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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
                 
 
 
2C_731/2018  
 
 
Sentenza del 22 aprile 2021  
 
II Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Seiler, Presidente, 
Aubry Girardin, De Rossa, Giudice supplente, 
Cancelliera Ieronimo Perroud. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Dipartimento delle finanze e dell'economia del Cantone Ticino, 
Ufficio dell'ispettorato del lavoro, viale Stefano Franscini 17, 6501 Bellinzona, 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 6501 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Mancato rispetto delle condizioni salariali, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 31 luglio 2018 
dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (52.2016.514). 
 
 
Fatti:  
 
A.   
Nell'ambito di un controllo volto ad accertare le condizioni lavorative e salariali degli impiegati di commercio attivi negli studi legali successivamente all'entrata in vigore, il 1° agosto 2015, del contratto normale di lavoro per gli impiegati di commercio negli studi legali (di seguito: CNL), l'Ufficio dell'Ispettorato del lavoro del Dipartimento delle finanze e dell'economia (di seguito: UIL) ha intimato, il 20 novembre 2015, all'avv. A.________ un rapporto nel quale le veniva prospettata l'adozione di una sanzione amministrativa fondata sull'art. 9 della legge federale dell'8 ottobre 1999 concernente le misure collaterali per i lavoratori distaccati e il controllo dei salari minimi previsti nei contratti normali di lavoro (Legge sui lavoratori distaccati, LDist; RS 823.20), nella versione in vigore all'epoca, per inosservanza del salario minimo prescritto dal suddetto CNL. L'11 dicembre 2015, datale la possibilità di determinarsi, l'UIL ha inflitto all'avv. A.________ una multa di fr. 385.-- per aver versato alla propria dipendente B.________, occupata a tempo parziale, un salario inferiore di fr. 158.48 rispetto a quello minimo prescritto (fr. 2'436.60 invece di fr. 2'595.08), per il mese di settembre 2015. 
 
B.   
Adito dall'avv. A.________, il Consiglio di Stato ticinese ne ha respinto l'impugnativa con giudizio del 20 settembre 2016, confermando la sanzione pecuniaria inflittale, ritenuta conforme al principio della proporzionalità. Con sentenza del 31 luglio 2018, il Tribunale cantonale amministrativo, accogliendo parzialmente il gravame presentato dall'interessata, ha per contro constatato che l'ammanco di salario rispetto al salario minimo fissato dal CNL si riduceva in realtà a circa fr. 20.--, l'autorità precedente avendo omesso a torto d'includere nel conteggio salariale un importo di fr. 137.10. In queste circostanze, la sanzione inflitta alla datrice di lavoro risultava eccessiva alla luce della gravità oggettiva e soggettiva della violazione. I giudici cantonali hanno quindi riformato la decisione governativa e pronunciato un semplice avvertimento invece della multa, rilevando tra l'altro che tale misura corrispondeva a quanto indicato nelle raccomandazioni nel frattempo emanate dalla Segreteria di Stato dell'economia (SECO), stato aprile 2017, in caso di differenze salariali complessive inferiori a fr. 100.-- e di pagamento documentato degli arretrati. 
 
C.   
Il 31 agosto 2018 l'avv. A.________ ha inoltrato al Tribunale federale un "  ricorso di diritto pubblico ", con cui postula l'annullamento delle decisioni del Tribunale cantonale amministrativo, del Consiglio di Stato e dell'UIL. Lamentato un accertamento erroneo dei fatti e la violazione del suo diritto di essere sentita, fa valere l'incostituzionalità del CNL alla luce del principio della parità di trattamento e sostiene che la sanzione inflittale, accompagnata dalla relativa pubblicazione della misura, violerebbe tutta una serie di altri principi e diritti costituzionali e convenzionali, nonché disposizioni del diritto federale. Domanda inoltre l'ammissione all'assistenza giudiziaria.  
Chiamati ad esprimersi il Tribunale cantonale amministrativo e l'UIL hanno rinunciato a formulare osservazioni, limitandosi a riconfermare le rispettive argomentazioni esposte nelle sedi precedenti. Il Consiglio di Stato si è invece rimesso al giudizio di questa Corte, mentre la SECO non si è espressa. 
 
 
Diritto:  
 
1.   
Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione la propria competenza (art. 29 cpv. 1 LTF) e l'ammissibilità del rimedio proposto (DTF 144 II 184 consid. 1; 143 IV 85 consid. 1.1). 
 
1.1. L'impugnativa concerne una causa di diritto pubblico che non ricade sotto nessuna delle eccezioni previste dall'art. 83 LTF ed è diretta contro una decisione finale (art. 90 LTF) resa in ultima istanza cantonale da un tribunale superiore (art. 86 cpv. 1 lett. d e cpv. 2 LTF). Essa è stata presentata nei termini (art. 100 cpv. 1 LTF) dalla destinataria della pronuncia contestata, con interesse ad insorgere (art. 89 cpv. 1 LTF). La via del ricorso in materia di diritto pubblico è dunque aperta.  
 
1.2. In ragione dell'effetto devolutivo del gravame inoltrato, la ricorrente è legittimata a formulare conclusioni riguardanti solo l'annullamento e la riforma della sentenza del Tribunale cantonale amministrativo. Nella misura in cui sono direttamente volte all'annullamento delle decisioni del Consiglio di Stato e dell'UIL, le critiche e conclusioni tratte nel ricorso sono inammissibili (DTF 134 II 142 consid. 1.4; sentenza 2D_44/2019 del 14 aprile 2020 consid. 1.3).  
 
2.  
 
2.1. Con il ricorso in materia di diritto pubblico può in particolare venir lamentata la violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF), nozione che comprende i diritti costituzionali dei cittadini (DTF 133 III 446 consid. 3.1). Salvo che per i casi citati dall'art. 95 LTF, con questo rimedio non è invece possibile criticare la violazione del diritto cantonale in quanto tale, di cui è semmai censurabile un'applicazione lesiva del diritto federale e, segnatamente, di un diritto costituzionale (DTF 143 I 321 consid. 61).  
 
2.2. Il Tribunale federale applica d'ufficio il diritto federale (art. 106 cpv. 1 LTF); nondimeno, tenuto conto dell'onere di allegazione e motivazione posto dalla legge (art. 42 cpv. 1 e 2 LTF), si confronta di regola solo con le censure sollevate. Nell'atto di ricorso occorre pertanto spiegare in modo conciso in cosa consiste la lesione del diritto e su quali punti il giudizio contestato viene impugnato (DTF 142 I 99 consid. 1.7.1). Esigenze più severe valgono invece in relazione alla violazione di diritti fondamentali; simili critiche vengono infatti trattate unicamente se sono state motivate in modo circostanziato ed esaustivo mentre, in caso contrario, esse non possono essere prese in considerazione (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 134 II 244 consid. 2.2). Critiche appellatorie non sono ammesse (DTF 141 IV 317 consid. 5.4 e rinvii).  
 
2.3. Per quanto riguarda i fatti, il Tribunale federale fonda il suo ragionamento giuridico sull'accertamento svolto dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Può scostarsene se è stato eseguito in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF o in modo arbitrario, profilo sotto il quale è esaminato anche l'apprezzamento delle prove (sentenza 2C_781/2019 del 23 gennaio 2020 consid. 2.2). A meno che non ne dia motivo la sentenza impugnata, non tiene inoltre conto di fatti o mezzi di prova nuovi, i quali non possono in ogni caso essere posteriori alla stessa (art. 99 cpv. 1 LTF; DTF 133 IV 343 consid. 2.1).  
 
2.4. In quanto volto a criticare il CNL su cui poggia la sanzione inflittale, il gravame della ricorrente è ugualmente ammissibile. Per mezzo dell'impugnazione di un atto concreto davanti al Tribunale federale può in effetti essere fatta valere anche l'incostituzionalità della norma applicata (cosiddetto controllo accessorio, cfr. DTF 133 I 1 consid. 5.6). Va tuttavia precisato che, quando si esprime in un simile contesto, il Tribunale federale non ne esamina la conformità alla Costituzione con riguardo a tutte le fattispecie possibili, bensì unicamente nell'ottica del caso specifico e, qualora la critica si dimostrasse fondata, annulla solamente l'atto concreto, non invece la norma litigiosa sulla quale esso si basa (DTF 132 I 49 consid. 4; 131 I 272 consid. 3.1 e rispettivi rinvii).  
 
2.5. La ricorrente dichiara poi di essere  "disponibile a presentarsi davanti alla Corte a Losanna". Nella misura in cui tale esternazione corrisponde alla richiesta di indire un dibattimento dinanzi al Tribunale federale (art. 57 LTF), questo ha luogo solo in via eccezionale e le parti non hanno di principio alcun diritto a che venga ordinato; inoltre la relativa richiesta deve, come tutte le istanze sottoposte al Tribunale federale, essere adeguatamente motivata (sentenza 1C_211/2016 del 20 settembre 2018 consid. 1.5 e rinvio non pubblicato in DTF 144 I 281). Ora, la ricorrente si limita a sostenere che il confronto personale "  può servire ad evitare di emettere giudizi errati o di fondarsi addirittura su pregiudizi errati espressi da altri", senza però addurre alcuna circostanza particolare suscettibile di giustificare la necessità di una simile richiesta eccezionale. Va poi rilevato che gli art. 6 n. 1 CEDU e 30 cpv. 3 Cost., invocati dalla ricorrente peraltro assieme ad una lista generica di altre disposizioni della CEDU (art. 5, 6 e 13) e di disposti costituzionali (art. 5, 29 e 30 Cost.), oltre a non conferire necessariamente il diritto di comparire in persona e di esprimersi oralmente dinanzi all'autorità chiamata a statuire (sentenza 2C_458/2020 del 6 ottobre 2020 consid. 3.2 e riferimenti), non esigono nemmeno che dinnanzi al Tribunale federale si svolga un dibattimento pubblico. Il diritto ad un'udienza è innanzitutto applicabile davanti alle precedenti istanze ed è compito della parte, pena la decadenza del suo diritto, sollecitarne in maniera esplicita lo svolgimento in quella sede (sentenza 2C_640/2020 del 1° dicembre 2020 consid. 3.4 e richiami). In concreto, anche in sede cantonale l'interessata si è semplicemente dichiarata a disposizione del Tribunale amministrativo cantonale per essere sentita. I Giudici cantonali hanno giudicato, motivando opportunamente la loro decisione - rimasta peraltro incontestata in questa sede - che l'impugnativa poteva essere evasa sulla base degli atti. La richiesta, nella misura in cui vada considerata tale, non merita quindi accoglimento.  
 
3.  
 
3.1. La ricorrente si duole reiteratamente del fatto che, pur riconoscendo che il Consiglio di Stato non ha assunto tutte le prove da lei offerte né si è espresso su tutte le censure da lei sollevate, il Tribunale amministrativo cantonale giunge alla conclusione che non vi è stata alcuna violazione del suo diritto di essere sentita rispettivamente che un'eventuale lesione dello stesso ha comunque potuto essere sanata grazie alla possibilità concessale di difendersi compiutamente dinanzi all'istanza successiva. In altre parole contesta che la Corte cantonale abbia potuto sanare le violazioni compiute dalle precedenti istanze, adducendo che quest'ultima ha invece, a sua volta, gravemente violato l'art. 29 cpv. 2 Cost. e il principio di legalità di cui agli art. 5 Cost. e 1 CEDU. Dopo alcune prolisse e inconferenti disquisizioni circa la differenza tra una contravvenzione penale e una contravvenzione amministrativa, invocando anche la legge federale del 22 marzo 1974 sul diritto penale amministrativo (DPA; RS 313.0) e il Codice penale svizzero (CP), censura inoltre, in maniera generica, la lesione degli art. 5 n. 4, 6 n. 1 e 2 e 13 CEDU nonché degli art. 5 cpv. 1, 3 e 4, 29 cpv. 1 e 30 Cost.  
Prima di entrare nel merito della questione giuridica principale sollevata dalla causa, è opportuno evadere le censure invocate in relazione a garanzie di natura formale, dato che la loro violazione comporta in principio l'annullamento della decisione impugnata, indipendentemente dall'eventuale fondatezza delle critiche sollevate e dalle prospettive di successo del ricorso nel merito (DTF 144 IV 302 consid. 3.1 e richiami). 
 
3.2. Il contenuto del diritto di essere sentito è determinato in primo luogo dalle norme cantonali, non invocate dalla ricorrente, ragione per cui la censura va esclusivamente esaminata alla luce dell'art. 29 cpv. 2 Cost., il cui rispetto è verificato dal Tribunale federale con pieno potere d'esame (DTF 135 I 279 consid. 2.2). Sennonché, su questo punto il ricorso è insufficientemente motivato (art. 106 cpv. 2 LTF). La ricorrente si limita infatti a ribadire ripetutamente che i giudici cantonali non avrebbero risposto "  punto per punto " alle sue osservazioni volte all'accertamento corretto della fattispecie (in particolare in relazione agli importi che non sarebbero stati presi in considerazione come poste del salario determinante), limitando così in maniera grave il suo diritto di essere sentita. Adduce poi che ciò li avrebbe condotti a trarre conclusioni "  false ", rese in violazione dei combinati art. 50, 103, 104, 333 e 335 CP nonché degli art. 5 Cost. e 1 CEDU. Ora la sua argomentazione non ha alcuna struttura e non si confronta minimamente con i motivi posti a fondamento del giudizio impugnato, il quale invece è chiaro ed espone in maniera succinta ma esauriente (al riguardo vedasi DTF 138 I 232 consid. 5.1 e rinvii) le argomentazioni in merito ai punti rilevanti sui quali si fonda. La ricorrente non spiega nemmeno per quale ragione ritiene di non aver potuto sanare il suo diritto di essere sentita davanti al Tribunale cantonale amministrativo, oltre a non specificare quali sarebbero state le offerte di prova o le censure non prese debitamente in considerazione dall'autorità precedente. Infine, nonostante le asserite violazioni del suo diritto di essere sentita, specifica che non intende chiedere il rinvio degli atti al Tribunale cantonale amministrativo per un ulteriore accertamento della fattispecie poiché ritiene che l'art. 6 n. 2 CEDU imponga all'autorità una ponderazione delle prove a favore della parte debole ed esiga quindi che questa Corte consideri come ammessi a suo favore, "  per acquiescenza " delle istanze inferiori, tutti i fatti (in particolare tutte le prove da lei offerte in merito alle varie poste del salario versato alla sua impiegata) sui quali queste hanno omesso sistematicamente di prendere posizione. Non adempiendo le esigenze dell'art. 106 cpv. 2 LTF, le censure relative alla violazione del suo diritto di essere sentita sfuggono ad un esame di merito. Peraltro dette censure riguardano in gran parte una questione di carattere giuridico (sapere, cioè, se determinati vantaggi concessi all'impiegata debbano essere o meno considerati alla stregua di elementi del salario minimo determinante per il CNL) che andrà semmai esaminata con il merito della causa.  
 
3.3. Va infine aggiunto che né la "  disponibilità " della ricorrente a presentarsi ad un dibattimento davanti al Tribunale federale (cfr.  supra consid. 2.5), né la semplice constatazione di non essere stata convocata davanti ai giudici cantonali per un'audizione personale costituiscono vere e proprie censure relative alla violazione di garanzie procedurali. Nonostante figurino nel capitolo IV del ricorso relativo "  alla procedura e al rispetto dei principi generali e delle garanzie processuali ", la ricorrente non ne deduce infatti alcuna violazione.  
 
4.   
Nel merito, il litigio verte sulla pronuncia di un avvertimento da parte del Tribunale cantonale amministrativo in riforma della precedente decisione governativa, con cui veniva inflitta una sanzione pecuniaria fondata sulla LDist per il mancato rispetto delle condizioni salariali stabilite dal CNL per gli impiegati di commercio negli studi legali. La ricorrente la contesta con argomentazioni che, in generale, sono di difficile comprensione e si succedono senza progressione logica, venendo riproposte a più riprese, in ordine sparso. Le disposizioni di cui è invocata una violazione (gli art. 5, 8, 9, 29 e 30 Cost.; l'art. 50 CP in relazione con gli art. 103, 104, 333 e 335 CP; gli art. 1, 5, 6, 13 e 14 CEDU) sono perlopiù elencate in maniera decontestualizzata rispetto alle singole censure, senza essere sostanziate. Nel prosieguo dell'esame del presente ricorso, il Tribunale federale non entrerà quindi nel merito delle censure che non rispettano i requisiti di motivazione posti dagli art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF. 
 
5.  
 
5.1.   
A parere della ricorrente il CNL viola il principio della parità di trattamento, garantito dagli art. 8 cpv. 2 Cost. e 14 CEDU, poiché senza un fondato motivo genera una differenza tra gli impiegati di commercio che lavorano in uno studio legale e quelli che, con la stessa formazione generale, lavorano in altri settori. Chiede pertanto che venga accertata incidentalmente l'incostituzionalità del CNL da questo profilo. 
 
5.2. La critica, che opera un semplice riferimento agli argomenti sollevati nella procedura cantonale e ad un non meglio precisato trattamento discriminatorio, non adempie palesemente le esigenze di motivazione dell'art. 106 cpv. 2 LTFsupra consid. 2.2) e si rivela così del tutto inidonea a dimostrare l'esistenza di una qualsivoglia disparità di trattamento nel caso concreto (  supra consid. 2.4). Al riguardo il gravame sfugge ad un esame di merito.  
 
5.3. Va ad ogni buon fine rammentato che, con sentenza 4C_1/2015 del 15 luglio 2015, nell'ambito di un controllo astratto delle norme, il Tribunale federale ha già ammesso che l'adozione del CNL in questione era conforme alle esigenze poste dall'art. 360a CO, in particolare stante l'esistenza comprovata di un'offerta ripetuta di salari abusivi in quello specifico settore. Già solo per questa ragione, esso va quindi applicato a prescindere da un suo eventuale - e comunque non dimostrato - carattere incostituzionale (sentenza 4C_1/2015 citata consid. 6.3). Inoltre, contrariamente a quanto sembra voler asserire la ricorrente (cfr. pag. 3 del gravame), il Tribunale federale ha stabilito che l'onere formativo iniziale a carico di un avvocato per un impiegato di uno studio legale non è tanto più grande di quello di altri datori di lavoro assoggettati ad altri CNL analoghi e non può pertanto giustificare un salario ridotto per una segretaria di studio legale al primo anno (sentenza 4C_1/2015 citata consid. 6.3).  
 
6.   
La ricorrente contesta poi sia le conclusioni cui sono giunti i giudici cantonali in merito alla realizzazione degli elementi oggettivi e soggettivi dell'infrazione, sia la pronuncia della relativa sanzione. 
 
6.1. L'art. 2 cpv. 1 LDist (condizioni lavorative e salariali minime) prevede che "[i]l datore di lavoro deve garantire ai lavoratori distaccati almeno le condizioni lavorative e salariali prescritte nelle leggi federali, nelle ordinanze del Consiglio federale, in contratti collettivi di obbligatorietà generale e in contratti normali di lavoro ai sensi dell'articolo 360a CO, in particolare nei seguenti ambiti: a. retribuzione minima, inclusi i supplementi, (...) ". L'art. 9 LDist tratta delle sanzioni amministrative. Il capoverso 1 stabilisce che gli organi di controllo notificano ogni infrazione alla presente legge alla competente autorità cantonale. Nella versione in vigore all'epoca e determinante per la presente fattispecie, il capoverso 2 lett. c stabiliva che l'autorità cantonale competente può, per infrazioni alle disposizioni sui salari minimi prescritte in un contratto normale di lavoro ai sensi dell'articolo 360a CO commesse da datori di lavoro che impiegano lavoratori in Svizzera, pronunciare una sanzione amministrativa che preveda il pagamento di un importo sino a 5000 franchi. Il capoverso 3 della medesima disposizione (rimasto sostanzialmente invariato rispetto all'epoca dei fatti) statuisce che l'autorità che pronuncia una sanzione notifica una copia della sua decisione alla Segreteria di Stato dell'economia e all'organo di controllo competente ai sensi dell'articolo 7 capoverso 1 lettera a. La SECO tiene un elenco delle imprese e delle persone che sono state oggetto di una sanzione passata in giudicato. L'elenco è pubblico. Riguardo a tale elenco dei datori di lavoro sanzionati, l'art. 17a cpv. 1 dell'ordinanza sui lavoratori distaccati in Svizzera del 21 maggio 2003 (ODist; RS 823.201) precisa che la SECO rende accessibile, mediante procedura di richiamo, un elenco dei datori di lavoro che sono stati oggetto di multe (lett. a) e di un divieto temporaneo di offrire i propri servizi in Svizzera (lett. b).  
 
6.2. Il Tribunale amministrativo cantonale, dopo aver effettuato una rettifica del calcolo svolto dal Consiglio di Stato, che attestava un ammanco di fr. 158.48, ha per finire constatato in una maniera che vincola anche il Tribunale federale (art. 105 cpv. 1 LTF) che, al momento in cui la busta paga è stata verificata, il salario dell'impiegata era inferiore di circa fr. 20.-- rispetto al minimo fissato dal CNL (fr. 2'595.08). Dopo aver diffusamente spiegato le ragioni per le quali gli altri vantaggi concessi all'impiegata (cioè il pagamento delle lezioni di tedesco che ha frequentato sull'arco di 5 mesi; un importo di fr. 183.85 che la ricorrente le aveva versato già con il salario del mese di luglio 2015 credendo erroneamente di dover da subito applicare il nuovo CNL, entrato invece in vigore un mese dopo; il differimento al 1° dicembre 2015 di una riduzione del grado di occupazione dal 72.6 % al 64.28 % che in realtà la ricorrente avrebbe voluto attuare già da dopo l'estate 2015) non potevano essere computati nella retribuzione minima, ha quindi considerato che i presupposti dell'infrazione fossero (comunque) realizzati.  
La ricorrente contesta il ragionamento dei giudici cantonali con una serie di argomenti di carattere meramente appellatorio. Con critiche del tutto generiche, afferma ripetutamente che prendendo in considerazione le suddette "  prestazioni accessorie " la remunerazione oraria sarebbe stata superiore al minimo orario di fr. 19.65 previsto dal CNL, non giustificando più la pronuncia di una sanzione. Non evoca tuttavia in maniera puntuale, perlomeno, come accennato, non in maniera conforme alle esigenze dell'art. 42 cpv. 2 LTF, alcuna disposizione legale che sarebbe stata violata dai giudici cantonali, non si confronta con le argomentazioni giuridiche, confortate da dottrina e giurisprudenza, addotte nel giudizio impugnato, in particolare rispetto alla qualificazione giuridica dei costi delle lezioni di tedesco quali benefici aziendali non computabili ai fini della verifica dei salari minimi (cfr. sentenza impugnata consid. 4.3 pag. 9). Stando cosi le cose, anche queste censure sfuggono ad un esame di merito.  
 
6.3. In via subordinata, la ricorrente lamenta poi che, anche volendo ammettere che i vantaggi concessi alla sua impiegata non andassero effettivamente computati sul salario, e che quindi si debba riconoscere il pagamento di un salario inferiore di fr. 20,38 rispetto al minimo previsto dal CNL, questa differenza costituisce un mero errore di calcolo, peraltro commesso dalla sua impiegata e quindi non imputabile all'insorgente stessa, e comunque scusabile, data la sua entità. Sostiene poi che la decisione impugnata ha erroneamente considerato che l'elemento soggettivo dell'infrazione fosse realizzato, mentre è chiaro che in quella fase di introduzione del CNL lei ha semplicemente commesso un errore involontario al quale poi ha immediatamente rimediato versando l'ammanco all'impiegata.  
 
6.3.1. Il giudizio cantonale tiene ampiamente conto di tutti gli elementi sollevati dalla ricorrente, tant'è che spende ben quattro pagine di considerazioni approfondite (cfr. sentenza impugnata consid. 5.1 a 5.3 pag. 10 a 13) per giungere alla conclusione che, dopo le dovute correzioni degli importi (  supra consid. 6.2) e tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del caso concreto, la multa inflitta alla ricorrente dal Consiglio di Stato appare eccessiva e che la pronuncia di un semplice avvertimento risulta maggiormente rispettosa del principio della proporzionalità. Nonostante ciò, l'insorgente, senza essersi premurata di confrontarsi puntualmente con i considerandi della decisione impugnata e dopo aver addirittura dedicato una parte della sua impugnativa a contestare la pronuncia e il calcolo della multa ormai già annullata dal Tribunale cantonale amministrativo, conclude affermando che "  il TRAM non indica perché ritiene necessaria la sanzione dell'avvertimento" e che in queste circostanze "non deve essere pronunciata alcuna sanzione " (ricorso pag. 15).  
 
6.3.2. La critica, per i motivi esposti di seguito, si rivela infondata. Il fatto di pronunciare un avvertimento - che va inteso come diffida alla pronuncia della sanzione contemplata dalla legge - invece di emanare la sanzione stessa (in casu una multa, cfr. art. 9 cpv. 2 lett. c LDist, nella versione in vigore all'epoca dei fatti) si giustifica, per motivi di proporzionalità, proprio in casi come questi dove lo scarto con il salario minimo previsto dal CNL è esiguo e dove la differenza è successivamente stata versata al lavoratore. Occorre tuttavia che, ove contenga un rimprovero al destinatario di aver tenuto un comportamento illecito, questa diffida sia emanata nella forma di una decisione impugnabile (sentenza 2C_737/2010 del 18 giugno 2011 consid. 4.2 con rinvii alla dottrina e alla giurisprudenza), come del resto è avvenuto nel concreto caso. Sebbene di primo acchito una semplice diffida possa apparire severa a fronte dell'entità minima della violazione, va osservato che essa non mira principalmente a punire il destinatario ma persegue uno scopo preventivo ed educativo e, come tale, tende piuttosto a voler assicurare che questi adotti in futuro un comportamento conforme alla legge (sentenza 2C_246/2016 del 12 ottobre 2016 consid. 2.4.3.; cfr. altresì DTF 143 I 352 consid. 3.3). In quest'ottica di prevenzione generale, anche solo una diffida in presenza di lievi infrazioni delle norme sul salario minimo assume importanza per il raggiungimento dello scopo della LDist, lottare cioè contro il dumping salariale e sociale, e ciò anche se il singolo caso non assume particolare rilevanza (sentenza 2C_246/2016 citata consid. 2.4.3.; si veda altresì KURT PÄRLI, Entsendegesetz (EntsG), 2018, n. 53 seg. e n. 58 seg. all'art. 9). Tali considerazioni valgono  a fortiori se si considera che, come si vedrà e contrariamente a quanto teme la ricorrente, l'avvertimento non va comunicato alla SECO né pubblicato nell'elenco di cui all'art. 9 cpv. 3 LDist.  
 
6.4. La ricorrente adduce in effetti di essersi determinata a presentare ricorso al Tribunale federale soprattutto per "  cancellare l'ingiusta infamia " generata dalla pubblicazione da parte della SECO della sanzione inflitta in caso di contravvenzione al CNL. Sostiene che la pubblicazione della contravvenzione è una sanzione ancora più grave della stessa multa, rispettivamente dell'avvertimento pronunciato dal Tribunale amministrativo cantonale e chiede che questa Corte verifichi la costituzionalità dell'art. 9 cpv. 3 LDist e dell'art. 7 cpv. 1 lett. a LDist, tenendo conto dell'art. 68 CP (in relazione con l'art. 103 e 104 CP). Nella misura in cui chiede che venga esperito un esame di costituzionalità di una legge federale che il Tribunale federale non può svolgere (art. 190 Cost.), la censura è manifestamente inammissibile. Il timore dell'insorgente riguardo agli effetti di una possibile pubblicazione è ad ogni modo infondato poiché da una lettura congiunta degli art. 9 cpv. 3 LDist e 17a ODist emerge che l'elenco dei datori di lavoro sanzionati, stilato e pubblicato dalla SECO, contiene i nominativi dei datori di lavoro che sono stati oggetto di una multa (art. 17a cpv. 1 lett. a ODist) oppure di un divieto temporaneo di offrire i propri servizi in Svizzera (art. 17a cpv. 1 lett. b ODist). Ora nel caso concreto la ricorrente è stata solamente diffidata, ragione per cui la SECO non dovrà esserne informata e non dovrà aver luogo alcuna pubblicazione, né da parte di quest'autorità, né a livello cantonale (art. 8 cpv. 2 Regolamento della legge d'applicazione della LDist del 24 settembre 2008, RL/TI 843.310). La censura è pertanto infondata e come tale va respinta.  
 
7.  
 
7.1. La ricorrente si duole in seguito del fatto che nonostante il parziale accoglimento del suo ricorso, la decisione impugnata non le abbia riconosciuto congrue ripetibili siccome ella agiva quale avvocato in causa propria. Nemmeno in questo frangente le sue assai generiche argomentazioni permettono di provare che risultino adempiuti i presupposti di complessità della causa e di rilevante dispendio lavorativo a cui soggiace l'assegnazione di ripetibili ad un avvocato che ha agito in una causa propria (DTF 129 II 297 consid. 5; sentenza 1B_632/2020 del 17 mars 2021 consid. 4). La censura va quindi respinta.  
 
7.2. Infine, nemmeno è possibile entrare nel merito di una non meglio precisata richiesta di tenere conto, in questo frangente, del fatto che l'amministrazione pubblica avrebbe intralciato la sua libertà di agire "  a tal punto da esplicare un effetto coercitivo (...) paragonabile alla coazione mediante stalking ".  
 
7.3. Da quel che precede discende che la sentenza impugnata va integralmente confermata nel suo risultato. Il ricorso, nella misura in cui sia ricevibile, si rivela infondato e va quindi integralmente respinto.  
 
8.   
La ricorrente ha formulato un'istanza di assistenza giudiziaria nel senso di essere dispensata dal pagamento di un anticipo delle spese giudiziarie. Invitata a comprovare lo stato d'indigenza non vi ha tuttavia provveduto e ha pagato l'anticipo spese. Così stando le cose, occorre quindi prendere atto della rinuncia all'assistenza richiesta e addossare le spese secondo soccombenza (art. 66 cpv. 1 LTF; sentenza 2C_987/2018 del 23 aprile 2019 consid. 5 e rinvii). Alle autorità vincenti non vengono assegnate ripetibili (art. 68 cpv. 3 LTF). 
 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.   
Nella misura in cui è ricevibile, il ricorso è respinto. 
 
2.   
La domanda di assistenza giudiziaria è priva di oggetto. 
 
3.   
Le spese giudiziarie di fr. 2'000.-- sono poste a carico della ricorrente. 
 
4.   
Comunicazione alla ricorrente, all'Ufficio dell'ispettorato del lavoro del Dipartimento delle finanze e dell'economia, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino nonché alla Segreteria di Stato dell'economia (SECO). 
 
 
Losanna, 22 aprile 2021 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Seiler 
 
La Cancelliera: Ieronimo Perroud