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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
2C_887/2011 
 
Sentenza del 22 dicembre 2011 
II Corte di diritto pubblico 
 
Composizione 
Giudici federali Zünd, Presidente, 
Donzallaz, Stadelmann, 
Cancelliera Ieronimo Perroud. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, per sé e 
in rappresentanza del figlio B.________, 
rappresentata dal Soccorso operaio Svizzero SOS, 
SOS Ticino, Consultorio giuridico, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, Sezione della popolazione, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona, 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, Residenza governativa, 6500 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Revoca dei permessi di dimora CE/AELS, 
 
ricorso in materia di diritto pubblico contro la 
sentenza emanata il 22 settembre 2011 dal 
Tribunale amministrativo del Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
 
A. 
Entrata in Svizzera il 2 gennaio 2002 A.________ (1973), cittadina nigeriana diventata il 20 marzo 2002 madre di B.________, ha depositato nel nostro paese una domanda d'asilo, la quale è stata respinta in ultima istanza dall'allora Commissione svizzera di ricorso in materia d'asilo il 2 novembre 2005. Nonostante dovessero lasciare la Svizzera entro il 5 gennaio 2006, l'interessata e il figlio non sono partiti sia perché privi dei necessari documenti di viaggio sia perché ella aveva avviato una procedura matrimoniale con C.________ (1955), cittadino italiano domiciliato in Svizzera, con cui è convolata a nozze il 26 gennaio 2007. In seguito al matrimonio all'interessata e al figlio sono stati rilasciati dei permessi di dimora CE/AELS validi fino al 25 gennaio 2012. 
 
B. 
Il 21 agosto 2009 A.________ ha chiesto la modifica di alcuni dati (comune di domicilio e indirizzo) nel suo permesso di dimora e in quello del figlio e il 13 gennaio 2010 è stata pronunciata la separazione legale della coppia, motivo per cui i coniugi sono stati interrogati dalla polizia cantonale il 12 febbraio e il 5 maggio 2010 sulla loro situazione matrimoniale. Fondandosi su tali riscontri, la Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni ha revocato, il 15 giugno 2010, il permesso di dimora di A.________ e, di riflesso, quello del figlio, e fissato loro un termine per lasciare il territorio elvetico. A sostegno della propria decisione, l'autorità preposta ha rilevato che in seguito alla cessazione della vita comune, era venuto a mancare lo scopo per il quale l'autorizzazione di soggiorno era stata concessa. 
Su ricorso, presentato dall'interessata per sé ed in rappresentanza del figlio, la revoca è stata confermata dapprima dal Consiglio di Stato ticinese, il 15 dicembre 2010, e quindi dal Tribunale cantonale amministrativo, il 22 settembre 2011. 
 
C. 
Il 27 ottobre 2011, sempre per sé e in rappresentanza del figlio, A.________ ha inoltrato dinanzi al Tribunale federale un ricorso in materia di diritto pubblico, con cui chiede l'annullamento della sentenza del Tribunale cantonale amministrativo e la proroga dei permessi di dimora. 
Con decreto presidenziale del 2 novembre 2011, al gravame è stato concesso l'effetto sospensivo. 
Il Tribunale federale non ha ordinato uno scambio di allegati scritti, limitandosi a chiedere la trasmissione dell'incarto cantonale, avvenuta l'8 novembre 2011. 
 
Diritto: 
 
1. 
II Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione la sua competenza (art. 29 cpv. 1 LTF) e l'ammissibilità dei gravami che gli vengono sottoposti (DTF 136 I 42 consid. 1 pag. 43). 
 
2. 
2.1 Giusta l'art. 83 lett. c n. 2 LTF, il ricorso in materia di diritto pubblico è inammissibile contro le decisioni in materia di diritto degli stranieri concernenti i permessi o autorizzazioni al cui ottenimento né il diritto federale né il diritto internazionale conferiscono un diritto. 
 
2.2 Come constatato dalla Corte cantonale (art. 105 in relazione con l'art. 97 LTF), la ricorrente è tuttora sposata con un cittadino italiano titolare di un permesso di domicilio CE/AELS. In virtù dell'art. 7 lett. d dell'Accordo del 21 giugno 1999 tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione Svizzera, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (Accordo sulla libera circolazione, ALC; RS 0.142.112.681) e dell'art. 3 cpv. 1 e 2 lett. a del relativo Allegato I, ella e il figlio hanno quindi in principio il diritto di soggiornare in Svizzera durante tutta la durata formale del matrimonio (DTF 130 II 113 consid. 8.3 pag. 129). Considerato poi che il procedimento riguarda la revoca di permessi che altrimenti avrebbero ancora effetti giuridici, il tempestivo gravame sarebbe comunque di principio ricevibile anche in assenza di un diritto all'ottenimento dei permessi di dimora (sentenza 2C_424/2009 del 4 gennaio 2010 consid. 2). Non occorre pertanto appurare se la ricevibilità sia data anche in virtù di altre norme. 
 
2.3 Diretto contro una decisione finale emessa da un tribunale superiore (art. 86 cpv. 2 e art. 90 LTF), il gravame è stato presentato tempestivamente (art. 46 cpv. 1 lett. c e art. 100 cpv. 1 LTF) da una persona legittimata ad agire (art. 89 cpv. 1 LTF). Il ricorso in materia di diritto pubblico è quindi di massima ricevibile. 
 
3. 
La Corte cantonale ha esposto in modo corretto le disposizioni legali e i principi giurisprudenziali applicabili al soggiorno e all'allontanamento (in senso largo) dei cittadini stranieri che possono appellarsi all'Accordo, di modo che, al riguardo, ci si limita a rinviare al giudizio querelato (cfr. sentenza cantonale, pag. 4 seg., consid. 2). Nel caso concreto è incontestato che la ricorrente e il marito non formano più una comunità domestica, al più tardi dal 13 gennaio 2010, quando è stata pronunciata la separazione legale. Considerati poi il fatto che la ricorrente si è trasferita altrove, organizzandosi in modo autonomo, e che nel corso della procedura ella non ha evidenziato alcun elemento concreto atto a dimostrare un effettivo e reale ravvicinamento tra i coniugi, l'irrimediabile rottura del legame affettivo risulta manifesta. Essendo la relazione tra i consorti inequivocabilmente compromessa, è quindi a ragione che la Corte cantonale ha ravvisato gli estremi dell'abuso di diritto: la ricorrente non può pertanto richiamarsi all'art. 3 cpv. 1 e 2 Allegato I ALC (cfr. DTF 130 II 113 consid. 9.5 p. 134; sentenza 2C_417/2008 del 18 giugno 2010 consid. 4.2). 
Rimane da appurare se il diritto interno prevede delle norme più favorevoli (art. 2 cpv. 2 della legge federale sugli stranieri del 16 dicembre 2005, LStr; RS 142.20) che le permetterebbero di ottenere un'autorizzazione di soggiorno nel nostro Paese. 
 
4. 
4.1 Come già accennato, i coniugi non convivono più dal 13 gennaio 2010 e da allora non vi è più comunità familiare. La ricorrente nulla può quindi dedurre dall'art. 43 LStr, rispettivamente dall'art. 49 LStr. Ella non rimette in discussione questi punti, ma si richiama invero all'art. 50 cpv. 1 lett. a LStr, affermando di avere dato prova di un'ottima integrazione e sottolineando che mancavano solo tredici giorni ai tre anni di unione coniugale richiesti dalla citata norma. Aggiunge poi che si dovrebbe tenere conto del fatto che i motivi che hanno condotto alla disunione sono tutti da imputare al marito. 
 
4.2 Conformemente all'art. 50 cpv. 1 LStr, dopo lo scioglimento del matrimonio o della comunità familiare, il diritto del coniuge straniero di uno straniero titolare di un permesso di domicilio (art. 43 LStr) al rilascio e alla proroga del permesso di dimora sussiste se l'unione coniugale è durata almeno 3 anni e l'integrazione è avvenuta con successo (lett. a) o se gravi motivi personali rendono necessario il prosieguo del soggiorno in Svizzera (lett. b). 
 
4.3 Come già spiegato da questa Corte la durata di tre anni ha un valore assoluto, anche se la fine della vita coniugale ha avuto luogo qualche giorno o qualche settimana prima della scadenza di questo termine (sentenza 2C_735/2010 del 1° febbraio 2011 consid. 4.1 con rinvii). Orbene, come già constatato, l'unione coniugale della ricorrente è durata meno di tre anni. Non essendo adempiuta una delle due condizioni cumulative poste dall'art. 50 cpv. 1 lett. a LStr (DTF 136 II 113 consid. 3.3.3 pag. 119), nulla può pertanto essere dedotto dalla citata norma, senza che occorra ancora pronunciarsi sulla questione dell'integrazione dell'interessata o sui motivi che hanno condotto alla separazione della coppia. 
A titolo abbondanziale va poi aggiunto, anche se la ricorrente non sembra invero contestare tale aspetto, che dall'incarto non emergono neppure gravi motivi ai sensi dell'art. 50 cpv. 1 lett. b LStr atti a giustificare il suo soggiorno in Svizzera. 
 
5. 
5.1 Richiamandosi all'art. 8 CEDU dal profilo del rispetto della vita privata, la ricorrente, dopo aver ricordato che ha sempre rispettato l'ordinamento giuridico svizzero e che vive da quasi dieci anni nel nostro Paese ove ha solidi legami sociali, giudica il provvedimento impugnato sproporzionato poiché, tra l'altro, non considera che non vi sono per lei e per il figlio sufficienti garanzie di un reinserimento dignitoso nel proprio paese d'origine. 
 
5.2 In concreto sussistono delle perplessità riguardo all'ammissibilità della censura (art. 42 cpv. 2 combinato con l'art. 106 cpv. 2 LTF). La questione può tuttavia rimanere irrisolta poiché non sono comunque adempite le severe esigenze poste dalla giurisprudenza affinché possa venire accordato un permesso di dimora fondato sul rispetto della vita privata ai sensi del citato disposto convenzionale. A tal fine occorre infatti che l'integrazione dello straniero sia notevole, altrimenti detto che i legami creati in ambito professionale o sociale siano particolarmente intensi e superino quelli scaturenti da un'ordinaria integrazione. Orbene se, effettivamente, come emerge dalla sentenza impugnata e dall'inserto di causa, la ricorrente è bene integrata, ciò non va però oltre una normale integrazione e non raggiunge, ciò che peraltro non è addotto né dimostrato, quel grado di rilevanza richiesto dalla giurisprudenza (su questo aspetto cfr. DTF 130 II 281 consid. 3.2.1 pag. 286 seg. con rinvii; sentenza 2C_75/2011 del 6 aprile 2011 consid. 3.1 e riferimenti). Senza poi dimenticare che la durata della sua permanenza in Svizzera, benché sia importante in assoluto, va tuttavia relativizzata siccome gli anni ivi passati nell'illegalità o in virtù di una semplice tolleranza non sono determinanti (cfr. DTF 134 II 10 consid. 4.3 in fine pag. 24 e richiami). In proposito il ricorso si rivela quindi privo di pertinenza. 
 
6. 
6.1 Per concludere la ricorrente lamenta la violazione del principio della proporzionalità in quanto non sarebbero state considerate le difficoltà di reinserimento alle quali lei e il figlio verrebbero confrontati in caso di ritorno in patria: lei a causa dell'assenza considerevole, il figlio perché dovrà inserirsi in un contesto sociale e scolastico a lui ignoto, in un paese di cui non conosce né la lingua né gli usi e costumi. 
 
6.2 Valutando la problematica della reintegrazione sociale della ricorrente, i giudici cantonali hanno osservato che era nata e cresciuta in patria, dove aveva trascorso gran parte della vita, si era scolarizzata e aveva lavorato come parrucchiera. Hanno poi rilevato che era là che possedeva i suoi principali legami sociali e culturali, che vi risiedevano ancora diversi familiari (la circostanza che i genitori si fossero trasferiti in un altro paese non apparendo di rilievo) e che la nuova esperienza professionale qui acquisita nel settore della ristorazione le sarebbe stata utile nel futuro. La Corte cantonale è quindi giunta alla conclusione che, dopo qualche difficoltà di adattamento, un reinserimento in patria appariva attuabile. Di fronte a questa argomentazione dettagliata la ricorrente si limita a addurre la sua lunga assenza nonché non meglio specificate insufficienti garanzie di un inserimento dignitoso. Anche su questo punto la censura, in quanto ammissibile, risulta priva di fondamento e va respinta. 
 
6.3 Per quanto riguarda il figlio della ricorrente, si deve considerare che egli è stato autorizzato a risiedere in Svizzera al solo scopo di poter stare vicino alla madre, dalla quale, data la sua età, dipende peraltro ancora in larga misura. Con la revoca del permesso di dimora di quest'ultima vengono quindi a cadere le condizioni affinché egli possa continuare a soggiornare nel nostro Paese, rammentato poi che essendo sotto la custodia della madre, egli deve fondamentalmente condividere la sua sorte (sentenza 2A.562/2006 del 16 febbraio 2007 consid. 3.3 e rinvii). In queste condizioni la conclusione alla quale sono giunti i giudici cantonali, ossia che il suo trasferimento nel paese di origine, dopo un necessario periodo di adattamento, risulta ancora accettabile, va condivisa. Anche da questo profilo la decisione impugnata non presta dunque il fianco a critiche di sorta. 
 
7. 
Per i motivi illustrati, il gravame si avvera pertanto manifestamente infondato. La causa va decisa secondo la procedura dell'art. 109 cpv. 2 lett. a LTF
 
8. 
Le spese seguono la soccombenza (art. 66 cpv. 1 LTF). Non si concedono ripetibili ad autorità vincenti (art. 68 cpv. 3 LTF). 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
 
2. 
Le spese giudiziarie di fr. 2'000.-- sono poste a carico della ricorrente. 
 
3. 
Comunicazione al rappresentante della ricorrente, alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, nonché all'Ufficio federale della migrazione. 
 
Losanna, 22 dicembre 2011 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Zünd 
 
La Cancelliera: Ieronimo Perroud