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Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
6S.292/2004 /viz 
 
Sentenza del 7 ottobre 2004 
Corte di cassazione penale 
 
Composizione 
Giudici federali Schneider, presidente, 
Kolly, Zünd, 
cancelliere Garré. 
 
Parti 
Ministero pubblico del Cantone Ticino, 
ricorrente, 
 
contro 
 
A.A.________, 
opponente, patrocinato dall'avv. Raffaele Bernasconi, 
B.A.________, 
parte civile. 
 
Oggetto 
violenza carnale (art. 190 CP), 
coazione sessuale (art. 189 CP), 
 
ricorso per cassazione contro la sentenza del 
2 luglio 2004 della Camera dei ricorsi penali del 
Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
A. 
Il 24 maggio 2004 il Procuratore Pubblico del Cantone Ticino poneva in stato di accusa davanti alla Corte delle Assise correzionali di Riviera A.A.________ siccome accusato di violenza carnale e coazione sessuale nei confronti di sua moglie B.A.________, per fatti risalenti al 7 giugno 2003. 
B. 
Il 2 luglio 2004 la Camera dei ricorsi penali del Tribunale d'appello del Cantone Ticino (CRP), preso atto che B.A.________, con scritto del 18 novembre 2003, comunicava di ritirare ogni querela di parte nel procedimento penale in questione, annullava l'atto d'accusa del 24 maggio 2004, accogliendo in tal modo il ricorso tempestivamente interposto dall'accusato. 
C. 
Il Procuratore Pubblico insorge con tempestivo ricorso per cassazione contro la sentenza dell'ultima istanza cantonale, domandandone l'annullamento. 
D. 
La CRP, preso atto del ricorso, si rimette al giudizio del Tribunale federale. Non sono state chieste altre osservazioni al ricorso. 
 
Diritto: 
1. 
1.1 Il ricorso per cassazione può essere proposto unicamente per violazione del diritto federale (art. 269 cpv. 1 PP). La Corte di cassazione penale del Tribunale federale è vincolata dagli accertamenti di fatto dell'autorità cantonale (art. 277bis cpv. 1 seconda frase PP). Il ricorrente non deve criticare accertamenti di fatto né proporre eccezioni, impugnazioni e mezzi di prova nuovi (art. 273 cpv. 1 lett. b seconda frase PP). 
 
1.2 Contestata è solo la questione della perseguibilità formale dei reati contro l'integrità sessuale oggetto dell'atto d'accusa. Secondo la CRP essi sono perseguibili solamente a querela di parte, ritenuto come al momento dei fatti fra A.A.________ e sua moglie vi era comunione di vita ai sensi degli art. 189 cpv. 2 e 190 cpv. 2 vCP. A mente del ricorrente, invece, gli accertamenti ritenuti nella sentenza impugnata non permettono di concludere che vi fosse fra i coniugi comunione di vita ai sensi delle menzionate norme di legge, per cui tali reati sono perseguibili d'ufficio. A sostegno di questa tesi il Procuratore Pubblico fa abbondante uso dei verbali d'interrogatorio sia dell'opponente che della parte civile, dei quali vengono trascritti ampi stralci. Sennonché in ambito di ricorso per cassazione il Tribunale federale può basarsi soltanto sui fatti accertati dall'ultima istanza cantonale, per cui questi verbali possono venire qui esaminati solo nella misura in cui vengono effettivamente ritenuti a fondamento della sentenza impugnata. Per il rimanente il loro richiamo risulta inammissibile. 
 
2. 
2.1 L'atto di accusa si riferisce a fatti risalenti ad un periodo precedente all'entrata in vigore dell'attuale versione degli art. 189 e 190 CP, i quali a partire dal primo aprile 2004 entrano in linea di conto d'ufficio anche nel caso di reati commessi fra coniugi conviventi. L'art. 189 cpv. 2 e l'art. 190 cpv. 2 vCP prevedevano invece che se l'autore era il coniuge della vittima e viveva in comunione di vita con lei, la coazione sessuale rispettivamente la violenza carnale erano punibili solo a querela di parte. Sull'applicabilità del previgente diritto non vi è alcuna discussione fra le parti. 
 
2.2 Che A.A.________ e B.A.________ fossero sposati al momento dei fatti è pacifico, per cui l'unico elemento della fattispecie che esige chiarimento è quello relativo all'esistenza o meno di comunione di vita fra i coniugi. 
 
A questo proposito i giudici dell'ultima istanza cantonale hanno insindacabilmente accertato quanto segue: 
 
- Per quanto riguarda l'abitazione, al momento dei fatti e dall'inizio di aprile 2003, i coniugi vivevano a Claro in una casa con due appartamenti: la moglie con i figli al piano superiore, il marito al piano inferiore. Con il proprietario dell'immobile erano stati conclusi due diversi contratti di locazione, uno a nome della moglie, uno a nome del marito. La pigione veniva pagata per entrambi gli appartamenti dal marito. In precedenza, allorché aveva deciso di vivere separata dal marito, la moglie aveva trovato un appartamento a Biasca, al quale aveva poi rinunciato, dopo che il marito le aveva proposto l'abitazione con due appartamenti sotto il medesimo tetto a Claro. La moglie aveva optato per questa soluzione come possibilità per aiutarsi ancora a vicenda. Ogni coniuge aveva la chiave del proprio appartamento, inoltre la moglie possedeva anche quella del marito. In certi momenti la moglie si chiudeva a chiave nel proprio appartamento. 
- I pasti venivano frequentemente consumati in comune. 
- Per quanto riguarda il riposo notturno, ogni coniuge dormiva separatamente nel proprio appartamento. Su eventuali rapporti intimi esistono versioni contrapposte: secondo il marito, dall'inizio di aprile 2003, ne avrebbero ancora avuti una decina, secondo la moglie invece uno solo, tre settimane prima dei fatti. 
- Al momento dei fatti non erano state iniziate pratiche legali in vista di separazione o divorzio. 
- Nel lasso di tempo che intercorre tra il 26 marzo 2003 ed il 2 giugno 2003, la moglie ha inviato al marito una serie di messaggi SMS che permettono di ricostruire, partendo dall'ottica della moglie, quali erano i rapporti tra i coniugi nel periodo immediatamente precedente ai fatti. 
 
Alla luce di quest'insieme di circostanze, i giudici cantonali hanno dapprima preso atto che la situazione tra i coniugi "è tutto tranne che inequivocabile", caratterizzata come è da sentimenti e comportamenti contrastanti (decisione impugnata pag. 6). Decisivi sono stati dunque considerati i messaggi SMS della moglie, da cui, a mente dei giudici cantonali, emerge in maniera chiara come tra i coniugi ci fossero ancora, malgrado tutto, rapporti di reciproco aiuto, di reciproca convivenza, di reciproca tenerezza (decisione impugnata pag. 7). In base a tali accertamenti essi hanno dunque ritenuto che gli estremi della comunione di vita ai sensi degli art. 189 cpv. 2 e 190 cpv. 2 vCP fossero dati. 
 
2.3 Le considerazioni dei giudici cantonali sono convincenti e conformi al diritto federale. 
 
2.3.1 B.A.________ ha dapprima sporto querela penale contro il marito dando avvio ad un procedimento per reati contro l'integrità sessuale, correttamente aperto dal Procuratore Pubblico, il quale ha tra l'altro ordinato l'arresto dell'imputato, rimasto in carcere preventivo dal giorno dei fatti fino al 27 giugno 2003. Il 18 novembre 2003 la moglie ha però ritirato la sua querela. In questa situazione la CRP si è giustamente domandata se, a fronte di tale ritiro, vada o meno annullato l'atto di accusa susseguentemente formalizzato, visto che l'esistenza o meno dei requisiti di legge per un perseguimento d'ufficio era decisamente dubbia. Per rispondere a tale quesito i giudici cantonali hanno rettamente concentrato la loro attenzione sul concetto di comunione di vita (Lebensgemeinschaft; ménage commun) esplicitamente contenuto nelle fattispecie in esame. 
 
