Wichtiger Hinweis:
Diese Website wird in älteren Versionen von Netscape ohne graphische Elemente dargestellt. Die Funktionalität der Website ist aber trotzdem gewährleistet. Wenn Sie diese Website regelmässig benutzen, empfehlen wir Ihnen, auf Ihrem Computer einen aktuellen Browser zu installieren.
 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
2A.175/2004 /biz 
 
Sentenza del 7 dicembre 2004 
II Corte di diritto pubblico 
 
Composizione 
Giudici federali Wurzburger, presidente, 
Betschart e Müller, 
cancelliere Bianchi. 
 
Parti 
A.________, c/o ditta X.________, 
ricorrente, patrocinato dall'avv. Jean-Maurice Jordi, 
 
contro 
 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona, 
Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, 
via Pretorio 16, 6901 Lugano. 
 
Oggetto 
revoca del permesso per confinanti, 
 
ricorso di diritto amministrativo contro la sentenza 
del 6 febbraio 2004 del Tribunale amministrativo 
del Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
A. 
Dall'8 maggio 1987 il cittadino italiano A.________ (1960) beneficia di un permesso per frontalieri, rispettivamente, dopo l'entrata in vigore degli accordi bilaterali, di un permesso per confinanti CE/AELS. Egli risiede a Como con la moglie e i due figli e svolge l'attività di giardiniere presso la ditta X.________, di cui è socio dal mese di ottobre del 1997, dopo avervi precedentemente lavorato per circa un anno. L'autorizzazione di cui gode è valida fino al 16 novembre 2008. 
B. 
Con decreto d'accusa dell'8 maggio 2000, A.________ è stato condannato a 60 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di due anni, per aver coltivato delle piantine di canapa destinate ad essere vendute a negozi specializzati. A seguito di tale condanna, il 30 giugno 2000 la Sezione dei permessi e dell'immigrazione del Cantone Ticino lo ha ammonito, avvertendolo inoltre che in caso di recidiva o di comportamento scorretto avrebbe adottato ulteriori provvedimenti. 
Con sentenza del 7 ottobre 2003, la Presidente della Corte delle assise correzionali di Mendrisio ha condannato A.________ a 18 mesi di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di quattro anni, e a devolvere allo Stato fr. 100'000.--, quale parte dell'indebito profitto conseguito; ha inoltre revocato la sospensione condizionale della precedente pena detentiva. L'interessato è stato riconosciuto colpevole di infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti per aver partecipato alla coltivazione e alla vendita di canapa, agendo per mestiere e realizzando una cifra d'affari di circa fr. 262'000.--. 
C. 
Fondandosi sulla situazione esposta, con decisione del 18 novembre 2003 la Sezione dei permessi e dell'immigrazione ha revocato a A.________ il permesso per confinanti, ritenendone inopportuna la presenza in Svizzera anche se solo a scopo di lavoro. Il provvedimento è stato confermato, su ricorso, dapprima dal Consiglio di Stato ticinese, il 16 dicembre 2003, ed in seguito dal Tribunale cantonale amministrativo, il 6 febbraio 2004. In sostanza, entrambe le istanze hanno considerato che lo straniero ha gravemente violato l'ordine pubblico e che il suo interesse a continuare a lavorare in Svizzera non sia prevalente rispetto all'interesse della collettività al suo allontanamento. 
D. 
Il 22 marzo 2004 A.________ ha introdotto un ricorso di diritto amministrativo dinanzi al Tribunale federale con cui chiede l'annullamento del giudizio cantonale e la sua riforma nel senso che pronunci, a sua volta, l'annullamento della decisione dipartimentale. 
 
Chiamati ad esprimersi, il Tribunale amministrativo si è riconfermato nella propria sentenza, mentre il Consiglio di Stato e l'Ufficio federale dell'immigrazione, dell'integrazione e dell'emigrazione hanno proposto di respingere il ricorso. 
E. 
Con decreto presidenziale del 23 aprile 2004 è stata accolta l'istanza di conferimento dell'effetto sospensivo contenuta nel gravame. 
 
Diritto: 
1. 
In materia di diritto degli stranieri, il ricorso di diritto amministrativo non è proponibile contro il rilascio o il rifiuto di un permesso, salvo laddove un diritto all'ottenimento dello stesso si fonda su una disposizione del diritto federale o di un trattato internazionale (art. 100 cpv. 1 lett. b n. 3 OG; DTF 128 II 145 consid. 1.1.1). Indipendentemente dall'esistenza di un tale diritto, il rimedio in questione è comunque esperibile in relazione a decisioni di revoca di permessi (art. 101 lett. d OG). 
Rivolta contro la sentenza cantonale che conferma la revoca del permesso per confinanti rilasciato fino al 16 novembre 2008 ed inoltrata tempestivamente (art. 106 cpv. 1 OG) da una persona legittimata ad agire (art. 103 lett. a OG), l'impugnativa è quindi di principio ammissibile. Dato che il ricorrente è cittadino di uno Stato della Comunità europea, il gravame sarebbe peraltro ricevibile anche se riguardasse semplicemente il mancato rinnovo del permesso (DTF 130 II 388 consid. 1.2). 
2. 
Con il ricorso di diritto amministrativo può essere fatta valere la violazione del diritto federale, che comprende i diritti costituzionali dei cittadini (DTF 126 III 431 consid. 3; 123 II 385 consid. 3) nonché l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento (art. 104 lett. a OG). Quale organo della giustizia amministrativa, il Tribunale federale esamina d'ufficio l'applicazione del diritto federale (art. 114 cpv. 1 OG), senza essere vincolato dai considerandi della decisione impugnata o dai motivi invocati dalle parti. Mediante il rimedio esperito può inoltre venir censurato l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 104 lett. b OG). Considerato comunque che, nel caso di specie, la decisione impugnata emana da un'autorità giudiziaria, l'accertamento dei fatti da essa operato vincola il Tribunale federale, salvo che questi risultino manifestamente inesatti o incompleti oppure siano stati accertati violando norme essenziali di procedura (art. 105 cpv. 2 OG). 
3. 
3.1 Giusta l'art. 9 cpv. 2 lett. b della legge federale del 26 marzo 1931 concernente la dimora e il domicilio degli stranieri (LDDS; RS 142.20), il permesso di dimora può essere revocato, tra l'altro, quando la condotta dello straniero dia motivo a gravi lagnanze. Secondo la prassi, tale disposizione è applicabile, per analogia, anche al permesso per frontalieri (sentenze 2P.161/1994 del 7 febbraio 1995, consid. 3a, e 2A.316/1993 del 18 marzo 1994, consid. 3). 
La legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri si applica tuttavia ai cittadini degli Stati membri della Comunità europea ed ai loro familiari soltanto nella misura in cui l'Accordo del 21 giugno 1999 tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione Svizzera, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (di seguito ALC o Accordo; RS 0.142.112.681) non disponga altrimenti oppure se la legge medesima preveda disposizioni più favorevoli (art. 1 lett. a LDDS). 
3.2 Dal momento che il ricorrente è cittadino italiano, l'Accordo gli conferisce di principio il diritto di continuare a lavorare come frontaliere in una zona di confine del nostro paese come il Mendrisiotto (art. 4 e 10 cpv. 7 ALC; art. 2 cpv. 1, 7 e 28 Allegato I ALC; art. 4 cpv. 3 dell'ordinanza sull'introduzione della libera circolazione delle persone, del 22 maggio 2002 [OLCP; RS 142.203]). Tale diritto può essere limitato soltanto da misure giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità (art. 5 cpv. 1 Allegato I ALC), nel senso definito dalla direttiva 64/221/CEE, del 25 febbraio 1964 (pubblicata in: GU 1964, n. 56, pag. 850), e dalla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) precedente alla sottoscrizione dell'ALC (art. 5 cpv. 2 Allegato I ALC, combinato con l'art. 16 cpv. 2 ALC; sulla giurisprudenza successiva, cfr. DTF 130 II 1 consid. 3.6.1). 
 
L'art. 5 Allegato I ALC non può comunque legittimare misure più incisive di quelle previste dal diritto svizzero; lo esige il divieto di discriminazione di cui all'art. 2 ALC e il privilegio accordato al diritto più favorevole dall'art. 1 lett. a LDDS. Di conseguenza, occorre di principio verificare se la revoca dell'autorizzazione rilasciata al ricorrente si giustifichi tanto dal profilo del diritto interno, quanto nell'ottica del trattato bilaterale (DTF 130 II 176 consid. 3.2). Va comunque considerato che, in pratica, l'applicabilità dell'ALC comporta un'interpretazione restrittiva del motivo di revoca previsto dall'art. 9 cpv. 2 lett. b LDDS (Andreas Zünd, Beendigung der Anwesenheit, Entfernung und Fernhaltung, in: Uebersax/Münch/Geiser/Arnold [a cura di], Ausländerrecht, Basilea/ Ginevra/Monaco 2002, n. 6.22). 
4. 
4.1 Il concetto di condotta che dà adito a "gravi lagnanze", secondo l'art. 9 cpv. 2 lett. b LDDS, è una nozione giuridica indeterminata. Il comportamento dell'interessato va valutato in senso oggettivo, in funzione dell'ordine pubblico e della sicurezza interna. Le lagnanze devono in ogni caso essere gravi perché la revoca di un permesso costituisce un provvedimento incisivo. Non è tuttavia necessario, né peraltro sufficiente, che siano state violate delle norme giuridiche: l'ordine pubblico può infatti essere minacciato anche con il mancato rispetto di strutture sociali o d'importanti valori morali. L'uso della forma plurale nel testo legale serve a sottolineare la particolare gravità che deve evidenziare l'agire rimproverato; non è però escluso che la norma si applichi anche a un comportamento che si esaurisce in un'unica azione. Non ogni grave lagnanza comporta comunque necessariamente la revoca del permesso; occorre in effetti ancora che un simile provvedimento sia conforme al principio di proporzionalità. L'autorità deve considerare, da un lato, l'importanza del bene violato e, dall'altro, le circostanze in cui tale comportamento si è manifestato e la situazione personale dello straniero al momento dei fatti (DTF 116 Ib 113 consid. 3c; 98 Ib 85 consid. 2; sentenza 2A.194/1995 del 20 novembre 1995, in: RDAT I-1996 n. 56, consid. 3; Alain Wurzburger, La jurisprudence récente du Tribunal fédéral en matière de police des étrangers, in: RDAF 1997 I pag. 267 segg., in part. pag. 325). 
4.2 Secondo la giurisprudenza della CGCE, le deroghe alla libera circolazione devono essere interpretate in modo restrittivo. Pertanto, il ricorso da parte di un'autorità nazionale alla nozione di ordine pubblico per restringere questa libertà presuppone una minaccia effettiva e abbastanza grave ad uno degli interessi fondamentali della società (DTF 130 II 176 consid. 3.4.1; 129 II 215 consid. 7.3; sentenze CGCE del 27 ottobre 1977 nella causa 30-77, Bouchereau, Racc. 1977, 1999, n. 33-35, e del 19 gennaio 1999 nella causa C-348/96, Calfa, Racc. 1999, I-11, n. 23 e 25). Tale presupposto non è adempiuto se il comportamento da cui trae origine la limitazione del diritto d'accesso e di soggiorno non implica, da parte dello Stato in questione, l'adozione di misure repressive o di altri provvedimenti concreti ed effettivi volti a reprimerlo, qualora lo stesso comportamento è posto in essere da un proprio cittadino (DTF 130 II 176 consid. 3.4.1). I provvedimenti fondati su motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono inoltre essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo nei riguardi del quale essi sono applicati (art. 3 cpv. 1 della direttiva 64/221/CEE). Escluse sono quindi misure dettate da ragioni di prevenzione generale, decretate cioè nell'intento di provocare un effetto dissuasivo presso altri cittadini stranieri (DTF 130 II 176 consid. 3.4.1; 129 II 215 consid. 7.1; sentenza CGCE del 26 febbraio 1975 nella causa 67-74, Bonsignore, Racc. 1975, 297, n. 6-7). La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente legittimare l'adozione di provvedimenti che limitano la libera circolazione (art. 3 cpv. 2 della direttiva 64/221/CEE). Una tale condanna può essere presa in considerazione soltanto nella misura in cui dalle circostanze che l'hanno determinata emerga un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l'ordine pubblico; secondo le circostanze, non è comunque escluso che la sola condotta tenuta in passato costituisca una siffatta minaccia (sentenze CGCE cit. in re Bouchereau, n. 27-29, e in re Calfa, n. 24). 
La Corte di giustizia non ha sinora precisato in modo puntuale i criteri che permettono di valutare se una minaccia è attuale nel senso della direttiva 64/221/CEE. Da un lato, non occorre stabilire con certezza che lo straniero commetterà altre infrazioni in futuro per poter adottare misure per ragioni di ordine pubblico; d'altro lato, non si deve esigere che il rischio di recidiva sia nullo per rinunciare a simili misure. Tenuto conto del principio della libera circolazione, un certo rigore s'impone comunque sotto questo aspetto. La misura dell'apprezzamento dipende dalla gravità della potenziale infrazione: tanto più questa appare importante, quanto minori sono le esigenze in merito al rischio di recidiva (DTF 130 II 176 consid. 4.3.1). Inoltre, come nel caso di qualsiasi altro cittadino straniero, l'esame deve essere effettuato tenendo presente le garanzie derivanti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, del 4 novembre 1950 (CEDU; RS 0.101), così come del principio di proporzionalità (DTF 130 II 176 consid. 3.4.2; 129 II 215 consid. 6.2; sentenza 2A.12/2004 del 2 agosto 2004, destinata alla pubblicazione in DTF 130 II xxx, consid. 3.3; sentenze CGCE del 28 ottobre 1975 nella causa 36-75, Rutili, Racc. 1975, 1219, n. 32 e dell'11 luglio 2002, nella causa C-60/00, Carpenter, Racc. 2002, I-6279, n. 42 segg.). 
5. 
5.1 Riportando diffusamente un contributo dottrinale (Jean-Pierre Moser, Accords bilatéraux et mesures d'éloignement au titre de l'ordre public et de la sécurité publique, in: RDAF 2003 I pag. 84 segg.), il ricorrente sostiene innanzitutto che, dopo l'entrata in vigore dell'ALC, nell'adozione di misure di allontanamento non vi sarebbe più spazio per differenziazioni tra la giurisdizione penale e quella amministrativa. Nel caso specifico, le autorità amministrative sarebbero perciò tenute a rispettare il giudizio della Corte delle Assise correzionali che, nonostante la richiesta del Procuratore pubblico, non ha inflitto la pena accessoria dell'espulsione ai sensi dell'art. 55 CP
5.2 Il Tribunale federale ha tuttavia già avuto modo di precisare che anche nel contesto del regime instaurato dall'accordo sulla libera circolazione delle persone la decisione dell'autorità amministrativa permane fondata su una prospettiva diversa da quella del giudice penale e può dunque risultare persino più rigorosa quanto all'espulsione. Il giudice penale tiene infatti conto, in primo luogo, della situazione personale del condannato e delle sue possibilità di risocializzazione, mentre l'autorità amministrativa si prefigge di proteggere la sicurezza e l'ordine pubblico (DTF 129 II 215 consid. 3.2, e 7.4; sentenza 2A.12/2004 del 2 agosto 2004, destinata alla pubblicazione in DTF 130 II xxx, consid. 4.2). Non solo la sospensione condizionale, ma pure la mancata pronuncia dell'espulsione come tale in sede penale non osta all'espulsione amministrativa (sentenza 2A.117/2004 del 20 luglio 2004, consid. 4.1). Malgrado le critiche formulate nel gravame, non v'è ragione di scostarsi da questa recente prassi, peraltro già confermata a più riprese (oltre a quelle già citate, cfr. anche sentenze 2A.391/2003 del 30 agosto 2004, consid. 3.2 e 2A.494/2003 del 24 agosto 2004, consid. 6.3.2). Detta conclusione si giustifica a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, gli effetti della misura di polizia degli stranieri sono assai meno gravosi di quelli derivanti dall'espulsione di natura penale. Del resto, visto che il ricorrente non ha richiesto la motivazione della sentenza penale, non è comunque dato di sapere su quali considerazioni sia stata fondata la rinuncia all'espulsione. 
 
6. 
6.1 Il ricorrente adduce inoltre che i reati commessi non sarebbero sufficientemente gravi da rappresentare un rischio per l'ordine pubblico e contesta l'attualità di un qualsivoglia pericolo. 
6.2 Egli si è reso colpevole di infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti e sulle sostanze psicotrope, del 3 ottobre 1951 (LStup; RS 812.121), avendo agito per mestiere ed avendo realizzato una grossa cifra d'affari e un guadagno considerevole (art. 19 n. 2 lett. c LStup). Tra il mese di settembre del 2000 ed il momento dell'arresto nel marzo del 2003, grazie alla sua formazione di giardiniere, egli, coltivandole personalmente o fungendo da consulente, ha contribuito allo sviluppo di sei piantagioni di canapa nel Mendrisiotto. A tale attività ha dedicato una parte importante del suo tempo di lavoro, tant'è che ha notificato la riduzione al 50% della sua occupazione precedente. Ne ha tratto in parte una remunerazione pecuniaria ed in parte del prodotto stupefacente essiccato che ha venduto lui stesso; la cifra d'affari è stata quantificata nell'ordine di fr. 262'000.-- ed il guadagno certamente superiore a fr. 100'000.--, somma che è stato condannato a devolvere allo Stato. Per questi fatti, al ricorrente è stata inflitta una pena di diciotto mesi con la condizionale. 
6.3 La giurisprudenza relativa alla LDDS è particolarmente rigorosa nel caso di implicazione nel commercio di stupefacenti (DTF 125 II 521 consid. 4a/aa; 122 II 433 consid. 2c). La protezione della collettività di fronte allo sviluppo del mercato della droga costituisce senza dubbio un interesse pubblico preponderante che giustifica di principio l'allontanamento dalla Svizzera; gli stranieri coinvolti in tali traffici devono attendersi provvedimenti di questo tipo (sentenza 2A.7/2004 del 2 agosto 2004, consid. 5.1). 
Non v'è quindi dubbio che, dal profilo del diritto interno, la condotta dell'insorgente integri gli estremi delle "gravi lagnanze" di cui all'art. 9 cpv. 2 lett. b LDDS. Una pena di medesima durata per reati simili è del resto stata ritenuta sufficiente anche per la revoca del permesso di dimora (sentenza 2A.490/1995 del 29 gennaio 1996, consid. 2b, citata in: Alain Wurzburger, op. cit., pag. 325). A maggior ragione una simile condanna giustifica perciò la revoca del permesso per frontaliere, che è ad esempio già stata ammessa nel caso di infrazioni alla LDDS punite con cinque giorni di arresto (sentenza 2P.161/1994 del 7 febbraio 1995, consid. 5-7). 
6.4 La gravità dei reati perpetrati dal ricorrente non può essere minimizzata nemmeno nell'ottica dell'ALC. Le infrazioni si sono infatti protratte per diversi anni su vasta scala, consentendo di ricavare svariati quintali di canapa pronti all'uso come sostanza stupefacente e di conseguire guadagni di centinaia di migliaia di franchi. Il ruolo del ricorrente nella riuscita delle coltivazioni è stato determinante su tutti i fronti, viste le sue conoscenze di botanica; egli non ha inoltre esitato a smerciare personalmente una parte del prodotto. Un simile comportamento rappresenta un pericolo serio e concreto per un interesse fondamentale della società, come la lotta al traffico di droga e al diffondersi del suo consumo, nonché per un bene giuridico essenziale quale la salute pubblica. Date le modalità e l'entità delle pratiche messe in atto, non è decisivo il fatto che i traffici non abbiano riguardato droghe pesanti. Il ricorrente si è in ogni caso reso colpevole di infrazione aggravata alla LStup, punibile con la reclusione o la detenzione non inferiore a un anno, cui può essere cumulata una multa fino a un milione di franchi (art. 19 n. 1 LDDS). 
Le particolari circostanze della fattispecie non permettono di formulare un pronostico favorevole sulla condotta dell'interessato. In effetti, soltanto qualche mese prima di intraprendere l'attività illecita testé menzionata, egli era già stato condannato a sessanta giorni di detenzione, pena di cui è poi stata revocata la sospensione condizionale, per un reato dello stesso tipo: aveva coltivato 1782 piantine di canapa destinate ad essere vendute a due negozi specializzati. Né questa condanna, né il conseguente ammonimento pronunciato dalla Sezione dei permessi e dell'immigrazione l'hanno tuttavia indotto a desistere dal delinquere nuovamente, nel medesimo ambito e dopo breve termine. A suo carico figurano inoltre due multe pecuniarie inflittegli nel 1998 e nel 2002 per infrazioni formali alla LDDS, e meglio per aver lavorato sprovvisto del necessario permesso. 
In virtù della prima condanna va parimenti confutata l'obiezione secondo cui a quei tempi in Ticino vi sarebbe stata una certa confusione sull'effettiva illegalità della coltivazione della canapa. Proprio perché già sanzionato penalmente, il ricorrente non poteva in effetti ignorare che la prosecuzione ed a maggior ragione l'estensione di questa attività sarebbe pure stata illecita. Infondata è altresì la censura di disparità di trattamento per rapporto alla fattispecie esaminata nella DTF 129 II 215. Da quel caso - concernente l'espulsione di un italiano coniugato con una connazionale domiciliata in Svizzera e condannato a tre anni e nove mesi per reati di droga - non può in effetti venir dedotto che soltanto pene di analoga severità possono giustificare la decadenza dei permessi di polizia degli stranieri. Pur essendo riduttivo limitarsi all'entità della condanna penale, questa Corte ha del resto confermato l'espulsione di cittadini comunitari anche in relazione a sanzioni nel complesso inferiori a quelle inflitte al ricorrente (sentenza 2A.12/2004 del 2 agosto 2004, destinata alla pubblicazione in DTF 130 II xxx, consid. 4.4). 
6.5 Ne consegue pertanto che, da un lato, il ricorrente ha dato adito a gravi lagnanze, giusta l'art. 9 cpv. 2 lett. b LDDS e, d'altro lato, che egli rappresenta una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per la società, da legittimare un provvedimento per ragioni di ordine pubblico, ai sensi dell'art. 5 Alllegato I ALC e della direttiva 64/221/CEE. Resta da verificare la proporzionalità della misura. 
7. 
Come ha rettamente considerato la Corte cantonale, la revoca del permesso per confinanti non obbliga il ricorrente a spostare il centro dei suoi interessi affettivi e familiari, e non pone quindi particolari problemi di adattamento. Egli vive infatti con la moglie ed i figli nella regione italiana di confine, dove ha d'altronde sempre risieduto. Il pregiudizio sul piano professionale è per contro indubbiamente di rilievo, dato che la misura, pur non vietandogli l'ingresso in territorio svizzero, gli impedisce di continuare a lavorare nel nostro paese, dove opera da oltre quindici anni come giardiniere. La posizione di socio nella ditta presso cui è attivo dal 1996, acquisita peraltro dopo un solo anno, potrebbe di per sé far apparire come particolarmente intenso il suo legame professionale con la Svizzera. In realtà, sin dall'inizio del 2001 egli ha notificato una riduzione dell'onere d'impiego (50%) in favore di tale ditta ed anche il permesso oggetto della revoca si riferisce ad un tasso d'attività soltanto parziale. Inoltre egli nemmeno sostiene che la ricerca di un impiego nel paese d'origine analogo a quello sinora svolto potrebbe rivelarsi particolarmente difficile; vista la professione praticata, tale eventualità appare del resto poco verosimile. Lavorare in Italia potrebbe certo avere ripercussioni negative sul bilancio familiare. Il ricorrente aveva comunque già moglie e prole quando ha deciso di dedicarsi alla coltivazione della canapa e di proseguire in tale attività dopo la prima condanna e il relativo ammonimento, per cui poteva senz'altro prevedere quali inconvenienti ne sarebbero derivati anche dal profilo del sostentamento della famiglia. 
Per queste ragioni, considerati la gravità dei reati commessi dal ricorrente e il pericolo che, proprio nell'esercizio della sua professione, egli rappresenterebbe ancora per l'ordine pubblico elvetico, la revoca del permesso per confinanti, per quanto gravosa, non viola il principio di proporzionalità. 
8. 
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso, infondato, va pertanto respinto e il giudizio impugnato confermato. 
Dato l'esito del gravame, la tassa di giustizia va posta a carico del ricorrente (art. 156 cpv. 1, 153 cpv. 1 e 153a OG). Non si assegnano ripetibili ad autorità vincenti (art. 159 cpv. 2 OG). 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
1. 
Il ricorso è respinto. 
2. 
La tassa di giustizia di fr. 2'000.-- è posta a carico del ricorrente. 
3. 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, nonché all'Ufficio federale dell'immigrazione, dell'integrazione e dell'emigrazione. 
Losanna, 7 dicembre 2004 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
Il presidente: Il cancelliere: