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[AZA 0/2] 
 
5C.67/2001 
 
II CORTE CIVILE 
**************************** 
 
4 aprile 2001 
 
Composizione della Corte: giudici federali Reeb, presidente, 
Bianchi e Nordmann. 
Cancelliere: Piatti. 
 
________ 
Visto il ricorso per riforma del 22 febbraio 2001 presentato da A.________ e B.________, Buchloe (D), attori, patrocinati dall'avv. Daniele Timbal, Lugano, contro la sentenza emanata il 17 gennaio 2001 dalla I Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino nella causa che oppone i ricorrenti ad C.________ e alla Comunione dei comproprietari del Condominio D.________, Brissago, convenuti, patrocinati dall'avv. Milo Caroni, Locarno, in materia di rapporti di vicinato; 
Ritenuto in fatto : 
 
A.- A.________ e B.________ erano comproprietari fino al 1990 in ragione di un mezzo ciascuno della particella n. XXX RFD di Brissago, sui cui sorge una casa di vacanza. Nel 1984 C.________ ha domandato la licenza edilizia per erigere un complesso denominato "D.________" sul contiguo e soprastante fondo n. YYY. In seguito a varie opposizioni dei vicini, C.________ si è segnatamente obbligato nel febbraio 1985 verso i coniugi A.________ e B.________ a erigere a monte del loro fondo un muro dell' altezza minima di 1,5 m. Egli ha poi comperato la particella n. YYY, l'ha costituita in proprietà per piani e ha venduto a terzi le singole unità. Nel marzo 1987 è stata pubblicata una variante della domanda di costruzione, che non ha suscitato opposizioni. Nell'ambito dell'edificazione del complesso a monte della particella n. XXX è stato costruito un muro di sostegno la cui altezza varia fra 2,40 e 4,96 m e che funge da terrapieno per le case soprastanti. 
 
Il 19 luglio 1988 A.________ e B.________ hanno convenuto in giudizio innanzi al Pretore di Locarno-Campagna C.________ al fine di ottenere la rifusione dei danni subiti a dipendenza della costruzione del complesso D.________, la demolizione fino all'altezza di 1,5 m del muro costruito dietro il loro fondo, subordinatamente il risarcimento del danno consistente nel minor valore della loro proprietà, e il versamento di un equo indennizzo per le molestie subite durante la costruzione. Il 30 novembre 1988 gli attori hanno pure convenuto in giudizio la Comunione dei comproprietari "D.________", chiedendo la demolizione del muro fino all'altezza di 1,5 m e in via subordinata il risarcimento del minor valore causato alla loro proprietà. Statuendo il 28 maggio 1993, dopo aver congiunto le due cause, il Pretore ha respinto entrambe le petizioni, dichiarandosi segnatamente incompetente a statuire sulla richiesta di demolizione del muro. Con decisione 28 giugno 1995 la I Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino ha parzialmente annullato il giudizio di primo grado, rinviando l'incarto al Pretore affinché accertasse se era data una violazione delle norme di piano regolatore sulle distanze. La Corte cantonale ha invece confermato la reiezione delle conclusioni tendenti al pagamento di fr. 
50'000.-- quale indennizzo per le molestie subite. Statuendo nuovamente il 19 gennaio 1996 il Pretore ha ribadito la propria incompetenza a giudicare il merito della vertenza e ha respinto le petizioni. Con sentenza 17 settembre 1997 la I Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino ha modificato il giudizio di primo grado ordinando la demolizione del muro litigioso fino a un'altezza di 1,5 m. 
 
B.- Il 10 ottobre 1997 i convenuti hanno inoltrato al Tribunale federale un ricorso per riforma e un ricorso di diritto pubblico. Essi hanno pure presentato una domanda di revisione presso l'autorità cantonale, respinta con successivo giudizio. Con sentenza 23 marzo 1999 il Tribunale federale ha parzialmente accolto il ricorso per riforma, annullando d'ufficio la sentenza impugnata, perché la stessa, pur affermando la violazione delle disposizioni edilizie, non indicava né il modo né la misura della violazione; situazione che non permetteva di stabilire la ragione per la quale era stata ordinata la demolizione del manufatto fino all'altezza di 1,50 m. Gli atti sono stati quindi rinviati ai giudici cantonali per nuova decisione. Con giudizio di stessa data il Tribunale federale ha invece dichiarato senza oggetto il ricorso di diritto pubblico. Con sentenza 17 gennaio 2001 la I Camera civile del Tribunale d'appello si è nuovamente pronunciata. Atteso che l'opera contestata è già stata giudicata lecita dalle autorità amministrative, alle quali spetta in primis l'applicazione del piano regolatore, non mette conto di rimettere in discussione quella decisione, che per una prassi costante vincola il giudice civile. Essa ha poi esaminato se il muro contestato violi l'impegno assunto dal costruttore verso gli attori, concludendo che in realtà non era stata stabilita un'altezza massima e che l'impegno dell'imprenditore edile non può ad ogni buon conto vincolare gli attuali proprietari, i quali non hanno assunto nessun obbligo del genere. 
 
C.- Il 22 febbraio 2001 A.________ e B.________hanno presentato contro quest'ultima sentenza di appello un ricorso per riforma, chiedendo al Tribunale federale di annullarla e di rinviare gli atti al Tribunale cantonale per nuova decisione e, subordinatamente, qualora la domanda di demolizione fosse improponibile, di riformarla nel senso che C.________ sia condannato a risarcire il danno nella misura di fr. 180'000.--. Lamentano che i giudici cantonali, non esaminando la violazione delle norme di piano regolatore, sono venuti meno alla sentenza di rinvio del Tribunale federale, alla quale sono vincolati. In secondo luogo, il mancato esame delle violazioni addotte è contrario agli art. 641 cpv. 2, 679 e 685 CC, i quali impongono al giudice un esame del rispetto delle disposizioni del diritto di vicinato, senza essere vincolato alle decisioni delle autorità amministrative. Premessa la violazione del piano regolatore, ben si deve ammettere che gli attori si sono tempestivamente opposti ai lavori e che il costruttore li ha proseguiti in mala fede. D'altra parte, anche l'accordo di cui al doc. A stabiliva l'altezza massima di 1,50 m: ciò era chiaramente la volontà delle parti, che non volevano derogare alle distanze legali. Vi sono inoltre sufficienti elementi probatori per ammettere che poteva essere realizzato un muro dell'altezza massima di 2 m. Infine, i giudici cantonali sarebbero incorsi in una svista manifesta: essi infatti hanno accertato che i condomini non hanno assunto l'impegno del costruttore relativo al muro; ciò che è contrario agli atti, atteso che il regolamento della PPP prevede la costruzione del muro dell'altezza di 1,50 m e la sua tolleranza e manutenzione da parte della Comunione. 
Infine, i giudici cantonali avrebbero dovuto accertare l'illecito, onde statuire sul risarcimento dei danni, qualora il muro non potesse essere demolito. Non è stata chiesta una risposta al ricorso. 
 
Considerando in diritto : 
 
1.- Interposto in tempo utile contro una decisione finale della suprema istanza cantonale in una contestazione civile, il ricorso per riforma è per principio ricevibile, atteso altresì che il valore litigioso previsto dall'art. 46 OG è ampiamente dato. 
 
 
2.- a) Gli attori lamentano innanzi tutto una violazione dell'art. 66 cpv. 1 OG, non avendo il Tribunale di appello proceduto all'accertamento richiesto nella sentenza di rinvio. 
 
b) Giusta l'art. 66 cpv. 1 OG l'autorità cantonale, a cui è stata rimandata una causa, può tener conto di nuove allegazioni, in quanto lo consenta la procedura cantonale, ma deve porre a fondamento della sua nuova decisione i considerandi di diritto contenuti nella sentenza di rinvio del Tribunale federale. Lo stesso Tribunale federale è vincolato ai considerandi di diritto della sentenza in precedenza emanata (DTF 125 III 421 consid. 2a, 116 II 220 consid. 4a). 
 
In concreto, il Tribunale federale nella precedente decisione non si è pronunciato su nessun punto in contestazione, perché il giudizio impugnato, pur accertando una violazione delle norme edilizie, non diceva nulla di preciso, segnatamente in quale misura il muro ledeva la disciplina edilizia applicabile; cionondimeno esso condannava i convenuti a demolire il muro fino ad un'altezza di 1,50 m. 
L'altezza ammessa per legge era pure contestata e dal giudizio impugnato non si poteva capire la ragione per la quale era stata determinata quell'altezza: se perché contraria alla disciplina edilizia, oppure se perché così stabilita dalle parti, oppure semplicemente perché chiesta dagli attori. 
Si pensi che ancora nella presente procedura, gli attori sostengono che l'altezza del muro poteva essere di 2 m (lett. c a pag. 20 del ricorso). In queste condizioni, il Tribunale federale non era in grado di esaminare nessuna censura e d'ufficio ha rinviato gli atti ai giudici cantonali per completazione degli accertamenti e della motivazione. 
I giudici cantonali non erano pertanto vincolati a nessun considerando del Tribunale federale e ben potevano, come hanno fatto, pronunciarsi di nuovo e liberamente sul caso senza vincoli particolari. 
 
3.- Secondo gli attori i giudici cantonali hanno violato gli art. 641 e 679 e 685 CC, ritenendo che la licenza edilizia vincola il giudice civile. È infatti il diritto federale che determina le conseguenze di una violazione delle regole sulle distanze a confine. Gli attori si sono poi tempestivamente opposti alla costruzione e non sussiste alcuna buona fede del costruttore. 
 
In concreto gli attori sembrano misconoscere che la Corte cantonale ha negato, in applicazione di diritto cantonale, che sfugge alla giurisdizione per riforma (art. 43 cpv. 1 OG), una violazione delle regole sulle distanze dal confine. Le censure addotte con il ricorso contro la nuova decisione del Tribunale d'appello a proposito delle distanze e quindi dell'applicazione delle norme di piano regolatore sono pertanto irricevibili (DTF 101 II 364 consid. 3a). Né si può rimproverare ai giudici cantonali una violazione del diritto federale per il fatto ch'essi applicano, per costante giurisprudenza, le disposizioni di piano regolatore con doppia valenza, ossia pubblica e privata, nello stesso modo e con gli stessi criteri con cui le applica l'autorità amministrativa, non scostandosi senza particolari motivi di natura viciniale, dalla sua decisione nei casi in cui già esiste: benché la decisione amministrativa non pregiudica quella civile, nulla impedisce le autorità cantonali di attenersi per principio agli stessi criteri e, se del caso alla decisione già presa in quella sede: si tratta infatti di diritto cantonale privato che i cantoni sono liberi di disciplinare e applicare, in punto alle distanze, in virtù dell'art. 686 CC (Meier-Hayoz, Commento bernese, n. 46 all'art. 680 CC). Un'eventuale censura contro l'applicazione di questi principi, trattandosi di diritto cantonale, dovrebbe ad ogni buon conto essere formulata con un ricorso di diritto pubblico e non nell'ambito della giurisdizione per riforma. La decisione impugnata, che considera conforme alle norme di piano regolatore il muro litigioso non può pertanto essere rivista e rimane confermata; per il che decadono anche le censure in punto alla tempestiva opposizione e alla mala fede del costruttore, sulle quali la sentenza impugnata non si esprime. 
 
 
4.- Gli attori adducono poi una violazione degli art. 2 CC e 18 CO per quanto concerne l'accordo intercorso fra le parti, che chiaramente stabiliva un'altezza massima. 
Inoltre la Corte cantonale è incorsa in una svista manifesta, indicando che il promotore immobiliare non ha trasmesso l'obbligo assunto alla Comunione degli attuali comproprietari del fondo. 
 
Secondo l'impegno assunto dal costruttore, il muro doveva manifestare un'altezza minima di 1,50 m. Gli attori ritengono che in quell'occasione si intendeva limitare anche l'altezza massima. I giudici cantonali, preso atto del chiaro testo di tale impegno, che solo prevedeva un'altezza minima di 1,50 m, hanno nondimeno esaminato le varie deposizioni testimoniali, giungendo alla conclusione che dalle stesse non si può concludere che le parti mirassero pure a stabilire un'altezza massima. Le censure al proposito sollevate con il ricorso per riforma, siccome rivolte contro l'apprezzamento delle prove, sono irricevibili (art. 55 cpv. 1 lett. c OG). D'altra parte, avendo i giudici cantonali accertato sulla base delle deposizioni agli atti, che tra le parti non è sorto alcun accordo, oltre a quello inerente all'altezza minima risultante dal predetto impegno non vi è più spazio per un'interpretazione oggettiva fondata sulla presumibile volontà delle parti secondo il principio dell'affidamento (cfr. DTF 118 II 365, 125 III 263 consid. 4a). Anche la critica riguardante una svista manifesta è ininfluente ai fini del presente giudizio per più ragioni: anzitutto perché essa non adempie i requisiti di motivazione previsti dall'art. 55 cpv. 1 lett. d OG. 
Inoltre i giudici cantonali hanno rilevato che, anche qualora si volesse seguire l'ipotesi secondo cui l'accordo concluso con il costruttore prevedesse un'altezza massima di 1,50 m, lo stesso non avrebbe potuto essere opposto ai condomini, che non avevano assunto questo obbligo. Questa considerazione era comunque supplementare e indipendente dall'altra secondo cui l'accordo non prevedeva un'altezza massima, di guisa che anche se si ammettesse la svista manifesta nulla cambierebbe con riferimento all'altra motivazione, che da sola basta per disattendere le domande attoree. 
Per altro verso, una svista manifesta esige che il giudice abbia omesso, contro la propria volontà, di prendere in considerazione un atto di causa, rispettivamente un fatto emergente dallo stesso. La svista dev'essere manifesta, ossia evidente e palese e senza altre giustificazioni possibili (Poudret, Commentaire de la loi fédérale d'organisation judiciaire, n. 5.3 ad art. 63 OG). Orbene, l'articolo del regolamento della PPP che sarebbe stato disatteso dai giudici cantonali è menzionato nella replica 20.4.98 degli attori, alla quale le controparti hanno duplicato mediante la comune e usuale affermazione "confermata la risposta, contestata la replica". Negli ulteriori atti non risulta che essi abbiano come che sia riconosciuto l'esistenza di quella norma di regolamento. In queste condizioni, evidentemente, non è possibile ammettere una svista manifesta da parte dei giudici cantonali. 
 
5.- Infine, gli attori rimproverano ai giudici cantonali di aver disatteso l'art. 41 CO per non essersi chinati sulla domanda subordinata di risarcimento. La censura, così come formulata, è manifestamente infondata, perché il giudizio impugnato tratta, respingendola, la domanda di risarcimento al considerando 5. L'argomentazione ricorsuale non va oltre all'asserzione che quella richiesta non è stata trattata e non mette quindi conto di esaminare oltre la motivazione addotta dai giudici cantonali per respingere la richiesta. 
 
6.- Da quanto precede, discende che il gravame s'avvera, in quanto ricevibile, manifestamente infondato e come tale va trattato. Le spese seguono la soccombenza (art. 156 cpv. 1 OG), mentre non si giustifica assegnare ripetibili ai convenuti, che non sono stati invitati a presentare una risposta. 
 
Per questi motivi 
 
il Tribunale federale 
 
pronuncia : 
 
1. Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto e la sentenza impugnata confermata. 
 
2. La tassa di giustizia di fr. 3000.-- è posta a carico dei ricorrenti. 
 
3. Comunicazione ai patrocinatori delle parti e alla I Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
Losanna, 4 aprile 2001 MDE 
 
In nome della II Corte civile 
del TRIBUNALE FEDERALE SVIZZERO: 
Il Presidente, 
 
Il Cancelliere,