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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
 
 
 
{T 0/2} 
 
2C_694/2015  
   
   
 
 
 
Sentenza del 15 febbraio 2016  
 
II Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Zünd, Presidente, 
Aubry Girardin, Donzallaz, 
Cancelliere Savoldelli. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
patrocinata dall'avv. Daniele Timbal, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Sezione della popolazione, 
Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, 
6500 Bellinzona, 
 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Revoca di un permesso di domicilio UE/AELS, 
 
ricorso in materia di diritto pubblico contro la sentenza emanata il 25 giugno 2015 dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino. 
 
 
Fatti:  
 
A.   
A.________, cittadina dominicana e (dal 2001) anche italiana, è entrata in Svizzera nel giugno 1991 per vivere con B.________, divenuto suo marito qualche anno più tardi. A partire dal 1999 la stessa è stata posta a beneficio di un permesso di domicilio CE/AELS. 
Dall'unione tra i coniugi è nato il figlio C.________; A.________ è inoltre madre di D.________, che l'ha raggiunta nel nostro Paese nell'ambito del ricongiungimento familiare. 
 
B.   
Nell'aprile 2013, A.________ è stata arrestata e posta in carcerazione preventiva; nel luglio successivo, è stata tradotta in carcere di sicurezza. 
Con sentenza 27 settembre 2013, la Corte delle assise criminali l'ha quindi riconosciuta colpevole di omicidio intenzionale tentato nei confronti di uno degli uomini con cui intratteneva una relazione extra-coniugale, che frequentava dal 1999, e l'ha condannata ad una pena detentiva di 36 mesi, di cui 18 sospesi condizionalmente con un periodo di prova di 3 anni. 
 
C.   
Con decisione del 10 aprile 2014, richiamata la condanna citata, la Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino ha revocato ad A.________ il permesso di domicilio di cui disponeva, intimandole di lasciare la Svizzera al momento della scarcerazione. 
Su ricorso, detta decisione è stata confermata sia dal Consiglio di Stato, il 12 novembre 2014, che dal Tribunale cantonale amministrativo, pronunciatosi in merito con sentenza del 25 giugno 2015. 
 
D.   
Con ricorso in materia di diritto pubblico del 24 agosto 2015, A.________ si è rivolta al Tribunale federale chiedendo: in via principale e in riforma del giudizio impugnato, la restituzione del suo permesso di domicilio e la pronuncia di un ammonimento; in via subordinata, l'annullamento del giudizio impugnato e il rinvio dell'incarto alla Corte cantonale, per nuovi accertamenti e nuovo giudizio. 
Il Tribunale cantonale amministrativo si è riconfermato nelle motivazioni e nelle conclusioni della propria sentenza. Ad essa hanno fatto in sostanza rinvio anche la Sezione della popolazione e la Segreteria di Stato della migrazione. 
 
 
Diritto:  
 
1.   
Presentata in tempo utile (art. 46 cpv. 1 lett. b e 100 cpv. 1 LTF) dalla destinataria della decisione querelata (art. 89 cpv. 1 LTF), l'impugnativa è nella fattispecie ammissibile quale ricorso in materia di diritto pubblico ai sensi degli art. 82 segg. LTF, in quanto concerne la revoca di un permesso che avrebbe altrimenti ancora effetti giuridici (art. 83 lett. c n. 2 LTF; DTF 135 II 1 consid. 1.2.1 pag. 4). 
 
2.  
 
2.1. Con ricorso in materia di diritto pubblico è tra l'altro censurabile la violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF). In via generale, confrontato con una motivazione conforme all'art. 42 LTF, il Tribunale federale applica il diritto d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF); esso non è vincolato né agli argomenti fatti valere nel ricorso né ai considerandi sviluppati dall'istanza precedente (DTF 133 II 249 consid. 1.4.1 pag. 254).  
Esigenze più severe valgono tuttavia in relazione alla denuncia della violazione di diritti fondamentali. Il Tribunale federale esamina in effetti simili censure solo se l'insorgente le ha sollevate in modo preciso (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246). 
 
2.2. Per quanto riguarda i fatti, il Tribunale federale fonda il suo ragionamento giuridico sull'accertamento svolto dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Esso può scostarsene solo se è stato eseguito in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF o in modo manifestamente inesatto, ovvero arbitrario (DTF 133 II 249 consid. 1.2.2 pag. 252). L'eliminazione del vizio indicato deve inoltre poter influire in maniera determinante sull'esito della causa (art. 97 cpv. 1 LTF).  
A meno che non ne dia motivo la decisione impugnata, il Tribunale federale non tiene nemmeno conto di fatti o mezzi di prova nuovi, i quali non possono in ogni caso essere posteriori al giudizio impugnato (art. 99 cpv. 1 LTF; DTF 133 IV 343 consid. 2.1 pag. 343 seg.). 
 
 
2.3. Visto che vengono criticati, ma mai messi in discussione con una motivazione che ne dimostri un accertamento arbitrario o altrimenti lesivo del diritto federale, e che per altro nemmeno viene dimostrato in che misura la correzione dei vizi denunciati possa essere determinante, i fatti che emergono dalla querelata sentenza vincolano il Tribunale federale anche nel caso concreto (art. 105 cpv. 1 LTF; DTF 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246; CLAUDE-EMMANUEL DUBEY, La procédure de recours devant le Tribunal fédéral, in François Bellanger/Thierry Tanquerel [ed.], Le contentieux administratif, 2013, 137 segg., 159 segg., in cui viene tra l'altro spiegato che, in difetto di una precisa critica, anche aggiunte e precisazioni con generico riferimento agli atti non possono essere considerate).  
Sempre in questo contesto occorre inoltre rilevare che il Tribunale federale non può nemmeno considerare i nuovi documenti acclusi al ricorso rispettivamente alla replica. Per quelli che portano una data precedente al giudizio impugnato non è infatti stato dimostrato per quali ragioni la loro produzione si giustificherebbe solo ora. Ad una presa in considerazione di quei documenti che portano una data successiva al giudizio impugnato si oppone per contro il divieto di presentare dei nova in senso proprio (cosiddetti "echte nova"; art. 99 cpv. 1 LTF; già citato DTF 133 IV 342 consid. 2 pag. 343 seg.). Precedenti il giudizio impugnato o successivi allo stesso, i documenti prodotti per la prima volta in replica sono nel contempo tardivi (sentenza 2C_173/2011 del 24 giugno 2011 consid. 1.3). 
 
3.   
Da un punto di vista formale, la ricorrente lamenta di non essere stata sentita personalmente e che udito non sia stato nemmeno il suo attuale compagno. A torto tuttavia. 
 
3.1. Come già ricordatole dalla Corte ticinese, dimentica infatti che l'art. 29 cpv. 2 Cost. non garantisce di principio il diritto di esprimersi oralmente dinanzi all'autorità giudicante (DTF 134 I 140 consid. 5.3 pag. 148 con rinvio; 130 II 425 consid. 2.1 pag. 428; 125 I 209 consid. 9b pag. 219).  
 
3.2. D'altra parte non spiega perché la decisione della Corte cantonale di rinunciare all'audizione del compagno - dopo avere constatato che agli atti vi era già una sua dichiarazione scritta ed avere aggiunto che la prova offerta non appariva suscettibile di apportare ulteriori elementi di rilievo per il giudizio - debba essere considerata il frutto di un apprezzamento (anticipato) delle prove insostenibile e pertanto lesivo del divieto d'arbitrio (DTF 136 III 552 consid. 4.2 pag. 560; 134 V 53 consid. 4.3 pag. 62; 134 I 140 consid. 5.3 pag. 148; 130 II 425 consid. 2.1 pag. 429).  
 
3.3. Una simile lesione non viene infine motivata in relazione all'applicazione della legge ticinese sulla procedura amministrativa del 24 settembre 2013 (LPamm; RL/TI 3.3.1.1), della quale la ricorrente si limita a richiamare il contenuto di alcuni disposti tra cui l'art. 28 LPamm, che riserva per altro espressamente l'audizione di testi a quei casi in cui i fatti non possono essere chiariti a sufficienza in altro modo (art. 28 cpv. 2 LPamm).  
 
4.   
Nel merito, la procedura riguarda la revoca del permesso di domicilio conferito a suo tempo all'insorgente. 
 
4.1. L'art. 63 cpv. 2 LStr prevede che il permesso di domicilio di uno straniero che soggiorna regolarmente e ininterrottamente da oltre 15 anni in Svizzera può essere revocato solo per i motivi di cui al capoverso 1 lett. b della medesima norma, ovvero se ha violato gravemente o espone a pericolo l'ordine e la sicurezza pubblici in Svizzera o all'estero o costituisce una minaccia per la sicurezza interna o esterna della Svizzera, rispettivamente se, in base all'art. 62 lett. b LStr, egli è stato condannato a una pena detentiva di lunga durata.  
Una violazione qualificata dell'ordine e della sicurezza pubblici è segnatamente data quando gli atti compiuti dallo straniero in discussione ledono o compromettono dei beni giuridici particolarmente importanti come l'integrità fisica, psichica o sessuale; gravemente lesive dell'ordine e della sicurezza pubblici ai sensi dell'art. 63 cpv. 1 lett. b LStr possono però essere anche più violazioni di minore entità, prese nel loro insieme (DTF 137 II 297 consid. 3 pag. 302 segg.). Una pena privativa della libertà è invece considerata di lunga durata se è stata pronunciata per più di un anno, a prescindere dal fatto che la pena comminata sia stata sospesa in tutto o in parte oppure che la stessa vada o sia stata espiata (DTF 135 II 377 consid. 4.2 pag. 379 segg.). 
 
4.2. Siccome il permesso di domicilio non è regolato nell'Accordo sulla libera circolazione delle persone e viene concesso in base alla legge federale sugli stranieri, i motivi indicati sono validi anche per la revoca di un'autorizzazione di domicilio CE/AELS (art. 2 cpv. 2 LStr; art. 5 e 23 cpv. 2 dell'ordinanza del 22 maggio 2002 sull'introduzione della libera circolazione delle persone [OLCP; RS 142.203]; sentenza 2C_831/2010 del 27 maggio 2011 consid. 2.2). In simile contesto, assume ciò nondimeno rilievo l'art. 5 Allegato I ALC, a norma del quale i diritti conferiti dall'Accordo possono essere limitati soltanto da misure giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità.  
Secondo la giurisprudenza, che si orienta alla direttiva CEE 64/221 del 25 febbraio 1964 ed alla prassi della Corte di giustizia dell'Unione europea ad essa relativa (art. 5 cpv. 2 Allegato I ALC), le deroghe alla libera circolazione garantita dall'ALC vanno interpretate in modo restrittivo. Al di là della turbativa insita in ogni violazione della legge, il ricorso di un'autorità nazionale alla nozione di ordine pubblico presuppone il sussistere di una minaccia attuale, effettiva e sufficientemente grave di un interesse fondamentale per la società. In applicazione dell'art. 5 Allegato I ALC, una condanna penale va di conseguenza considerata come motivo per limitare i diritti conferiti dall'Accordo solo se dalle circostanze che l'hanno determinata emerga un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l'ordine pubblico (DTF 134 II 10 consid. 4.3 pag. 24; 130 II 176 consid. 3.4.1 pag. 183 seg.; 129 II 215 consid. 7.4 pag. 222 con rinvii alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea). A dipendenza delle circostanze, già la sola condotta tenuta in passato può comunque adempiere i requisiti di una simile messa in pericolo dell'ordine pubblico. Per valutare l'attualità della minaccia, non occorre prevedere quasi con certezza che lo straniero commetterà altre infrazioni in futuro; d'altro lato, per rinunciare a misure di ordine pubblico, non si deve esigere che il rischio di recidiva sia praticamente nullo. La misura dell'apprezzamento dipende in sostanza dalla gravità della potenziale infrazione: tanto più questa appare importante, quanto minori sono le esigenze in merito al rischio di recidiva (DTF 137 II 233 consid. 4.3.2 pag. 30; 136 II 5 consid. 4.2 pag. 20; per una panoramica della giurisprudenza, cfr. inoltre la sentenza 2C_238/2012 del 30 luglio 2012 consid. 3.1). 
 
4.3. Anche in presenza di motivi di revoca, una tale misura si giustifica infine solo quando è proporzionata. Nell'esercizio del loro potere discrezionale, le autorità competenti tengono conto degli interessi pubblici e della situazione personale dello straniero, considerando la gravità di quanto gli viene rimproverato, la durata del suo soggiorno in Svizzera, il suo grado d'integrazione e il pregiudizio che l'interessato e la sua famiglia subirebbero se la misura venisse confermata (art. 96 LStr). Nel caso il provvedimento preso abbia ripercussioni sulla vita privata e familiare ai sensi dell'art. 8 CEDU, un analogo esame della proporzionalità va svolto inoltre anche nell'ottica di questa norma (DTF 135 II 377 consid. 4.3 pag. 381 seg.; sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in re  Trabelsi contro Germania del 13 ottobre 2011, n. 41548/06, § 53 segg.).  
Sempre in base alla giurisprudenza, per ammettere la revoca di un permesso di domicilio devono essere poste esigenze tanto più elevate quanto più lungo è il tempo vissuto in Svizzera. Anche nei confronti di stranieri nati e che hanno sempre vissuto nel nostro Paese - fattispecie che non è in casu data - una simile misura non è tuttavia esclusa e può essere adottata sia quando una persona si sia macchiata di delitti particolarmente gravi - di carattere violento, a sfondo sessuale, o in relazione con il commercio di stupefacenti - sia quando il soggetto in discussione si è reso punibile a più riprese (sentenze 2C_28/2012 del 18 luglio 2012 consid. 3; 2C_38/2012 del 1° giugno 2012 consid. 3.3 e 2C_722/2010 del 3 maggio 2011 consid. 3.2 così come la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in re  Dalia contro Francia del 19 febbraio 1998, Recueil CourEDH 1998-I pag.76 § 50 segg.). Pure in questo contesto, il primo criterio per valutare la gravità della colpa e per procedere alla ponderazione degli interessi è costituito dalla condanna inflitta (sentenze 2C_323/2012 del 6 settembre 2012 consid. 3.4 e 2C_432/2011 del 13 ottobre 2011 consid. 3.1).  
 
5.  
Tenuto conto della pena privativa della libertà pronunciata nei suoi confronti il 27 settembre 2013, la ricorrente a ragione non mette in discussione la sussistenza di un motivo di revoca del suo permesso di domicilio (art. 63 cpv. 2 in relazione con l'art. 62 lett. b LStr; precedente consid. 4.1). 
Ritiene tuttavia che la misura di revoca decisa dalla Sezione della popolazione e in seguito confermata sia dal Consiglio di Stato che dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino leda l'art. 5 Allegato I ALC e il principio della proporzionalità garantito dall'art. 96 LStr rispettivamente dall'art. 8 CEDU
 
6.   
Al pari della Sezione della popolazione, anche la Corte cantonale è partita dal principio che l'insorgente possa validamente richiamarsi all'Accordo sulla libera circolazione delle persone. Per una serie di ragioni da essa elencate nella presa di posizione del 26 novembre 2015, la Segreteria di Stato della migrazione si mostra invece di altro avviso. 
 
I motivi addotti dalla Segreteria di Stato della migrazione a sostegno della conclusione secondo cui l'Accordo sulla libera circolazione non sarebbe in casu applicabile non devono tuttavia essere ulteriormente approfonditi. Come indicato nel seguito, la decisione di revoca originariamente presa dalla Sezione della popolazione rispetta infatti anche l'art. 5 Allegato I ALC
 
7.  
 
7.1. Come correttamente rilevato anche dal Tribunale amministrativo ticinese, la sentenza del 27 settembre 2013 dà conto del fatto che, con il suo comportamento - che non è per altro lontano nel tempo, anzi è assai recente (sentenza 2C_82/2015 del 2 luglio 2015 consid. 5.2.3 con rinvii) - la ricorrente non ha esitato a mettere in pericolo la vita altrui e si è quindi macchiata di una colpa grave. Questa valutazione della colpa - che trova riscontro nella pena che le è stata inflitta (sentenze 2C_323/2012 del 6 settembre 2012 consid. 3.4 e 2C_432/2011 del 13 ottobre 2011 consid. 3.1), di parecchio superiore al limite di un anno a partire dal quale una pena privativa della libertà è considerata come di lunga durata ai sensi dell'art. 62 lett. b LStr (DTF 135 II 377 consid. 4.2 pag. 381) - non muta d'altra parte in considerazione delle argomentazioni addotte nell'impugnativa.  
 
7.1.1. Se infatti è vero che la Corte delle assise criminali ha sottolineato la situazione personale dell'insorgente al momento del compimento del reato in questione e, in questo contesto, il comportamento equivoco e poco onesto della vittima, è altrettanto vero che quella stessa Corte non ha ammesso nessuna attenuante specifica, anzi ha constatato che la ricorrente è passata all'atto senza trovarsi in situazione di pericolo e che, data la mancata collaborazione con gli inquirenti, non le ha nemmeno riconosciuto attenuazioni di pena in relazione al comportamento processuale.  
 
7.1.2. Sempre pur tenendo conto della situazione personale descritta e segnatamente della particolare situazione emotiva in cui aveva agito l'imputata, i Giudici penali hanno nel contempo rilevato che a qualificare ulteriormente la sua colpa vi era il comportamento tenuto in seguito al ferimento del compagno (offerta di medicare quest'ultimo, ma solo a causa della paura per se stessa delle conseguenze del gesto compiuto; lavaggio dei vestiti e asciugatura degli stessi nel tentativo di distruggere prove, ecc.).  
 
7.1.3. Sempre con riferimento agli argomenti contenuti nell'impugnativa, va infine rilevato che nella sentenza penale non viene accertata solo "l'intenzionalità del taglio arrecato al collo" della vittima ma viene testualmente osservato che: "forzatamente, l'imputata era cosciente della sensibilità di tale zona e, conseguentemente, dell'elevatissimo rischio di un esito letale in caso di accoltellamento, così come spiegato dalla perita medico legale che ha riferito della pericolosità della ferita se non tempestivamente soccorsa. In siffatte evenienze, visto l'elevatissimo rischio di arrecare la morte a (...), non si può che concludere che, agendo come ha fatto, ossia colpendo intenzionalmente la vittima con un coltello nella regione prossima al passaggio di organi vitali come le arterie del collo, l'imputata ha coscientemente assunto ed accettato il rischio di provocare la morte dell'uomo e si è resa, con ciò, autrice colpevole di tentato omicidio intenzionale".  
 
7.2. Oltre che secondo il diritto interno, per il quale la condanna inflitta costituisce il primo criterio per valutare la gravità della colpa, i trascorsi delittuosi della ricorrente non sono però stati considerati in maniera troppo severa nemmeno alla luce delle condizioni previste dall'art. 5 Allegato I ALC (precedente consid. 4.2).  
 
7.2.1. Come già ricordato, una condanna penale va considerata come motivo per limitare i diritti conferiti dall'ALC solo se dalle circostanze che l'hanno determinata emerga un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l'ordine pubblico (DTF 134 II 10 consid. 4.3 pag. 24; 130 II 176 consid. 3.4.1 pag. 183 seg.; 129 II 215 consid. 7.4 pag. 222 con rinvii alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea). D'altra parte, la misura dell'apprezzamento dipende dalla gravità della potenziale infrazione: tanto più questa appare importante, quanto minori sono le esigenze in merito all'ammissione del rischio di recidiva (DTF 137 II 233 consid. 4.3.2 pag. 30; 136 II 5 consid. 4.2 pag. 20; per una panoramica della giurisprudenza, cfr. inoltre la sentenza 2C_238/2012 del 30 luglio 2012 consid. 3.1).  
Ora, da un lato, quella del 27 settembre 2013 costituisce l'unica condanna penale subita dalla ricorrente; d'altro lato, occorre tuttavia sottolineare che detta pronuncia concerne un reato contro la vita della persona, ovvero uno dei crimini più gravi contemplati dal nostro ordinamento giuridico. Anche nel caso dell'insorgente, la questione della recidiva va quindi esaminata con grande rigore e, date le circostanze, la conclusione delle autorità cantonali, secondo cui un rischio in tal senso non può essere escluso, va infine condivisa. 
 
7.2.2. Come già in parte sottolineato nel considerando 7.1, nel suo giudizio la Corte delle assise criminali ha infatti constatato: come la ricorrente sia passata all'atto senza trovarsi in nessuna situazione di pericolo o angustia; come abbia preso in considerazione "di sacrificare una vita umana per il fatto di essere stata scaricata in modo sbrigativo"; come anche il suo comportamento immediatamente successivo, sia stato improntato da fini puramente egoistici.  
Nel contempo, e pur riconoscendo che la detenzione abbia fatto riflettere l'insorgente, pronunciandosi sull'aspetto della prognosi ha formulato anch'essa un giudizio solo sfumato, limitandosi a rilevare come non possa dirsi "del tutto negativa". 
 
7.2.3. Pure gli specifici appunti relativi all'applicazione dell'art. 5 Allegato I ALC contenuti nell'impugnativa non permettono infine di giungere a diverso risultato.  
Davanti al Tribunale federale l'insorgente tenta a più riprese di completare i fatti: precisando le circostanze nelle quali ha commesso il reato per cui è stata giudicata, descrivendo i mutati orientamenti personali dopo la condanna, ecc. Simili aggiunte, formulate senza presentare una censura relativa all'accertamento dei fatti stessi, sono tuttavia inammissibili (precedente consid. 2.3). Ritenuto che la Corte cantonale è giunta ad ammettere il rispetto dell'art. 5 Allegato I ALC sulla base delle pertinenti considerazioni di cui si è appena detto - ovvero su aspetti concreti, che risultano dal giudizio penale e che danno conto delle circostanze che hanno determinato la condanna in questione (motivi all'origine del compimento del reato, modalità in cui lo stesso è stato compiuto, ecc.) - nemmeno è poi possibile affermare che i Giudici cantonali si siano lasciati condurre da ragionamenti di carattere puramente preventivo. Come pertinentemente rilevato dalla Segreteria di Stato della migrazione nella presa di posizione del 26 novembre 2015, le circostanze evocate mettono in effetti in evidenza l'instabilità emozionale della ricorrente, danno conto di reazioni totalmente inadatte alle circostanze così come del concreto rischio che le stesse possono comportare per l'incolumità altrui. 
 
8.   
C ome detto, violato non è infine il principio della proporzionalità al quale la ricorrente si richiama sia in relazione al diritto interno che all'art. 8 CEDU
 
8.1. L'insorgente, poco più che cinquantenne, vive stabilmente in Svizzera dall'età di 26 anni e nel nostro Paese vivono anche i suoi due figli, di 32 e 23 anni.  
Tali importanti aspetti devono tuttavia essere relativizzati alla luce della grave violazione del codice penale di cui si è resa colpevole nelle circostanze già descritte. Il reato di omicidio intenzionale tentato comporta in effetti un interesse all'allontanamento di chi lo commette, anche nel caso tale persona sia uno straniero che da tempo soggiorna in Svizzera (precedente consid. 4.3 e la giurisprudenza ivi citata). 
 
8.2. Benché la ricorrente, cittadina dominicana e italiana, sia di diverso avviso, va d'altra parte constatato che un suo trasferimento altrove non è affatto improponibile.  
L'insorgente è nata nella Repubblica dominicana e vi ha vissuto per oltre vent'anni. In base ai fatti accertati nel giudizio impugnato (art. 105 cpv. 1 LTF), in tale luogo vivono inoltre ancora diversi parenti ed ha fatto rientro di recente. In alternativa al rientro nel Paese di origine, la ricorrente può poi trasferirsi nella vicina Penisola, dove la cultura e lo stile di vita non si discostano in maniera sostanziale da quelli cui è abituata. Un trasloco nella fascia di confine, a pochi chilometri dal suo attuale domicilio, permetterebbe inoltre il mantenimento sia delle relazioni sociali instaurate durante il soggiorno nel Cantone Ticino, sia del rapporto con i due figli maggiorenni: che non risulta essere di dipendenza e che il Tribunale amministrativo ticinese ha quindi a ragione escluso dal campo di applicazione dell'art. 8 CEDU (sentenze 2C_986/2014 del 25 febbraio 2015 consid. 7.2; 2C_733/2014 del 18 dicembre 2014 consid. 6.2.2; 2C_147/2014 del 26 settembre 2014 consid. 5.4 e 2C_901/2010 del 23 marzo 2011 consid. 5.2.3; sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in re  Emonet contro Confederazione svizzera del 13 dicembre 2007, n. 39051/03, § 35).  
 
8.3. Ad un trasferimento all'estero e segnatamente in Italia non si oppone infine il rapporto con il nuovo convivente (con il quale la ricorrente afferma di avere una relazione da una dozzina d'anni), di nazionalità italiana ed in possesso di un permesso di domicilio.  
Quand'anche detto rapporto fosse d'intensità tale da giustificare un richiamo all'art. 8 CEDU (al riguardo, cfr. la sentenza 2C_792/2012 del 6 giugno 2013 consid. 4), va infatti rilevato che il compagno dell'insorgente potrebbe senz'altro stabilirsi con lei in Italia, di modo che l'art. 8 CEDU non risulterebbe affatto leso (sentenza 2C_845/2012 del 13 febbraio 2013 consid. 5.2.2). Sempre in questo contesto, va inoltre ricordato che il diritto alla vita privata e familiare garantito dall'art. 8 CEDU può comunque essere limitato, proprio in ragione di gravi condanne quale quella pronunciata nei confronti della ricorrente con giudizio della Corte delle assise criminali del 27 settembre 2013 (sentenza 2C_323/2012 del 6 settembre 2012 consid. 6.2). 
 
9.   
Per quanto precede, nella misura in cui sia ammissibile, il ricorso dev'essere respinto. Le spese giudiziarie seguono la soccombenza (art. 66 cpv. 1 LTF). Non si assegnano ripetibili (art. 68 cpv. 3 LTF). 
 
 
 Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.   
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
 
2.   
Le spese giudiziarie di fr. 2'000.-- sono poste a carico della ricorrente. 
 
3.   
Comunicazione al patrocinatore della ricorrente, alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, nonché alla Segreteria di Stato della migrazione. 
 
 
Losanna, 15 febbraio 2016 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Zünd 
 
Il Cancelliere: Savoldelli