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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
                 
 
 
2C_205/2017  
 
 
Sentenza del 12 giugno 2018  
 
II Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Seiler, Presidente, 
Zünd, De Rossa Gisimundo, Giudice supplente, 
Cancelliera Ieronimo Perroud. 
 
Partecipanti al procedimento 
D.________, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, Sezione della popolazione, 6500 Bellinzona, 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Permesso di dimora UE/AELS, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 9 gennaio 2017 dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (52.2015.565). 
 
 
Fatti:  
 
A.   
Il 14 ottobre 2013, D.________ (1949), cittadina italiana già titolare in passato di un permesso di domicilio in Svizzera, è rientrata nel nostro Paese chiedendo il rilascio di un permesso di dimora UE/AELS senza attività lucrativa. A tal fine, ha indicato di disporre dei mezzi finanziari sufficienti per il proprio sostentamento in quanto a beneficio di una rendita AVS di fr. 1'170.-- e di una pensione italiana di 772.59 euro mensili. A seguito della produzione di una ulteriore "garanzia finanziaria e di sostentamento" sottoscritta dal figlio E.A.________ (1979), residente a Z.________, e dopo aver preso atto che il permesso avrebbe potuto essere revocato qualora ella non avesse più potuto dimostrare di disporre di mezzi finanziari sufficienti o avesse chiesto prestazioni alla pubblica assistenza o prestazioni complementari, il 9 aprile 2014 le è stato rilasciato un permesso di dimora UE/AELS senza attività lucrativa, valido fino al 13 ottobre 2015. 
 
B.   
Verso la fine del 2014, D.________ ha chiesto di essere messa al beneficio delle prestazioni complementari all'AVS, ciò che in effetti è avvenuto a partire dal mese di febbraio 2015. Dopo averne preso atto, la Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni, con uno scritto del 10 marzo 2015 che tuttavia è ritornato al mittente perché nel frattempo l'interessata aveva cambiato indirizzo, le ha comunicato che intendeva rivalutare la continuazione del suo soggiorno in Svizzera, dandole la possibilità di esprimersi al riguardo. Il 7 maggio 2015, ritenendo che non disponeva di mezzi finanziari per il suo mantenimento, a tal punto che aveva dovuto richiedere le prestazioni complementari all'AVS, le ha poi revocato il permesso di dimora UE/AELS e le ha fissato un termine al 6 luglio successivo per lasciare il territorio. La decisione è stata resa sulla base dell'art. 6 dell'Accordo concluso il 21 giugno 1999 tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (di seguito Accordo sulla libera circolazione o ALC; RS 0.142.112.681) e degli art. 2, 6 e 24 dell'Allegato I ALC, come pure degli art. 16 e 23 dell'ordinanza sull'introduzione della libera circolazione delle persone del 22 maggio 2002 (OLCP; RS 142.203). 
Il provvedimento della Sezione della popolazione è poi stato confermato su ricorso, dapprima dal Consiglio di Stato, con decisione del 4 novembre 2015, quindi dal Tribunale cantonale amministrativo, che si è espresso in merito con sentenza del 9 gennaio 2017. 
 
C.   
Quest'ultimo giudizio è stato impugnato davanti al Tribunale federale con un ricorso in materia di diritto pubblico datato 15 febbraio 2017. Con tale atto, D.________ chiede che, previo conferimento al ricorso dell'effetto sospensivo, la sentenza del Tribunale cantonale amministrativo sia annullata e integralmente riformata nel senso che la revoca del permesso di dimora sia annullata, che le sia nuovamente concesso il permesso di domicilio di cui beneficiava in passato, avendo lavorato e vissuto a W.________ per 25 anni, o comunque il "diritto di rimanere nel territorio svizzero". La ricorrente ribadisce altresì le proprie richieste di risarcimento di un non quantificato danno morale e patrimoniale cagionatole dal Consiglio di Stato per aver violato il suo diritto di essere sentita, per non averle concesso il beneficio dell'assistenza giudiziaria e del gratuito patrocinio e per aver pronunciato una revoca illegittima e discriminatoria del suo permesso di soggiorno. Domanda infine di essere posta al beneficio dell'assistenza giudiziaria. 
Con decreto presidenziale del 22 febbraio 2017 al gravame è stato concesso l'effetto sospensivo. 
Chiamati ad esprimersi, il Tribunale cantonale amministrativo si è riconfermato nelle motivazioni e nelle conclusioni della propria sentenza, alla quale rinvia anche la Segreteria di Stato della migrazione SEM nelle sue osservazioni del 15 maggio 2017, con cui propone che il gravame sia respinto. Dal canto suo la Sezione della popolazione postula la reiezione del ricorso, mentre il Consiglio di Stato si è rimesso al giudizio di questa Corte. Con replica del 7 giugno 2017 la ricorrente ha ribadito le tesi del suo ricorso. 
 
 
Diritto:  
 
1.   
Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione la sua competenza (art. 29 cpv. 1 LTF), rispettivamente l'ammissibilità dei gravami che gli vengono sottoposti (DTF 143 IV 85 consid. 1.1 pag. 87 e rinvii). 
 
1.1. Giusta l'art. 83 lett. c n. 2 LTF, il ricorso in materia di diritto pubblico è inammissibile contro le decisioni in materia di diritto degli stranieri concernenti permessi o autorizzazioni al cui ottenimento né il diritto federale, né il diritto internazionale conferiscono un diritto (DTF 139 I 330 consid. 1.1 pag. 332). Tuttavia, quando, come nella fattispecie, il ricorso è interposto da un cittadino che può in via di principio appellarsi all'Accordo sulla libera circolazione per far valere un diritto a soggiornare in Svizzera, il Tribunale federale entra in materia nonostante la clausola menzionata, trattando la questione dell'effettivo diritto quale aspetto di merito (DTF 136 II 177 consid. 1.1 pag. 179; sentenza 2C_222/2017 del 29 novembre 2017 consid. 1 non pubblicato in DTF 144 II 1).  
 
1.2. Presentata in tempo utile (art. 46 cpv. 1 lett. a e 100 cpv. 1 LTF) dalla destinataria della decisione querelata (art. 89 cpv. 1 LTF), l'impugnativa è quindi nella fattispecie ammissibile quale ricorso in materia di diritto pubblico ai sensi degli art. 82 segg. LTF.  
 
2.   
 
2.1. Con ricorso in materia di diritto pubblico può venir censurata sia la violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF) che di quello internazionale (art. 95 lett. b LTF). In via generale, confrontato con una motivazione conforme all'art. 42 LTF, il Tribunale federale applica il diritto d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF); esso non è vincolato né agli argomenti fatti valere nel ricorso né ai considerandi sviluppati dall'istanza precedente e può accogliere o respingere un ricorso anche per motivi diversi da quelli da essa invocati o su cui essa si è fondata (DTF 133 II 249 consid. 1.4.1 pag. 254). Esigenze più severe valgono tuttavia in relazione alla denuncia della violazione di diritti fondamentali. Il Tribunale federale esamina infatti simili censure solo se l'insorgente le ha sollevate in modo preciso (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246).  
Per quanto attiene invece al diritto cantonale, una sua violazione non può di regola essere censurata, eccezione fatta per i casi citati dall'art. 95 LTF. È però sempre possibile fare valere che l'errata applicazione del diritto cantonale da parte dell'autorità precedente comporti una violazione del diritto federale, segnatamente del divieto d'arbitrio (art. 9 Cost.; DTF 138 I 232 consid. 2.4 pag. 236 seg. e riferimenti), ma in tal caso occorre allora che la motivazione del ricorso rispetti le esigenze di motivazione particolarmente rigorose applicabili alla denuncia di violazioni dei diritti fondamentali. 
 
2.2. Va precisato inoltre che gli atti scritti devono essere redatti in una lingua ufficiale, contenere la conclusione, i motivi e l'indicazione dei mezzi di prova ed essere firmati; nei motivi occorre spiegare in modo conciso perché l'atto impugnato viola il diritto (art. 42 cpv. 1 e 2 LTF). Gli atti illeggibili, sconvenienti, incomprensibili, prolissi o non redatti in una lingua ufficiale possono essere rinviati al loro autore affinché li modifichi (art. 42 cpv. 6 LTF), impartendo a quest'ultimo un termine per porvi rimedio, con l'avvertenza che qualora ciò non accadesse, l'atto non sarà preso in considerazione (vedasi DTF 138 I 367 consid. 1.1 pag. 370). Si tratta di una facoltà di cui dispone il Tribunale federale, che può decidere secondo il proprio apprezzamento (anche in funzione del fatto che la motivazione emani o meno da un avvocato; cfr. DTF 134 II 244 consid. 2.4 pag. 247 seg.), ritenuto che il ricorrente non ha un diritto all'ottenimento di un termine supplementare (sentenze 2C_715/2011 del 2 maggio 2012 consid. 1.4 e 4A_659/2011 del 7 dicembre 2011 consid. 5) e che una motivazione che non adempie ai suddetti requisiti può anche essere dichiarata immediatamente irricevibile (sentenza 1C_681/2013 del 27 agosto 2013 consid. 2) rispettivamente può sfuggire ad un esame di merito.  
In concreto, la memoria della ricorrente consta di ben 50 fitte pagine, composte da lunghi paragrafi organizzati in una progressione di cui solo raramente è possibile individuare una logica, ad esempio in funzione della struttura della sentenza impugnata o di un altro criterio oggettivo. In quel documento, le censure con le quali la ricorrente si confronta specificatamente con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata si perdono tra intere paginate di considerazioni di carattere generale, intercalate da aforismi e massime giuridiche preconfezionate, stralci di dottrina e di giurisprudenza non pertinenti, sia di questo Tribunale sia della Corte di giustizia dell'Unione europea o della Corte europea dei diritti dell'uomo, nelle quali si stenta in gran parte a trovare una compiuta motivazione giuridica che soddisfi i requisiti di motivazione imposti dagli art. 42 cpv. 2 e (ove necessario) 106 cpv. 2 LTF. Va inoltre rammentato che non basta invocare un'interminabile serie di norme nazionali e convenzionali senza spiegare nella dovuta forma in che modo esse sarebbero in concreto state violate dall'autorità cantonale. L'esame del gravame si limiterà di conseguenza agli aspetti contestati che soddisfano a malapena le esigenze di motivazione; le altre argomentazioni sfuggono per contro ad un esame di merito. 
 
2.3. Per quanto riguarda i fatti, il Tribunale federale fonda il proprio ragionamento giuridico sull'accertamento svolto dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Esso può scostarsene se è stato eseguito violando il diritto ai sensi dell'art. 95 LTF o in modo manifestamente inesatto e quindi arbitrario (art. 105 cpv. 2 LTF; DTF 136 III 552 consid. 4.2 pag. 560; sentenza 2C_959/2010 del 24 maggio 2011 consid. 2.2). A meno che non ne dia motivo la decisione impugnata, il Tribunale federale non tiene neppure conto di fatti o mezzi di prova nuovi, i quali non possono in ogni caso essere posteriori al giudizio impugnato (art. 99 cpv. 1 LTF; sentenza 2C_563/2017 del 7 novembre 2017 consid. 2.2 e riferimento).  
 
3.   
Prima di entrare nel merito della questione giuridica principale sollevata dalla causa in esame, è opportuno evadere le censure invocate in relazione a garanzie di natura formale, dato che la loro violazione comporta in principio l'annullamento della decisione impugnata, indipendentemente dall'eventuale fondatezza delle critiche sollevate e dalle prospettive di successo del ricorso nel merito (DTF 141 V 495 consid. 2.2 pag. 500; 139 I 189 consid. 3 pag. 191; 137 I 195 consid. 2.2 pag. 197; 135 I 187 consid. 2.2 pag. 190). 
 
3.1. La ricorrente si duole innanzitutto di una violazione del suo diritto di essere sentita sotto molteplici aspetti e da parte di tutte le precedenti istanze; lamenta in sostanza che la decisione impugnata a torto avrebbe legittimato tali comportamenti.  
 
3.1.1. Il Tribunale cantonale amministrativo ha analizzato la violazione del diritto di essere sentito da più punti di vista. Ha dapprima affrontato la questione di un'eventuale carenza di motivazione della decisione dipartimentale ed ha concluso che l'Esecutivo cantonale aveva rispettato i requisiti minimi in materia, ritenuto anche che la ricorrente era stata in grado di impugnare la decisione in maniera compiuta, mostrando di aver ben compreso i motivi posti a suo fondamento. In seguito, ha esaminato l'aspetto della facoltà dell'interessata di esprimersi sui punti essenziali del provvedimento prima di adottare la decisione di revoca del suo permesso: in questo contesto, ha criticato il fatto che il Consiglio di Stato, pur avendo rilevato che il Dipartimento aveva violato il diritto dell'interessata di essere sentita, non si era chinato sulla sua richiesta di essere messa al beneficio dell'assistenza giudiziaria; il modo di procedere dell'Esecutivo cantonale era comunque stato avallato dai giudici cantonali, poiché esonerando l'interessata dal pagamento delle spese giudiziarie in quella sede, il Consiglio di Stato aveva in sostanza accolto la sua istanza di assistenza giudiziaria tenendo cosi conto della violazione dei suoi diritti processuali.  
La ricorrente, davanti a questa Corte, non mette più in discussione la questione legata all'assistenza giudiziaria, che può quindi ritenersi evasa, bensì critica comunque il fatto che la Sezione della popolazione non l'abbia posta nelle condizioni di potersi esprimere sul provvedimento concernente la revoca del permesso: la raccomandata con la quale le veniva prospettata la misura a seguito del versamento delle prestazioni complementari all'AVS e le veniva data la possibilità di fornire ulteriore documentazione era infatti ritornata al mittente, causa irreperibilità della destinataria. La ricorrente rileva che il vizio non ha nemmeno potuto essere sanato nell'ambito della procedura di ricorso, contrariamente a quanto affermato dalle istanze precedenti, poiché il Tribunale cantonale amministrativo sembrerebbe essersi imposto un certo riserbo nell'esame della decisione in merito alla revoca del suo permesso. 
 
3.1.2. Il contenuto del diritto di essere sentito è determinato in primo luogo dalle disposizioni cantonali di procedura, sindacabili da parte del Tribunale federale solamente sotto il ristretto profilo dell'arbitrio; in ogni caso l'autorità cantonale deve tuttavia osservare le garanzie minime dedotte direttamente dall'art. 29 cpv. 2 Cost., il cui rispetto è verificato dal Tribunale federale con pieno potere d'esame (DTF 135 I 279 consid. 2.2 pag. 281 e rinvio). Nell'evenienza concreta, la ricorrente non invoca la violazione di una disposizione cantonale relativa al diritto di essere sentito, per cui la censura va esclusivamente esaminata alla luce dell'art. 29 cpv. 2 Cost.  
Il diritto di essere sentiti ancorato nell'art. 29 cpv. 2 Cost. assicura al cittadino tutte quelle facoltà che devono essergli riconosciute affinché egli possa efficacemente far valere la sua posizione nella procedura, tra cui la facoltà di esprimersi prima che sia presa una decisione che lo tocca nella sua situazione giuridica, il diritto ad una motivazione sufficiente, quello di fornire prove sui fatti rilevanti per il giudizio, e quello di prendere conoscenza degli atti di causa (DTF 142 III 48 consid. 4.1.1 pag. 52 seg.; 142 II 218 consid. 2.3 pag. 222; 141 V 557 consid. 3.1 pag. 564; 135 I 279 consid. 2.3 pag. 282; sentenze 2C_782/2015 del 19 gennaio 2016 consid. 3.1 e 2C_1056/2014 del 1° ottobre 2015 consid. 3.2). 
 
3.1.3. Nel concreto caso, occorre constatare che la procedura di revoca del permesso di soggiorno della ricorrente ha sofferto, sin dall'inizio, di una grave violazione del diritto di essere sentito poiché la Sezione della popolazione, pur sapendo che l'interessata non aveva ricevuto lo scritto che le dava la possibilità di esprimersi prima della decisione di revoca e pur essendo nel frattempo venuta a conoscenza del nuovo indirizzo, non le ha concesso un nuovo termine per esprimersi. Ciò non deve tuttavia condurre all'annullamento immediato della procedura, poiché nella fattispecie le condizioni per una sanatoria del vizio procedurale sono realizzate. Occorre in effetti rilevare che nel corso di tutta la procedura la ricorrente ha avuto - ed effettivamente utilizzato, in ricorsi ed altri atti prolissi, davanti ad ognuna delle istanze - a più riprese la possibilità di esprimersi in maniera diffusa su tutti gli aspetti del provvedimento, in particolare sui motivi specifici che hanno condotto alla revoca del permesso. Va evidenziato che, come ha esso stesso constatato, il Consiglio di Stato disponeva di un pieno potere d'esame che gli ha permesso di esaminare liberamente le questioni di fatto e di diritto della causa sottopostagli (vedasi decisione del Governo ticinese del 4 novembre 2015 consid. 2 e 3b), ma né in quella sede, né davanti alle successive istanze, la ricorrente ha apportato alcun ulteriore argomento o mezzo di prova rilevante in relazione alla possibilità di provvedere al proprio sostentamento anche senza le prestazioni complementari all'AVS; al contrario ha costantemente ribadito di continuare a necessitarne. In altri termini, nelle innumerevoli pagine di memorie della ricorrente che oggi sono agli atti, le assunzioni di fatto poste alla base della decisione impugnata (da un lato la circostanza che ella abbia dichiarato di disporre di mezzi finanziari sufficienti per provvedere al proprio sostentamento e abbia preso atto che qualora avesse sollecitato un contributo a titolo di prestazioni complementari all'AVS, il suo permesso di soggiorno avrebbe potuto essere revocato, e, dall'altro lato, il fatto che abbia in seguito chiesto e ottenuto tali prestazioni complementari, generando la decisione di revoca) sono rimaste sempre incontestate (art. 105 cpv. 2 LTF) e devono quindi costituire il fondamento della presente decisione (art. 105 cpv. 1 LTF). Litigiosa resta quindi in questo contesto unicamente l'applicazione dell'Accordo sulla libera circolazione a tali fatti, ovvero se la riscossione di prestazioni complementari all'AVS costituisca o meno una prestazione di assistenza sociale ai sensi dell'art. 24 cpv. 1 Allegato I ALC, questione che peraltro il Tribunale federale esamina liberamente.  
 
3.1.4. In queste circostanze, non vi è ragione di concludere che una ripetizione di tutto il procedimento di prima istanza ed il conferimento alla ricorrente della facoltà di esprimersi siano suscettibili di apportare alla causa nuovi elementi passibili di modificarne l'esito. A titolo del tutto eccezionale, e conformemente al principio di economia processuale, si giustifica pertanto di considerare sanata la violazione del diritto di essere sentita della ricorrente e di ovviare ad un rinvio alla precedente istanza per una nuova trattazione della causa, rinvio che si rivelerebbe meramente formalista e privo di ogni utilità pratica. Su questo punto, quindi, il ricorso va respinto.  
 
3.2. Secondariamente, va trattata la censura relativa all'asserito conflitto di interessi in cui si sarebbe trovato l'on. Norman Gobbi al momento di validare una decisione in materia di rilascio di permessi di soggiorno a cittadini stranieri, nella sua veste di Presidente del Consiglio di Stato e responsabile del Dipartimento delle istituzioni e nel contempo membro di un partito che promuove una politica restrittiva in materia di immigrazione. La ricorrente contesta le valutazioni giuridiche a cui sono pervenuti i giudici cantonali in relazione all'apparenza di prevenzione del Consigliere di Stato. Sennonché questa Corte non può entrare nel merito delle sue argomentazioni che non soddisfano i necessari requisiti di motivazione (art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF), essendo le stesse prolisse, sovente di carattere meramente appellatorio e non confrontandosi comunque in maniera puntuale e oggettiva con la diffusa trattazione della questione nella sentenza impugnata. Va pur detto che la censura sarebbe in ogni caso votata all'insuccesso, ritenuto che la conclusione cui sono pervenuti i giudici cantonali appare solida e in sintonia con la consolidata giurisprudenza in materia (DTF 125 I 119 consid. 3d pag. 123; 107 Ia 135 consid. 2b pag. 137; sentenza 1C_278/2010 del 31 gennaio 2011 consid. 2.2; per la giurisprudenza cantonale ticinese in materia di ricusa di un Consigliere di Stato, si veda sentenza del Tribunale amministrativo del Cantone Ticino del 25 maggio 2007, in: RtiD II-2008 n. 15. Infine, per la dottrina, BENJAMIN SCHINDLER, Die Befangenheit der Verwaltung, 2002, pag. 98 segg. e 171 segg.). Anche in proposito la sentenza impugnata merita conferma.  
 
4.   
La ricorrente contesta poi il fatto che l'istanza inferiore abbia dichiarato inammissibile il ricorso per quanto attiene alla richiesta di risarcimento danni morali e patrimoniali nei confronti del Consiglio di Stato già solo perché, in virtù della legge ticinese sulla responsabilità civile degli enti pubblici e degli agenti pubblici del 24 ottobre 1988 (LRes; RL /TI 2.6.1.1), il Tribunale cantonale amministrativo non sarebbe stato competente per decidere su tale genere di domande. La ricorrente sostiene essenzialmente di aver formulato in maniera sufficientemente concreta la sua richiesta risarcitoria; fa in particolare riferimento al fatto che l'assenza di una pronuncia sulla sua domanda di assistenza giudiziaria sarebbe stata accertata dai giudici cantonali e rinvia per il resto all'argomentazione del ricorso precedente, senza invero confrontarsi in maniera chiara e diretta con le argomentazioni esposte nella decisione impugnata. In queste circostanze, la censura, che non sostanzia alcuna violazione del diritto ma si limita ad esporre in modo appellatorio una diversa opinione della ricorrente, manifestamente non rispetta i requisiti posti dall'art. 106 cpv. 2 LTF e non deve pertanto essere esaminata. 
 
5.   
Contestata è altresì la conclusione del Tribunale cantonale amministrativo secondo cui la domanda di ripristino del permesso di domicilio di cui la ricorrente era stata titolare prima di trasferirsi in Italia è inammissibile poiché costituisce una nuova domanda (art. 70 cpv. 2 della legge sulla procedura amministrativa del 24 settembre 2013[LPAmm; RL/TI 3.3.1.1]). Anche in questo frangente, tuttavia, la ricorrente non rimette in discussione il giudizio di inammissibilità in sé, ma si limita ad invocare, con un'argomentazione prolissa, ripetitiva e di difficile comprensione, tutta una serie di fattori di integrazione che a suo avviso giustificherebbero la concessione di un simile permesso. Nemmeno su questo punto, quindi, la sua argomentazione rispetta le esigenze di motivazione (art. 42 cpv. 2 LTF) e può essere sottoposta ad un esame di merito. 
 
6.   
Va ora esaminata la questione centrale della causa che, come già rilevato, consiste nel chiarire se la ricorrente adempisse le condizioni che le avrebbero per messo di continuare a soggiornare nel nostro Paese senza esercitare un'attività economica ossia se, conformemente a quanto sancito dai combinati art. 6 ALC, 24 cpv. 1 lett. a Allegato I ALC e 16 OLCP, disponesse di mezzi finanziari sufficienti per non dovere ricorrere all'assistenza sociale. 
 
6.1. La Corte cantonale ha constatato che, siccome dal 1° febbraio 2015 l'interessata percepiva le prestazioni complementari all'AVS, non era più possibile ritenere che ella disponesse di mezzi finanziari sufficienti poiché, per costante giurisprudenza, tali prestazioni dovevano essere considerate prestazioni sociali aventi fini assistenziali ai sensi dell'art. 24 cpv. 1 Allegato I ALC. Non essendo più possibile ritenere adempiuta una condizione per il rilascio del suo permesso, si giustificava la sua revoca. La ricorrente contesta questa interpretazione, invocando in un modo peraltro inutilmente prolisso e non strutturato, tutta una serie di disposizioni costituzionali, di leggi federali in materia di assicurazioni sociali o di diritto degli stranieri come pure gli impegni internazionali della Svizzera. Da tali normative, di cui non appare opportuno riportare in questa sede l'elenco completo, discenderebbe a suo dire, in estrema sintesi, un divieto delle discriminazioni fondato sulla nazionalità valido anche in riferimento all'accesso alle prestazioni complementari previste per i cittadini svizzeri, nonché un diritto all'aiuto in situazioni di bisogno comprendente (tra le prestazioni che devono essere garantite anche ai cittadini stranieri presenti irregolarmente nello Stato) anche le prestazioni complementari. Ora, nella misura in cui siano esposti in maniera adeguata (cfr.  supra consid. 2.2), gli argomenti della ricorrente non possono comunque, per le seguenti ragioni, essere condivisi.  
 
6.2. Ai sensi dei combinati art. 2 cpv. 2 e 24 cpv. 1 Allegato I ALC, il cittadino di una parte contraente che non esercita un'attività economica nello Stato in cui risiede e che non beneficia di un diritto di soggiorno in virtù di altre disposizioni dell'Accordo, riceve una carta di soggiorno la cui validità ha una durata di almeno cinque anni, purché dimostri alle autorità nazionali competenti di disporre per sé e per i membri della propria famiglia: a) di mezzi finanziari sufficienti per non dover ricorrere all'assistenza sociale durante il soggiorno; b) di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi. Conformemente all'art. 24 cpv. 2 Allegato I ALC sono considerati sufficienti i mezzi finanziari necessari superiori all'importo al di sotto del quale i cittadini nazionali, tenuto conto della loro situazione personale ed eventualmente di quella dei membri della loro famiglia, hanno diritto a prestazioni d'assistenza. Qualora tale condizione non possa essere applicata, i mezzi finanziari del richiedente vengono considerati sufficienti quando sono superiori al livello della pensione minima di previdenza sociale versata dallo Stato ospitante (art. 24 cpv. 2 seconda frase Allegato I ALC). L'art. 16 OLCP concretizza quanto previsto dall'art. 24 cpv. 1 e 2 Allegato I ALC. Il primo capoverso di questo disposto prevede che i mezzi finanziari sono considerati sufficienti se superiori alle prestazioni d'assistenza concesse conformemente alle direttive della Conferenza svizzera delle istituzioni dell'azione sociale (CSIAS). Per i redditieri, il secondo capoverso sancisce che ciò è il caso quando i mezzi finanziari superano l'importo che conferisce ad un richiedente svizzero il diritto di percepire le prestazioni complementari giusta la legge federale del 6 ottobre 2006 sulle prestazioni complementari all'assicurazione per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità (LPC; RS 831.30).  
 
6.3. Per consolidata prassi, le rendite e le altre prestazioni delle assicurazioni sociali sono tenute in considerazione per stabilire se vi sono mezzi finanziari sufficienti, mentre ciò non è il caso delle prestazioni complementari ai sensi della LPC. In effetti, secondo il Tribunale federale lo straniero che ne beneficia non fruisce di mezzi finanziari sufficienti ai sensi dell'art. 24 cpv. 2 Allegato I ALC. Come rammentato da questa Corte, la regolamentazione sui requisiti economici del soggiorno per le persone che non esercitano un'attività lucrativa nell'ambito dell'ALC ha lo scopo di evitare che le finanze pubbliche dello Stato ospitante vengano gravate in maniera eccessiva. Ora, ciò sarebbe il caso se le citate prestazioni, le quali sono comunque a carico delle finanze pubbliche, non venissero incluse nella nozione di assistenza sociale ai sensi dell'art. 24 cpv. 1 lett. a Allegato I ALC e della Direttiva 90/364/CEE del Consiglio del 28 giugno 1990 relativa al diritto di soggiorno (applicabile quando trattasi di un soggiorno senza attività lucrativa), se sono effettivamente percepite (DTF 135 II 265 consid. 3.7 pag. 272 seg.; sentenza 2C_989/2011 del 2 aprile 2012 consid. 3.3.3 e rinvii), ciò che corrisponde peraltro al testo dell'art. 16 cpv. 2 OLCP. Altrimenti detto, lo straniero che beneficia di prestazioni complementari vive in parte grazie all'assistenza sociale ai sensi dell'art. 24 cpv. 1 Allegato I ALC (sentenza 2C_989/2011 citata consid. 3.3.4 e richiami). Come precisato da questa Corte, e contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, detta interpretazione non contraddice la giurisprudenza costante secondo la quale le prestazioni complementari nel diritto interno del diritto degli stranieri non rientrano sotto il concetto di aiuto sociale (DTF 141 II 401 consid. 6.2.5 pag. 410; 135 II 265 consid. 3.7 pag. 272 seg.; sentenza 2C_495/2014 del 26 settembre 2014 consid. 4.4. Si veda altresì, per la dottrina, SILVIA GASTALDI, L'accès à l'aide sociale dans le cadre de l'ALCP, in: Libre circulation des personnes et accès aux prestations étatiques, 2015, pag. 121 segg., segnatamente pag. 126 segg.; ZÜND/HUGI YAR, Staatliche Leistungen und Aufenthaltsbeendigung unter dem FZA, in: Personenfreizügigkeit und Zugang zu staatlichen Leistungen, 2015, pag. 157 segg., in particolare pag. 203 segg.).  
 
6.4. Da quanto esposto consegue che, ai fini dell'applicazione dell'Accordo sulla libera circolazione, le prestazioni complementari all'AVS devono essere fatte ricadere sotto la nozione di assistenza sociale di cui all'art. 24 cpv. 1 lett. a Allegato I ALC. L'interessata, che le percepisce dal 1° febbraio 2015, non adempie pertanto le condizioni che le permetterebbero di continuare a soggiornare nel nostro Paese senza esercitare un'attività economica ai sensi del citato disposto convenzionale (cfr. anche art. 24 cpv. 8 Allegato I ALC a contrario). Su questo punto, la sentenza impugnata merita pertanto conferma e il ricorso va respinto.  
 
7.   
La ricorrente invoca inoltre un diritto a rimanere "vita natural durante", fondato sull'art. 4 cpv. 1 Allegato I ALC, che avrebbe "acquisito" in qualità di persona vedova, anziana e invalida il giorno in cui è entrata nel territorio svizzero, indipendentemente dalla dichiarazione che le è stata richiesta in merito alla disponibilità di mezzi finanziari, la quale peraltro sarebbe a suo dire illegittima. Sostiene infatti che tale diritto sussisterebbe indipendentemente dall'erogazione di un eventuale contributo dell'assistenza sociale e lo fonda in concreto sul fatto che ha vissuto per anni a W.________, ha maturato un diritto a una rendita AVS a fronte dei suoi 25 anni di attività lavorativa in Svizzera e che, infine, vive dal 14 ottobre 2013, ovvero ben oltre tre anni, in Ticino, anche con il figlio. 
 
7.1. La sentenza impugnata, dopo aver rammentato i principi applicabili in relazione al diritto di rimanere, ha affermato, in maniera invero un po' apodittica, che la ricorrente non potrebbe invocare tale diritto già per il fatto che ha ottenuto un permesso di dimora UE/AELS non come lavoratrice nel quadro dell'ALC, ma per soggiornare nel nostro Paese senza esercitarvi un'attività lucrativa. Ora, sebbene nel suo risultato tale conclusione meriti conferma, va comunque precisato quanto segue.  
 
7.2. Giusta l'art. 4 cpv. 1 Allegato I ALC, i cittadini di una parte contraente e i membri della loro famiglia hanno diritto di rimanere sul territorio di un'altra parte contraente dopo avere cessato la propria attività economica. L'art. 4 cpv. 2 Allegato I ALC precisa che, conformemente all'art. 16 ALC, si fa riferimento al regolamento (CEE) n. 1251/70 (GU L 142 del 1970, pag. 24) e alla direttiva 75/34/CEE (GU L 14 del 1975, pag. 10) "secondo il testo in vigore al momento della firma dell'Accordo". Il regolamento (CEE) n. 1251/70 prevede che ha diritto di rimanere a titolo permanente nel territorio di uno Stato membro il lavoratore che, al momento in cui cessa la propria attività, ha raggiunto l'età riconosciuta valida dalla legislazione di questo Stato agli effetti dei diritti alla pensione di vecchiaia ed ha ivi occupato un impiego almeno durante gli ultimi dodici mesi e risieduto ininterrottamente da più di tre anni (art. 2 par. 1 lett. a); il lavoratore che, essendo residente senza interruzione nel territorio di tale Stato da più di due anni, cessa di esercitarvi un'attività subordinata a seguito di inabilità permanente al lavoro (art. 2 par. 1 lett. b prima frase); il lavoratore che, dopo tre anni di occupazione e di residenza ininterrotte nel territorio di tale Stato, esercita un'attività subordinata nel territorio di un altro Stato membro, ma conserva la sua residenza nel territorio del primo Stato ove ritorna di norma ogni giorno o almeno una volta alla settimana. Per l'esercizio del diritto di rimanere, il beneficiario giunto al termine della sua attività dispone di un periodo di due anni dal momento in cui il diritto è stato acquisito a norma dell'art. 2, paragrafo 1 a) e b), e dell'art. 3 (art. 5 par. 1), e ciò al fine di concedergli un margine di tempo sufficiente per decidere ove fissare la sua residenza definitiva; nessuna formalità è imposta al beneficiario ai fini dell'esercizio del diritto di rimanere (art. 5 par. 2; sentenza 2C_607/2013 del 27 novembre 2013 consid. 3.3, da cui risulta che esso può avvenire anche per atti concludenti). Ai cittadini dell'UE e dell'AELS o ai loro familiari che possono prevalersi di un diritto di rimanere in Svizzera giusta le disposizioni dell'ALC o della Convenzione AELS è rilasciato un permesso di dimora UE/AELS (art. 22 OLCP).  
Secondo le "Istruzioni OLCP" della Segreteria di Stato della migrazione SEM del giugno 2017, il diritto di rimanere è volto a garantire l'ulteriore permanenza nello Stato di residenza dopo la fine dell'attività lucrativa. Di principio, il diritto di rimanere sussiste indipendentemente dal fatto che l'interessato percepisca l'aiuto sociale (DTF 141 II 1 consid. 4.1 pag. 11; sentenze 2C_563/2017 del 7 novembre 2017 consid. 4.3 e 2C_587/2013 del 30 ottobre 2013 consid. 3.2). 
 
7.3. Nella fattispecie, dagli atti risulta che la ricorrente, dopo aver vissuto per un periodo imprecisato in Svizzera, si è volontariamente trasferita in Italia nell'ottobre 1991 (vedasi osservazioni del SEM), per rientrare poi in Ticino il 14 ottobre 2013. Il 9 aprile 2014, quando ha ottenuto il permesso di dimora senza attività lucrativa, la stessa era quindi tornata nel nostro Paese solo da pochi mesi e dopo molti anni di assenza. Nessun elemento risultante dagli atti lascia desumere e, del resto, nemmeno la ricorrente lo sostiene in questi termini, che lei, quando ha sollecitato il permesso oggetto della presente causa, si trovasse in Svizzera in quanto lavoratrice nelle circostanze descritte all'art. 2 par. 1 del regolamento (CEE) n. 1251/70, in particolare dalla lett. a, siccome non aveva soggiornato in Svizzera in via continuativa nei tre anni precedenti avendovi svolto un'attività lucrativa per almeno dodici mesi. Va in effetti osservato che il diritto in questione, destinato a garantire al lavoratore che ha raggiunto l'età del pensionamento la possibilità di stabilirsi definitivamente nello Stato dove ha cessato di occuparvi un impiego di una certa durata, non mira ad accordare un diritto di tornare a piacimento in uno degli Stati dove ha svolto una professione in un determinato momento della sua vita. D'altro lato, la ricorrente, che invoca in maniera generica il suo stato di anziana, vedova e invalida, non può nemmeno invocare le lettere b e c dell'art. 2 par. 1 del medesimo regolamento poiché non comprova la realizzazione delle condizioni ivi contemplate. La censura, infondata, va pertanto respinta.  
 
8.   
La ricorrente afferma infine di aver scelto la Svizzera come paese di destinazione per trascorrere la sua pensione, in considerazione degli anni lavorativi passati sul nostro territorio e della possibilità di ricongiungersi con i propri figli. Ritiene quindi che il provvedimento litigioso sia in grave contrasto con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e invoca la protezione offerta dall'art. 8 n. 1 CEDU per contestare la revoca in esame, siccome la forzerebbe a rientrare in Italia, dove sostiene di non aver nessun altro parente in grado di prestarle l'assistenza morale e materiale di cui necessita a causa del suo stato di anziana, vedova e invalida, allorché in Svizzera risiederebbero la figlia e il figlio. 
 
8.1. Il richiamo alla protezione della vita familiare garantita dall'art. 8 CEDU non giova alla ricorrente. Sua figlia non gode infatti di alcun diritto di presenza - presupposto necessario affinché ci si possa appellare alla citata norma (sentenza 2C_955/2017 del 5 marzo 2018 consid. 5.1) - ritenuto che la revoca della sua autorizzazione di soggiorno è stata confermata con sentenza odierna (causa 2C_204/2017). La ricorrente non ha poi illustrato in maniera cristallina quale sarebbe la situazione del figlio a cui essa sarebbe particolarmente legata. Infine, non va dimenticato che, trattandosi di relazioni tra adulti, occorre che esista uno stato di qualificata dipendenza tra le persone interessate (DTF 137 I 154 consid. 3.4.2 pag. 159; 129 II 11 consid. 2 pag. 13 seg.; sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in re  Emonet contro Confederazione svizzera del 13 dicembre 2007, n. 39051/03, § 35) : ora, la ricorrente non ha comprovato l'esistenza dello stato di salute problematico, di vecchiaia particolarmente debilitante, o di invalidità di cui genericamente si avvale.  
 
8.2. Lo stesso dicasi con riferimento alla protezione della vita privata sgorgante dall'art. 8 CEDU. Al riguardo va rilevato che la mera affermazione secondo cui ella si sarebbe costruita una fitta rete di integrazione sociale e familiare in Ticino non è comunque sufficiente per fondare la richiesta di rilascio di un'autorizzazione di soggiorno sul citato disposto convenzionale.  
 
9.   
Infine, il provvedimento contestato risulta anche proporzionato, sia in relazione al diritto convenzionale (ALC) che interno (art. 96 LStr). Tale valutazione va effettuata prendendo in considerazione la situazione personale, la durata del soggiorno e il grado d'integrazione dell'interessata in Svizzera, nonché eventuali ripercussioni sulla sua vita privata e familiare (DTF 139 II 121 consid. 6.5.1 pag. 132 e rinvio; sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in re  Trabelsi contro Germania del 13 ottobre 2011, n. 41548/06, § 53 segg.). Come ben rilevato dal Tribunale cantonale amministrativo, il recente soggiorno in Svizzera della ricorrente è stato globalmente di breve durata e la sua integrazione, come illustrato in precedenza, non è riuscita. Un suo trasferimento nella zona di confine, dove lingua, cultura e stile di vita sono pressoché identici ai nostri, risulta pertanto esigibile, non dimenticando che la rendita pensionistica svizzera, che ella può continuare a percepire in aggiunta a quella italiana, le permetterà di condurre una vita dignitosa in Italia. Anche in proposito il ricorso si rivela quindi infondato e come tale va respinto.  
 
10.   
Da quel che precede discende che la sentenza impugnata va integralmente confermata nel suo risultato. Il ricorso, infondato, deve quindi essere respinto. 
 
11.   
La domanda di assistenza giudiziaria contenuta nel ricorso non può trovare accoglimento, atteso che le conclusioni della ricorrente erano sin dall'inizio prive di probabilità di successo (art. 64 LTF). La ricorrente non era peraltro rappresentata da un avvocato. Nello stabilire le spese giudiziarie che le vengono addossate, siccome soccombente (art. 66 cpv. 1 LTF), viene comunque considerata la sua situazione finanziaria fissando un importo ridotto (art. 65 cpv. 1 e 2, art. 66 cpv. 1 LTF). Non vengono assegnate ripetibili ad autorità vincenti (art. 68 cpv. 3 LTF). 
 
 
 Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.   
Il ricorso è respinto. 
 
2.   
La domanda di assistenza giudiziaria è respinta. 
 
3.   
Le spese giudiziarie ridotte di fr. 800.-- sono poste a carico della ricorrente. 
 
4.   
Comunicazione alla ricorrente, alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino nonché alla Segreteria di Stato della migrazione SEM. 
 
 
Losanna, 12 giugno 2018 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Seiler 
 
La Cancelliera: Ieronimo Perroud