrocinio, fr. 1'328'444.-- quale risarcimento per il danno materiale, corrispondente all'asserita diminuzione del valore delle azioni della C.________ SA a seguito della procedura penale, e fr. 237'300.-- quale riparazione del torto morale. 
C. 
Dopo una serie di atti procedurali che non occorre qui evocare, segnatamente dopo l'annullamento il 2 ottobre 2002 da parte del Tribunale federale (causa 1P.258/2002) di un precedente giudizio emanato il 28 marzo 2002 dalla CRP, che aveva riconosciuto di principio un diritto all'indennità solo riguardo ai due procedimenti non prescritti, la Corte cantonale - con sentenza del 4 settembre 2003 - ha accolto l'istanza limitatamente a un importo di fr. 2'000.--. Essa ha negato la rifusione delle spese di patrocinio perché non documentate e ritenuto che l'istante non aveva dimostrato di essere sempre stato azionista unico della C.________ SA dal 1983 al 1999. Ha comunque considerato che la perdita di valore delle azioni di tale società non stava in un rapporto di causalità adeguata con il procedimento penale e che l'importo richiesto a tale titolo era esorbitante. La CRP ha infine accordato all'istante fr. 2'000.-- a titolo di riparazione morale. 
D. 
A.________ impugna con un ricorso di diritto pubblico al Tribunale federale questo giudizio, chiedendo di annullarlo. Fa valere una violazione degli art. 8, 9, 29 e 32 Cost., nonché dell'art. 6 CEDU. Dei motivi si dirà, per quanto necessario, nei considerandi. 
E. 
La CRP e il Ministero pubblico si rimettono entrambi al giudizio del Tribunale federale. 
 
Diritto: 
1. 
Il ricorso, presentato contro una decisione dell'ultima istanza cantonale (cfr. art. 320 cpv. 4 CPP/TI), è ammissibile secondo gli art. 84 cpv. 1 lett. a, 86 e 87 OG. La legittimazione del ricorrente è pacifica (art. 88 OG) e il ricorso tempestivo (art. 89 cpv. 1 OG). 
2. 
Come rileva rettamente il ricorrente, dal diritto federale non si deduce una pretesa di indennità per torto morale relativa a pregiudizi subiti in conseguenza di un provvedimento legittimo adottato nell'ambito di un procedimento penale (DTF 119 Ia 221 consid. 6, 113 Ia 177 consid. 2d, 108 Ia 13 consid. 3 concernenti la Costituzione previgente; Robert Hauser/Erhard Schweri, Schweizerisches Strafprozessrecht, 5a ed., Basilea 2002, § 109 n. 2 e 3). Questa situazione giuridica non è stata modificata con l'entrata in vigore, il 1° gennaio 2000, degli art. 31 e seg. Cost. (cfr. FF 1997 I 175; Andreas Auer/Giorgio Malinverni/Michel Hottelier, Droit constitutionnel suisse, Vol. II, Berna 2000, pag. 177, n. 339). Una pretesa di risarcimento per detenzione formalmente legale non è nemmeno prevista dalla CEDU, il cui art. 5 n. 5 prescrive unicamente che, nel caso di arresto o di detenzione illegali, l'ente pubblico è tenuto al risarcimento del danno materiale e morale (cfr. sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa N.C. c. Italia dell'11 gennaio 2001, n. 24952/94; DTF 119 Ia 221 consid. 6; Arthur Haefliger/Frank Schürmann, Die Europäische Menschenrechtskonvention und die Schweiz, 2a ed., Berna 1999, pag. 128 e seg.; Frowein/ Peukert, EMRK-Kommentar, 2a ed., Kehl 1996, pag. 146 e segg., n. 158 e segg.). Le suddette considerazioni valgono, a maggior ragione, anche per gli altri eventuali inconvenienti subiti dall'accusato in relazione a una procedura penale conclusa con un giudizio assolutorio o di abbandono. Il quesito di sapere se il Cantone Ticino accordi, e in che misura, una garanzia di risarcimento, deve essere vagliato secondo il diritto cantonale, la cui portata è esaminata dal Tribunale federale dal ristretto profilo dell'arbitrio, quando siano in discussione norme di rango inferiore alla Costituzione. 
Secondo l'art. 10 cpv. 4 Cost./TI il Cantone Ticino risponde del danno materiale e morale derivante dall'ingiusta privazione della libertà personale. L'art. 317 CPP/TI prevede che l'accusato prosciolto ha diritto a un'indennità nella forma della rifusione delle spese di patrocinio, del risarcimento dei danni materiali e della riparazione del torto morale. Come rilevato dalla CRP, l'onere della prova del danno spetta all'istante, che deve fondare la sua richiesta su fatti precisi e documentare le sue pretese (DTF 113 IV 93 consid. 3e, 107 IV 155; Gérard Piquerez, Procedure pénale suisse, Zurigo 2000, n. 4096 pag. 850; cfr. rapporto dell'8 novembre 1994 della Commissione speciale per la revisione del CPP, pag. 96 ad art. 317). In questa valutazione, al giudice cantonale è riservato un ampio potere di apprezzamento che il Tribunale federale esamina unicamente dal ristretto profilo dell'arbitrio, rispettivamente dell'eccesso o dell'abuso del potere di apprezzamento (DTF 124 I 208 consid. 4, 118 II 410 consid. 2a, 116 II 295 consid. 5a e rinvii). 
3. 
Il ricorrente rimprovera alla Corte cantonale di essere incorsa nell'arbitrio e in un diniego di giustizia formale per avergli del tutto negato la rifusione di spese legali siccome non documentate. Ritiene che i giudici cantonali avrebbero invece dovuto fare uso del loro potere di apprezzamento e riconoscergli un importo equo, secondo i principi previsti dall'art. 42 cpv. 2 CO. Il ricorrente afferma che, vista la lunga durata del procedimento penale e il fatto che il suo precedente patrocinatore è deceduto nel 1983, non dispone ormai più delle note professionali che avrebbero potuto provare i costi legali sopportati. Sostiene inoltre di non essere obbligato a tenere una contabilità ed a conservare la relativa documentazione e che, in ogni caso, anche se avesse indicato il tempo effettivamente impiegato dai suoi patrocinatori per la difesa, ciò non sarebbe stato determinante, visto che occorrerebbe considerare il dispendio medio che un avvocato diligente avrebbe profuso secondo la normale esperienza nell'esecuzione di un mandato di complessità analoga. Sempre secondo il ricorrente, spettava per di più alla Corte cantonale, in virtù del principio inquisitorio, renderlo attento sulle conseguenze di tali carenze probatorie e invitarlo a fare il possibile per produrre la documentazione mancante. 
3.1 Giusta l'art. 42 cpv. 2 CO, applicabile secondo la stessa CRP a titolo di diritto cantonale suppletivo, il danno di cui non può essere provato il preciso importo, è stabilito dal prudente criterio del giudice avuto riguardo all'ordinario andamento delle cose ed alle misure prese dal danneggiato. Questa disposizione tende a facilitare la prova del danno quand'esso o la sua entità non possano essere dimostrati. Essa non apre tuttavia la possibilità per il danneggiato di chiedere al giudice, senza fornire precise indicazioni, di pronunciare un risarcimento discrezionale. L'istante deve piuttosto indicare e dimostrare, nella misura del possibile e in quanto ciò possa essere da lui ragionevolmente preteso, tutte le circostanze che fondano il danno e che possono permettere o facilitare la sua determinazione (DTF 128 III 271 consid. 2b/aa pag. 276/277, 122 III 219 consid. 3a e riferimenti). La sola possibilità che un danno si sia effettivamente realizzato e che raggiunga l'entità prospettata non è sufficiente, tale conclusione dovendo piuttosto imporsi in modo convincente e pressoché certo agli occhi del giudice. Siccome il pregiudizio subito deve essere determinato concretamente, esso deve essere di principio fondato su accertamenti effettivi, concreti e provati, che possono essere sostituiti da valori sperimentali soltanto quand'essi risultino impossibili o necessitino di un dispendio sproporzionato ed irragionevole (DTF 122 III 219 consid. 3a; Roland Brehm, in: Commentario bernese, n. 50 segg. all'art. 42). 
3.2 Nella domanda d'indennità del 5 novembre 1999 l'istante ha sostenuto genericamente di non disporre della documentazione riguardante le spese della difesa, limitandosi a rilevare che la maggior parte degli atti erano stati eseguiti dai suoi patrocinatori più di dieci anni prima. Egli non ha indicato alcunché riguardo all'attività dei legali, né si è confrontato con le diverse fasi della procedura penale, accennando alle operazioni che sarebbero state necessarie e fornendo al giudice perlomeno delle indicazioni che potessero facilitare la determinazione degli oneri della difesa. Certo, visto il lungo tempo trascorso dall'avvio del procedimento, la raccolta di tutta la documentazione, in particolare relativamente al mandato del primo difensore, nel frattempo deceduto, poteva risultare difficoltosa. Questa circostanza non dispensava tuttavia l'istante dal fare il possibile per ricostruire, sulla base degli atti del procedimento penale, perlomeno una parte delle operazioni svolte ed esporre gli indizi che avrebbero permesso ai giudici di perlomeno stimare il dispendio causato dalla procedura (cfr. Brehm, op. cit., n. 52 all'art. 42). Poteva del resto essere ragionevolmente preteso dal ricorrente ch'egli indicasse quantomeno le operazioni svolte dall'attuale suo patrocinatore, invero non tutte effettuate oltre dieci anni prima della presentazione della domanda d'indennità. Come riconosce il ricorrente, per la fissazione del tempo necessario alla trattazione della pratica non è invero decisivo l'impiego temporale effettivo, ma il dispendio medio che un avvocato avrebbe profuso, secondo la normale esperienza, nell'esecuzione di un mandato di complessità analoga (cfr. Rep. 1998, n. 126, pag. 381, consid. 4.2). Tale giurisprudenza, che si riferisce peraltro al caso - qui non realizzato - in cui il dispendio orario esposto dal legale nella nota professionale risulti eccessivo e si giustifichi quindi una sua riduzione, non esonera tuttavia l'istante dall'obbligo di fornire ai giudici concrete indicazioni sulle operazioni svolte dal legale alfine di permettere un apprezzamento effettivo del dispendio lavorativo. 
3.3 Il principio inquisitorio, invocato dal ricorrente, ha una portata determinata dal diritto cantonale, sicché la sua applicazione è esaminata dal Tribunale federale sotto il ristretto profilo dell'arbitrio (cfr. sentenza 2P.290/1990 del 20 novembre 1991, consid. 3c, pubblicata in StE 1993, B 93.3, n. 4). Ora, nella procedura d'indennità retta dagli art. 317 segg. CPP/TI, il principio inquisitorio trova un'applicazione limitata, considerato che - come si è visto - l'onere della prova spetta all'istante e che la domanda d'indennità deve essere documentata e fondata su fatti precisi (Rep. 1998, n. 126, pag. 380, consid. 3). Il principio non dispensa peraltro la parte dal suo obbligo di collaborare all'accertamento dei fatti, segnatamente dall'onere di provare quanto sia in sua facoltà (DTF 120 V 357 consid. 1a e rinvii). Nelle esposte circostanze, la Corte cantonale non ha arbitrariamente disatteso il principio per non avere reso attento l'istante delle carenze probatorie della domanda d'indennità. 
Ne consegue che la CRP non è quindi incorsa nell'arbitrio né ha abusato del suo potere d'apprezzamento ritenendo non realizzati gli estremi per applicare l'art. 42 cpv. 2 CO e negando la rifusione delle spese di patrocinio siccome non documentate. 
4. 
4.1Il ricorrente sostiene che la Corte cantonale sarebbe incorsa nell'arbitrio anche per avergli negato un risarcimento per la perdita di valore delle azioni della C.________ SA. Critica le conclusioni della CRP secondo cui l'istante non avrebbe dimostrato di essere rimasto azionista unico della società anche nel periodo dal 1983 al 1999. Il ricorrente considera inoltre realizzato un nesso di causalità tra il procedimento penale e la diminuzione di valore e ritiene adeguato l'ammontare del danno patrimoniale fatto valere. 
4.2Riguardo in particolare al diniego della causalità tra il procedimento penale e la perdita di valore delle azioni, il ricorrente sostiene che la cessazione dell'attività societaria sarebbe intervenuta già nel 1983, prima del suo trasferimento all'estero, e sarebbe riconducibile essenzialmente alla pubblicità negativa da parte dei mezzi d'informazione, ai sequestri e alle perquisizioni di conti bancari e postali ordinati nell'ambito dell'inchiesta. Ritiene che l'autorità cantonale non avrebbe considerato questi elementi fondandosi invece a torto sull'aspetto, a suo modo di vedere irrilevante, del trasferimento all'estero. 
Invero, la CRP ha tenuto conto nel suo giudizio delle argomentazioni addotte dal ricorrente riguardo alla diminuzione di valore del pacchetto azionario, ma ha ritenuto non dimostrato che la pubblicità negativa connessa al procedimento penale e le misure istruttorie quali in particolare i sequestri e le perquisizioni fossero la causa della perdita dell'intera clientela e della cessazione dell'attività. In questa sede, il ricorrente non spiega, con una motivazione conforme all'art. 90 cpv. 1 lett. b OG e alla giurisprudenza (DTF 129 I 113 consid. 2.1, 125 I 71 consid. 1c, 492 consid. 1b), perché la Corte cantonale avrebbe violato il divieto dell'arbitrio ritenendo la domanda d'indennità non sufficientemente documentata sotto il citato profilo. D'altra parte, senza incorrere nell'arbitrio, la CRP poteva tenere conto anche della partenza del ricorrente per l'estero e considerare questa circostanza rilevante per valutare e, in concreto, negare la causalità tra il procedimento penale e la perdita di valore delle azioni. Tanto più che, in quest'ambito, non è determinante un eventuale rapporto di causalità naturale, ma un nesso causale adeguato, che si realizza solo quando il procedimento penale è idoneo - secondo l'andamento ordinario delle cose e l'esperienza generale della vita - a produrre o a favorire un pregiudizio simile a quello verificatosi (Ruth Wallimann Baur, Entschädigung und Genugtuung durch den Staat an unschuldig Verfolgte im ordentlichen zürcherischen Untersuchungsverfahren, tesi, Zurigo 1998, pag. 90; cfr., sulla nozione di causalità adeguata, DTF 123 III 110 consid. 3a pag. 112, 123 V 98 consid. 3d e rinvii). Ora, premesso che il ricorrente non si esprime in modo esplicito sulla questione dell'adeguatezza, la CRP poteva, senza pronunciare un giudizio manifestamente insostenibile, ritenere gli accennati atti dell'inchiesta penale inadeguati a provocare il prospettato danno patrimoniale, visto che l'istante si era comunque presto trasferito all'estero abbandonando completamente la sua attività (cfr. Wallimann Baur, op. cit., pag. 91). Poiché, per le ragioni esposte, il diniego di un risarcimento per la perdita di valore delle azioni non risulta in ogni caso arbitrario nel suo risultato (DTF 129 I 8 consid. 2.1, 128 I 273 consid. 2.1 e rinvii), non occorre esaminare se, a ragione, la CRP ha pure considerato non dimostrati la proprietà delle azioni nel periodo dal 1983 al 1999 e l'ammontare del danno prospettato dall'istante. 
5. 
Il ricorrente rimprovera infine alla Corte cantonale di avere fissato la riparazione del torto morale abusando del proprio potere d'apprezzamento, fondandosi su elementi irrilevanti e disattendendo circostanze determinanti. Lamenta altresì una violazione della presunzione d'innocenza. 
5.1L'art. 49 CO, applicato dalla Corte cantonale a titolo di diritto suppletivo, prevede che un'indennità per torto morale sia concessa nel caso in cui la gravità dell'offesa alla personalità lo giustifichi e questa non sia stata riparata in altro modo. La commisurazione della riparazione morale costituisce una decisione secondo l'equità, fondata di principio sull'apprezzamento e sulla ponderazione delle concrete circostanze (DTF 123 II 210 consid. 2c). Essa deve essere fissata in funzione della gravità della lesione della personalità, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto, segnatamente del pregiudizio all'integrità fisica e psichica, della reputazione di colui che si pretende leso, nonché della sua situazione familiare e professionale (DTF 113 Ib 155 consid. 3b, 113 IV 93 consid. 3a; cfr. pure DTF 128 IV 53 consid. 7a pag. 71, 125 III 269 consid. 2a, 412 consid. 2a pag. 417). 
5.2Il ricorrente non ha subito né detenzione né arresto. Ritiene nondimeno che la CRP abbia minimizzato la portata dell'ordine di arresto emanato nei suoi confronti, il quale costituirebbe, a suo dire, una vera e propria sentenza di condanna, assimilabile ad un'espulsione ai sensi dell'art. 55 CP. Sostiene inoltre che la precedente istanza non avrebbe tenuto conto dei ritardi accumulati dalle autorità cantonali nella conduzione dell'inchiesta, ma avrebbe cercato di ridurre l'indennità per torto morale biasimando il comportamento del ricorrente. 
Nella misura in cui il ricorrente insiste anche in questa sede nel parificare, in modo generico, l'ordine di arresto alla pena accessoria dell'espulsione, le censure ricorsuali rivestono un carattere essenzialmente appellatorio e sono di per sé inammissibili (art. 90 cpv. 1 lett. b OG). Né il ricorrente adduce e documenta particolari elementi soggettivi sulla sua persona, sulle ripercussioni nell'ambito familiare, lavorativo e sociale, che consentano di valutare adeguatamente la sofferenza da lui eventualmente subita. Con le argomentazioni esposte nel suo gravame egli non dimostra affatto la sussistenza di indizi sufficientemente concreti di lesioni particolarmente gravi della personalità causate dagli eventi penali, né essi sono ravvisabili in concreto. D'altra parte, premesso come non risulti che il ricorrente abbia adito le istanze ricorsuali superiori per lamentare l'eventuale violazione del principio di celerità da parte delle autorità inquirenti (cfr. DTF 125 V 373 consid. 2b/aa), la CRP ha fissato l'indennità per torto morale tenendo appunto conto dell'esistenza dell'ordine di arresto a diffusione nazionale e della sua durata. Essa ha inoltre esplicitamente riconosciuto che il comportamento del ricorrente non poteva essere considerato colpevole né contrario a una regola giuridica, sicché, contrariamente a quanto sembra ritenere il ricorrente stesso, la CRP non ha per finire ridotto la riparazione morale sulla base di un simile motivo, ma si è rifiutata - senza con ciò violare il divieto dell'arbitrio - di assimilare genericamente l'ordine di arresto a un'espulsione. Né l'ammontare dell'indennità stabilito concretamente dalla CRP può essere ritenuto arbitrario per il solo fatto ch'esso coincide con quello fissato dalla stessa autorità cantonale nel precedente giudizio del 28 marzo 2002. Il Tribunale federale ha in effetti annullato tale decisione con sentenza del 2 ottobre 2002, senza statuire sull'ammontare del risarcimento e senza fornire, sugli aspetti qui litigiosi, indicazioni vincolanti per l'autorità cantonale (cfr. sentenza 1P.258/2002, consid. 3.5). L'annullamento del primo giudizio della CRP ha quindi sostanzialmente comportato il ripristino della situazione giuridica precedente l'emanazione dello stesso, sicché solo la sentenza emanata il 4 settembre 2003 dalla medesima CRP è in discussione in questa sede (cfr. Walter Kälin, Das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, 2a ed., Berna 1994, pag. 399). In tali circostanze, non può quindi essere rimproverato alla precedente istanza di avere abusato del proprio potere d'apprezzamento, né di avere violato la presunzione d'innocenza. 
6. 
Ne consegue che, nella misura in cui ammissibile, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza (art. 156 cpv. 1 OG). 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
2. 
La tassa di giustizia di fr. 3'000.-- è posta a carico del ricorrente. 
3. 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Ministero pubblico e alla Camera dei ricorsi penali del Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
Losanna, 23 febbraio 2004 
In nome della I Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
Il presidente: Il cancelliere: