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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
6B_144/2011 
 
Sentenza del 16 settembre 2011 
Corte di diritto penale 
 
Composizione 
Giudici federali Mathys, Presidente, 
Schneider, Eusebio, 
Cancelliere Gadoni. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
patrocinato dall'avv. Olivier Corda, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Ministero pubblico della Confederazione, Taubenstrasse 16, 3003 Berna, 
opponente. 
 
Oggetto 
Confisca di valori patrimoniali (art. 72 CP), 
 
ricorso in materia penale contro la sentenza emanata 
il 27 gennaio 2011 dalla I Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale. 
 
Fatti: 
 
A. 
In seguito a una segnalazione dell'Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha aperto, con decisione del 5 luglio 2007 e successiva estensione del 1° luglio 2008, un'indagine preliminare di polizia giudiziaria nei confronti segnatamente di A.________, per i titoli di riciclaggio di denaro e di falsità in documenti. Nell'ambito delle indagini, il 5 luglio 2007, il MPC ha tra l'altro pure sequestrato a titolo probatorio e confiscatorio i valori patrimoniali depositati su un conto intestato a A.________ presso la succursale di X.________ della banca B.________SA. 
 
B. 
Con decisione del 21 dicembre 2009, il MPC ha deciso di sospendere le indagini e, in virtù dell'allora vigente art. 73 cpv. 1 vPP, ha contestualmente ordinato la confisca giusta l'art. 72 CP dei valori patrimoniali sequestrati. Il magistrato inquirente ha ritenuto che questi valori patrimoniali rientravano nella facoltà di disporre dell'organizzazione criminale "Cosa Nostra". 
 
C. 
Adita da A.________, con giudizio del 6 maggio 2010, la I Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale (TPF) ha respinto il gravame e confermato la confisca dei citati valori patrimoniali. Con sentenza del 1° ottobre 2010, in accoglimento di un ricorso in materia penale presentato da A.________, questa Corte ha annullato il giudizio del TPF e gli ha rinviato gli atti per una nuova decisione dopo lo svolgimento di un'udienza pubblica conformemente all'art. 6 n. 1 CEDU (sentenza 6B_519/2010 del 1° ottobre 2010, in: RtiD I-2011, n. 33, pag. 158 segg.). 
 
D. 
Statuendo sulla causa dopo avere eseguito l'udienza pubblica, con sentenza del 27 gennaio 2011, la I Corte dei reclami penali del TPF ha nuovamente respinto il gravame, confermando la confisca. 
 
E. 
A.________ impugna con un ricorso in materia penale al Tribunale federale questa sentenza, chiedendo di annullarla e di liberare a suo favore i valori patrimoniali confiscati. Il ricorrente fa in particolare valere la violazione dell'art. 72 CP e di garanzie costituzionali. 
 
F. 
Non sono state chieste osservazioni sul ricorso. 
 
Diritto: 
 
1. 
1.1 Presentato tempestivamente (art. 100 cpv. 1 LTF) contro una decisione di natura finale (art. 90 LTF) della I Corte dei reclami penali del TPF, concernente una decisione di confisca, il ricorso in materia penale è di principio ammissibile (DTF 133 IV 278 consid. 1.1-1.2.2). 
 
1.2 Il ricorrente ha partecipato al procedimento dinanzi all'autorità inferiore. In quanto titolare del conto oggetto della contestata confisca, egli ha un interesse giuridicamente protetto all'annullamento o alla modifica della decisione impugnata. La sua legittimazione a ricorrere ai sensi dell'art. 81 cpv. 1 LTF è quindi data. 
 
1.3 Il 1° gennaio 2011 è entrato in vigore il Codice di diritto processuale penale svizzero (CPP; RS 312.0). La decisione di confisca è stata emanata dal MPC il 21 dicembre 2009, in applicazione del previgente art. 73 cpv. 1 vPP. Pure il precedente giudizio di rinvio di questa Corte è stato emanato prima dell'entrata in vigore del nuovo diritto. Conformemente all'art. 453 CPP, la I Corte dei reclami penali del TPF ha quindi nuovamente statuito sulla fattispecie sulla base del diritto previgente, il quale è pertanto determinante anche per il presente giudizio (cfr. sentenza 1B_412/2010 del 4 aprile 2011 consid. 1; cfr. VIKTOR LIEBER, in: Kommentar zur StPO, 2010, art. 453, n. 6 segg.; NIKLAUS SCHMID, Handbuch des schweizerischen Strafprozessrechts, 2009, pag. 856, n. 1867). 
 
2. 
2.1 Il ricorrente lamenta una violazione degli art. 29a e 30 Cost., nonché dell'art. 6 n. 1 CEDU, per il fatto che, non essendo stato oggetto di una condanna in Svizzera, egli non avrebbe potuto beneficiare, nell'ambito della procedura di confisca, di un equo processo, rispettoso delle garanzie procedurali a tutela dell'accusato e segnatamente del principio della parità delle armi. A suo dire, la decisione del MPC di sospendere le indagini, ordinando tuttavia nel contempo la confisca dei valori patrimoniali, costituirebbe un espediente per aggirare un'equa procedura dinanzi a un giudice indipendente ed imparziale, che garantisca i diritti dell'accusato. 
 
2.2 Secondo l'art. 72 CP, il giudice ordina la confisca di tutti i valori patrimoniali di cui un'organizzazione criminale ha facoltà di disporre. I valori appartenenti a una persona che abbia partecipato o sostenuto un'organizzazione criminale (art. 260ter) sono presunti sottoposti, fino a prova del contrario, alla facoltà di disporre dell'organizzazione. 
La presunzione legale della seconda frase dell'art. 72 CP implica che l'avente diritto degli averi patrimoniali da confiscare sia punibile sotto il profilo dell'art. 260ter CP. Deve quindi essere stabilito, se la persona interessata ha partecipato o sostenuto un'organizzazione criminale. Non è per contro necessario dimostrare che questa persona o l'organizzazione hanno commesso un determinato reato o che i valori provengano da un crimine. È certo ipotizzabile che la persona interessata sia condannata in Svizzera in applicazione dell'art. 260ter CP, ma, contrariamente a quanto sembra ritenere il ricorrente, una tale condanna non è necessaria. Se nessun giudizio si pronuncia sull'appartenenza al crimine organizzato, il giudice dovrà stabilire se la persona interessata ha partecipato o sostenuto un'organizzazione criminale ai sensi dell'art. 260ter CP. La presunzione legale è inapplicabile se la persona in causa è stata prosciolta in Svizzera o all'estero dal perseguimento per l'appartenenza al crimine organizzato, a meno che la procedura di confisca in Svizzera faccia emergere nuovi indizi sul suo ruolo nell'organizzazione in questione (DTF 131 II 169 consid. 9.1; sentenza 6P.142/2004 del 7 febbraio 2005 consid. 4.1). 
 
2.3 Premesso che una condanna del ricorrente in Svizzera non è necessaria, nelle esposte circostanze non è di per sé criticabile che il MPC abbia ordinato la confisca dei valori patrimoniali nonostante la sospensione delle indagini nei confronti del ricorrente per i titoli di riciclaggio di denaro e di falsità in documenti. La I Corte dei reclami del TPF ha d'altra parte statuito sulla confisca quale autorità giudiziaria indipendente ed imparziale, dinanzi alla quale il ricorrente ha avuto diritto a un'udienza pubblica ed ha potuto esporre le proprie argomentazioni. Al riguardo, egli si limita a richiamare genericamente gli art. 29a e 30 Cost., nonché l'art. 6 n. 1 CEDU, ma non spiega, tantomeno con una motivazione conforme agli art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF, perché tali garanzie sarebbero state disattese nella fattispecie (cfr., sulle esigenze di motivazione, DTF 134 II 244 consid. 2 e rinvii). 
 
3. 
3.1 Il ricorrente fa valere l'incompetenza della giurisdizione svizzera. Sostiene che nella misura in cui in relazione con i fondi depositati sul suo conto presso B.________SA non è stato commesso alcun reato in Svizzera, non sarebbe data nemmeno la competenza dell'autorità elvetica ad ordinarne la confisca. 
 
3.2 La confisca prevista dall'art. 72 CP presuppone che la giurisdizione svizzera sia competente per perseguire il proprietario dei valori patrimoniali per appartenenza a un'organizzazione criminale ai sensi dell'art. 260ter CP. La competenza del giudice svizzero in materia di repressione dell'organizzazione criminale non deve però essere sminuita. L'art. 260ter n. 3 CP prevede infatti che è punibile anche chi commette il reato all'estero, se l'organizzazione esercita o intende esercitare l'attività criminale in tutto o in parte in Svizzera. Inoltre, colui che amministra i fondi dell'organizzazione è punibile secondo l'art. 260ter CP siccome sostiene in tal modo l'organizzazione stessa. Di conseguenza, la confisca potrà essere ordinata in Svizzera se i fondi sono gestiti in Svizzera da un membro dell'organizzazione o mediante uno strumento utilizzato a sua insaputa (DTF 134 IV 185 consid. 2.1; sentenza 6P.142/2004, citata, consid. 4.2). 
 
3.3 La precedente istanza ha accertato, in modo vincolante per il Tribunale federale (art. 105 cpv. 1 LTF), che il ricorrente è stato condannato in Italia per favoreggiamento dell'organizzazione criminale "Cosa Nostra" fino al gennaio del 2002. Egli è titolare ed avente diritto economico del conto bancario svizzero litigioso, oggetto di movimentazioni dal novembre 1992 al giugno 2007, in coincidenza quindi con il periodo in cui è stato accertato un sostegno all'organizzazione criminale. Poiché è rimproverato al ricorrente di avere gestito in Svizzera, quale sostenitore dell'organizzazione criminale, fondi nella disponibilità dell'organizzazione, è quindi a ragione che i precedenti giudici hanno ammesso la competenza della giurisdizione svizzera. 
Il ricorrente sostiene invero che la sentenza del 9 febbraio 2004 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo non constata un suo sostegno generalizzato a "Cosa Nostra", ma un unico episodio di interposizione; tale sentenza determina inoltre il periodo rilevante per il sostegno all'organizzazione fino al gennaio del 2002, ma non ne precisa l'inizio. Egli adduce inoltre che il conto bancario in questione sarebbe stato alimentato solo nel periodo 1992-1994 e, in un'occasione, nel 1999: non sarebbe invece stato accertato che già allora era avvenuta l'interposizione per la quale è stato condannato in Italia. Con queste argomentazioni il ricorrente solleva dubbi sulla fattispecie oggetto del giudizio italiano, ma non contesta di per sé un suo sostegno, seppure limitato, all'organizzazione criminale. Disattende inoltre che i precedenti giudici hanno ritenuto che il suo legame con il crimine organizzato risultava anche dagli accertamenti contenuti in altre sentenze, con cui egli non si confronta. Il fatto che la citata sentenza del giudice italiano non precisi la data di inizio del sostegno all'organizzazione e in particolare quella relativa ai fatti oggetto della condanna per favoreggiamento, non basta poi a fare ritenere manifestamente insostenibile e pertanto arbitrario l'accertamento di una corrispondenza temporale, perlomeno parziale, tra il periodo di gestione del conto (dal novembre 1992 al giugno 2007) e quello del sostegno all'organizzazione criminale (fino al gennaio del 2002). 
 
4. 
4.1 Il ricorrente fa valere una violazione del principio della non retroattività della legge (art. 2 cpv. 1 CP), sostenendo che tale principio osterebbe alla confisca di beni presenti sul conto già prima dell'entrata in vigore dell'art. 72 CP. Rileva al proposito che, ad eccezione dei versamenti eseguiti nel 1994 e nel 1999, il conto non sarebbe stato alimentato dopo l'entrata in vigore della norma. 
 
4.2 Il principio è invocato a torto dal ricorrente, siccome non si tratta qui di fatti accaduti nel passato e completamente conclusi al momento dell'entrata in vigore, il 1° agosto 1994, dell'art. 59 n. 3 vCP, il cui tenore già corrispondeva all'attuale art. 72 CP. In concreto, la confisca è infatti legata alla disponibilità dei valori patrimoniali da parte dell'organizzazione criminale e di conseguenza alla fattispecie dell'art. 260ter CP. Secondo quanto accertato dalla precedente istanza, il sostegno del ricorrente all'organizzazione si è protratto perlomeno fino al gennaio del 2002, quando la normativa sulla confisca era già in vigore. 
La questione concerne semmai la prescrizione del diritto di confiscare, la quale tuttavia non inizia a decorrere prima della fine della facoltà dell'organizzazione criminale di disporre dei valori patrimoniali, rispettivamente prima che la persona interessata si sia staccata dall'organizzazione (cfr. DTF 136 IV 4 consid. 6.5; NIKLAUS SCHMID, Kommentar Einziehung, Organisiertes Verbrechen, Geldwäscherei, vol. I, 2a ed., 2007, § 2 n. 223). Poiché nella fattispecie il sostegno all'organizzazione è durato almeno fino al gennaio del 2002, a ragione la precedente istanza ha ritenuto che la prescrizione dell'azione penale e quindi anche del diritto di ordinare la confisca decorre da quella data. La prescrizione non è pertanto ancora subentrata sia considerando il termine di 15 anni in applicazione del diritto vigente (cfr. art. 70 cpv. 3, art. 97 cpv. 1 lett. b e art. 98 lett. c i.r.c. art. 260ter n. 1 CP), sia tenendo conto del termine di 10 anni secondo il diritto previgente, più favorevole al ricorrente (cfr. art. 59 n. 1, art. 70 e art. 71 i.r.c. art. 260ter n. 1 vCP). 
In tali circostanze, non occorre esaminare l'argomentazione, addotta a titolo abbondanziale dai precedenti giudici, secondo cui la sentenza del 9 febbraio 2004 del giudice italiano avrebbe anche comportato l'estinzione della prescrizione. 
 
5. 
5.1 Per il ricorrente, il TPF avrebbe violato l'art. 72 CP, il divieto dell'arbitrio e del diritto di essere sentito, nonché l'art. 6 CEDU, per essere andato oltre quanto risulta dalla citata sentenza del 9 febbraio 2004, fondandosi anche su giudizi concernenti altri imputati legati a "Cosa Nostra" e accertando di conseguenza un legame con l'organizzazione criminale più intenso rispetto ai fatti per i quali è stato condannato in Italia. 
 
5.2 Come visto, una condanna del ricorrente non è necessaria nell'ottica dell'applicazione dell'art. 72 CP (cfr. consid. 2.2). Alla precedente istanza non era quindi di per sé vietato far capo anche all'insieme degli accertamenti disponibili per stabilire se il ricorrente aveva partecipato o sostenuto un'organizzazione criminale. Il fatto che a tal fine i precedenti giudici abbiano preso in considerazione oltre al giudizio nei confronti del ricorrente anche altri atti, segnatamente una sentenza dell'11 febbraio 2005 concernente la condanna di due membri di "Cosa Nostra", nella misura in cui sono stati rispettati i suoi diritti processuali, non costituisce quindi una violazione del diritto. Al riguardo, il ricorrente non sostiene con una motivazione conforme agli art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF di non avere potuto esprimersi adeguatamente sugli atti considerati nella procedura di confisca in esame e non dimostra quindi una violazione delle invocate garanzie costituzionali. D'altra parte, nella decisione di confisca, il MPC aveva chiaramente indicato pure le sentenze italiane concernenti altri membri dell'organizzazione criminale e vi aveva fatto esplicito riferimento per fondare il provvedimento contro il ricorrente. Il MPC ha in particolare esposto i fatti contenuti nella citata sentenza dell'11 febbraio 2005, che confermavano il legame del ricorrente con l'organizzazione criminale: sugli stessi questi ha quindi avuto la possibilità di addurre le proprie contestazioni dinanzi alle istanze ricorsuali superiori. In questa sede, il ricorrente si limita a ribadire che gli accertamenti contenuti in altre sentenze, all'infuori di quella del 9 febbraio 2004, non possono essere considerati, ma non si esprime sul loro contenuto e non dimostra quindi arbitrio alcuno. Non vi è pertanto motivo per mettere in discussione la conclusione dei precedenti giudici secondo cui il ricorrente ha sostenuto l'organizzazione criminale. 
 
6. 
6.1 Il ricorrente sostiene che l'inversione dell'onere probatorio prevista dall'art. 72 CP sarebbe incompatibile con il principio della presunzione di innocenza. Ritiene inoltre che la conclusione della precedente istanza secondo cui egli non ha fornito la prova della provenienza lecita dei fondi violerebbe l'art. 6 CEDU e il divieto dell'arbitrio. 
 
6.2 Nella misura in cui, sollevando tale censura, il ricorrente chiede a questa Corte di verificare la conformità dell'art. 72 CP con il principio della presunzione di innocenza, garantito pure dall'art. 32 cpv. 1 Cost., la domanda urta con l'art. 191 Cost., che impedisce al Tribunale federale di esaminare la costituzionalità delle leggi federali (DTF 131 II 562 consid. 3.2). L'invocato principio non è comunque stato violato nel caso concreto, dal momento che l'autorità non gli ha rimproverato nell'ambito della procedura di confisca di avere sostenuto l'organizzazione criminale, nonostante egli fosse stato prosciolto da un simile reato. Né egli dimostra che la procedura di confisca non avrebbe rispettato le garanzie procedurali, e in particolare l'art. 6 CEDU, per il fatto che non gli sarebbe stata concessa la possibilità di fare valere dinanzi al TPF le argomentazioni atte a rovesciare la presunzione legale (cfr., al riguardo, URSULA CASSANI, La confiscation de l'argent des "potentats": a qui incombe la preuve?, in: SJ 2009 II, pag. 229 segg., pag. 249 seg.). Riconoscendo poi una sua difficoltà a provare fatti che si sarebbero verificati tempo addietro e lamentando al riguardo la mancata concessione da parte del TPF di facilitazioni probatorie, il ricorrente non sostanzia una violazione degli art. 72 CP, 29 Cost. e 6 CEDU da lui invocati e non porta di certo un argomento a sostegno del fatto di essere effettivamente riuscito a rovesciare la presunzione della facoltà dell'organizzazione criminale di disporre dei valori patrimoniali. 
6.3 
6.3.1 Il ricorrente sostiene nondimeno di avere rovesciato tale presunzione. Rileva di avere prodotto della documentazione secondo la quale i fondi proverrebbero da contratti relativi a macchinari edili e ribadisce che la sentenza del 9 febbraio 2004 gli imputerebbe un unico atto di interposizione a favore dell'organizzazione, il quale non sarebbe però all'origine dei fondi confiscati. Adduce nuovamente che il TPF non avrebbe potuto fondarsi su fatti contenuti in altre sentenze, segnatamente per quanto concerne l'attività illecita di un'impresa del ricorrente favorita dai legami con "Cosa Nostra" nell'aggiudicazione di appalti pubblici da parte della società che gestisce la rete stradale ed autostradale italiana. A suo dire, il fatto di avere eventualmente beneficiato di simili appalti non implicherebbe ancora che i beni depositati sul suo conto bancario rientrino nella facoltà di disporre dell'organizzazione criminale. Secondo il ricorrente, l'ammontare ridotto degli importi e la sua limitata movimentazione permetterebbero anzi di concludere che si tratterebbe di risparmi privati. Sostiene infine che denunciando nel 2007 un membro dell'organizzazione criminale, che gli aveva reclamato del denaro, egli avrebbe dimostrato che non era associato a "Cosa Nostra" e che quest'ultima avrebbe dovuto commettere un reato penale, segnatamente un'estorsione, per accedere al denaro. 
6.3.2 La presunzione dell'art. 72 CP può essere rovesciata dimostrando l'origine lecita degli averi o l'assenza di potere di disposizione dell'organizzazione criminale. Tuttavia, trattandosi di un fatto negativo, quest'ultima può essere provata difficilmente, per esempio dimostrando che l'organizzazione potrebbe avere accesso agli averi solo commettendo nuovi reati (DTF 136 IV 4 consid. 5 e riferimento). 
Come visto, contrariamente all'opinione del ricorrente, la precedente istanza non era obbligata a considerare esclusivamente la sentenza emanata nei suoi confronti il 9 febbraio 2004. Il gravame è quindi infondato nella misura in cui il ricorrente fa astrazione dagli accertamenti fondati su altre sentenze concernenti membri di "Cosa Nostra". Non basta in ogni caso a rovesciare la presunzione legale il fatto che il ricorrente è stato condannato in Italia per un unico atto di favoreggiamento e che i fondi confiscati non proverrebbero da quello specifico reato. 
Anche la circostanza secondo cui l'impresa del ricorrente ha beneficiato di guadagni riconducibili ad appalti pubblici conseguiti irregolarmente, pur non provando di per sé l'origine illecita dei fondi depositati sul conto oggetto di confisca, di certo non concorre a rovesciare la presunzione legale. Quand'anche si volesse ammettere un collegamento tra i contratti relativi ai macchinari edili e una parte delle somme accreditate sul conto, le irregolarità commesse nell'ambito della sua attività imprenditoriale non consentono comunque di ritenere come chiaramente lecita l'origine degli averi. Nemmeno l'entità degli importi e la loro limitata movimentazione dimostrano la provenienza lecita degli averi o l'assenza di potere di disposizione dell'organizzazione criminale. Neppure il fatto che il ricorrente ha denunciato dinanzi alle autorità italiane persone legate all'organizzazione criminale, che gli avrebbero chiesto la restituzione di determinate somme di denaro, basta poi ad invalidare la presunzione in discussione, ove si consideri in particolare che quando la denuncia è stata sporta i fondi litigiosi erano già sotto sequestro e il ricorrente non poteva più disporne liberamente. 
 
7. 
Ne segue che il ricorso deve essere respinto in quanto ammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono quindi poste a carico del ricorrente (art. 66 cpv. 1 LTF). 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
 
2. 
Le spese giudiziarie di fr. 4'000.-- sono poste a carico del ricorrente. 
 
3. 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Ministero pubblico della Confederazione e alla I Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale. 
 
Losanna, 16 settembre 2011 
 
In nome della Corte di diritto penale 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Mathys 
 
Il Cancelliere: Gadoni