2.3.2 Il concetto in questione viene interpretato da una parte della dottrina richiamando la definizione di membri della comunione domestica (Familiengenossen; familiers) contenuta all'art. 110 n. 3 CP, nonché la relativa giurisprudenza (Jörg Rehberg/Niklaus Schmid/Andreas Donatsch, Strafrecht III, 8a ed., Zurigo 2003, pag. 429; Philipp Maier, Die Nötigungsdelikte im neuen Sexualstrafrecht, tesi di laurea, Zurigo 1994, pag. 356 e seg.; Guido Jenny, Kommentar zum schweizerischen Strafrecht, vol. 4: Delikte gegen die sexuelle Integrität und gegen die Familie, n. 11 ad art. 190 CP; Jörg Rehberg, Das revidierte Sexualstrafrecht, in AJP 1993 pag. 22). Secondo questa disposizione di legge appartengono alla comunione domestica le persone conviventi nella medesima economia domestica (Personen, die in gemeinsamem Haushalte leben; ceux qui font ménage commun). Una consolidata giurisprudenza, risalente già ai primi anni di entrata in vigore del Codice penale svizzero, ha meglio concretizzato questo concetto definendo membri della comunione domestica quelle persone che non soltanto mangiano insieme, ma dormono anche sotto il medesimo tetto (DTF 72 IV 4; 86 IV 158; 102 IV 162 consid. 2a). Orbene, se da un lato è indubbio che il termine comunione di vita qui in esame presenta delle affinità con il termine comunione domestica ai sensi dell'art. 110 n. 3 CP, dall'altro va preso atto che il legislatore ha comunque optato, perlomeno nella versione tedesca e italiana, per una terminologia diversa, il che significa che nel concretizzare questi due concetti il giudice non è tenuto ad una loro interpretazione pedissequamente omogenea ma può tenere conto dei loro differenti campi di applicazione. In particolare va sottolineato come il concetto espresso all'art. 110 n. 3 CP viene utilizzato nell'ambito di determinati reati contro il patrimonio (art. 137 n. 2; 138 n. 1; 139 n. 4; 143 cpv. 2; 146 cpv. 3; 147 cpv. 3; 158 n. 3 CP) e del reato di soppressione di documenti (art. 254 cpv. 2 CP), nonché, dal primo aprile 2004, per meglio caratterizzare la condizione di concubinato contemplata nelle fattispecie di lesioni semplici (art. 123 n. 2 CP), vie di fatto reiterate (art. 126 cpv. 2 CP) e minacce (art. 180 CP), mentre il termine di comunione di vita ai sensi degli art. 189 e 190 vCP riguarda reati di altro genere, di cui vanno prese in considerazione le caratteristiche specifiche. 
 
2.3.3 Anzitutto va premesso come la formulazione degli art. 189 cpv. 2 e 190 cpv. 2 vCP sia il frutto di accesi e lunghi dibattiti parlamentari, che hanno visto scontrarsi visioni diametralmente opposte in merito alle facoltà d'ingerenza del diritto penale nei rapporti coniugali. Lo stesso Consiglio federale ha modificato in maniera sostanziale la propria posizione, rispetto a quanto inizialmente sostenuto nel Messaggio concernente la modificazione del Codice penale e del Codice penale militare (reati contro la vita e l'integrità della persona, il buon costume e la famiglia) del 26 giugno 1985 (FF 1985 II 964 e seg.), riconoscendo come in questo ambito vi sia stata una generale evoluzione della sensibilità civile, di cui il legislatore non può non tenere conto. Il tema è a tal punto scottante e pubblicamente dibattuto che su proposta della Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale, si è presto giunti ad un'ulteriore riforma, entrata in vigore il primo aprile di quest'anno (cfr. FF 2003 pag. 1732 e segg.; RU 2004 pag. 1403 e segg.), la quale comunque, come è già stato premesso in via preliminare (v. supra consid. 2.1), non è qui applicabile (art. 339 n. 3 CP; v. pure Christof Riedo, Delikte im sozialen Nahraum, in RPS 2004, pag. 278). 
 
2.3.4 Sul termine di vita comune il legislatore non si è chinato in maniera particolarmente approfondita. Taluni accenni sono comunque rintracciabili nei dibattiti parlamentari, come evidenziato da una parte della dottrina (Peter Hangartner, Selbstbestimmung im Sexualbereich, tesi di laurea, San Gallo 1998, pag. 160; Stefan Trechsel, Kurzkommentar, 2a ed., Zurigo 1997, n. 15 ad art. 189 CP). Dibattuta è stata in particolare la questione dell'abitazione separata per ragioni professionali. A questo proposito nella relazione di maggioranza della Commissione del Consiglio degli Stati è stato sottolineato come la fattispecie privilegiata degli art. 189 cpv. 2 e 190 cpv. 2 vCP debba applicarsi anche nel caso di coniugi che abitano in luoghi diversi per ragioni di lavoro, ma non nel caso di separazione giudiziaria o de facto (Boll. Uff. CS 1991, pag. 84). L'accento va dunque posto non tanto sulle manifestazioni puramente esteriori della vita di coppia, quanto sugli elementi interiori del rapporto coniugale, tenuto conto anche del fatto che dall'entrata in vigore del nuovo diritto matrimoniale, con la relativa abolizione del vecchio art. 25 CC, ognuno dei coniugi è autorizzato ad avere un domicilio indipendente (DTF 121 I 14 consid. 5b; 115 II 120 consid. 4a). Decisiva è di conseguenza, più ancora della comunità di tetto e di tavola, la compresenza di un insieme di condizioni psicologiche, sentimentali, economiche, fisiche sulla base delle quali è possibile concludere che il rapporto coniugale, al momento della commissione del reato, non rappresentava un mero involucro svuotato di contenuto, bensì un dato di fatto concreto e reale, coerentemente retto da affectio coniugalis. 
 
Si tratta di un insieme di condizioni che la CRP ha esaustivamente valutato e ponderato, giungendo alla corretta conclusione che, nonostante l'indubbia turbolenza dei rapporti fra i coniugi, sono pur sempre preponderanti gli aspetti partecipativi, segnatamente la prossimità abitativa, il reciproco aiuto, la frequenza dei pasti comuni, la persistenza di sentimenti di cordialità, affetto, tenerezza, nonché, almeno in un'occasione poco prima dei fatti, di intimità. Sono tutti fattori che denotano la presenza di una relazione coniugale ancora vitale. 
 
La questione più delicata è certamente quella della comunione abitativa, vista l'esistenza di due appartamenti separati. Tale circostanza è tuttavia da inserire nel complesso dell'intera relazione e, da sola, è comunque insufficiente perché l'applicabilità degli art. 189 cpv. 2 e 190 cpv. 2 vCP possa venire negata, anche tenuto conto del fatto che la moglie aveva la chiave dell'appartamento del coniuge ed aveva espressamente rinunciato a prendere un appartamento in un altro comune, decisione che avrebbe comportato una più netta distanza abitativa. La moglie ha preferito la soluzione prospettata dal marito, anche al pensiero dei figli comuni e della possibilità di continuare ad aiutarsi vicendevolmente, non da ultimo potendo contare sul pagamento di entrambe le pigioni da parte del coniuge. 
 
A queste condizioni non si può concludere che i coniugi conducessero vite separate, né di fatto né tantomeno di diritto visto che i giudici cantonali hanno insindacabilmente accertato che non sono state avviate pratiche di separazione, né prima né dopo i fatti. Complessivamente dunque, pur trattandosi di un caso limite, il requisito della comunione di vita è da considerarsi perfezionato per cui gli art. 189 cpv. 2 e 190 cpv. 2 vCP sono applicabili. 
 
2.4 Da tutto ciò discende che il ricorso va respinto e la decisione dell'ultima istanza cantonale va confermata. 
 
2.5 Sono altresì condivisibili le osservazioni conclusive dei giudici cantonali in merito alla gravità dei fatti per cui è stata avviata la procedura penale in esame. Essi non vengono penalmente perseguiti unicamente per volontà della vittima. In base alla normativa in vigore al momento dei fatti, tale inequivocabile volontà, ribadita anche nella lettera del 3 giugno 2004 richiamata a pag. 7 della decisione impugnata, va rispettata. Ciò risponde alla concezione di politica criminologica che era ancora sottesa agli art. 189 cpv. 2 e 190 cpv. 2 vCP (DTF 126 IV 121 consid. 1d pag. 124). 
 
Il Tribunale federale non può però mancare di ribadire, anche a titolo di monito preventivo a destinazione dell'opponente, come tale concezione sia oggi superata. Il legislatore ha infatti esplicitamente deciso di non più considerare la violenza domestica come una semplice faccenda privata, per cui le autorità competenti hanno ora l'obbligo di avviare un procedimento non appena vengono a conoscenza di reati quali le lesioni semplici, le vie di fatto reiterate, le minacce, la coazione sessuale o la violenza carnale, anche se commessi tra coniugi (FF 2003 pag. 1743 e 1763). 
 
3. 
3.1 In base all'art. 278 cpv. 2 PP l'accusatore pubblico soccombente è dispensato dal pagamento delle spese. 
 
3.2 Né all'opponente né alla parte civile sono state chieste osservazioni al ricorso. Non si assegnano quindi indennità per ripetibili. 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
2. 
Non si riscuotono spese. 
3. 
Comunicazione alle parti e alla Camera dei ricorsi penali del Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
Losanna, 7 ottobre 2004 
In nome della Corte di cassazione penale 
del Tribunale federale svizzero 
Il presidente: Il cancelliere: