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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
4A_26/2010 
 
Sentenza del 25 agosto 2010 
I Corte di diritto civile 
 
Composizione 
Giudici federali Klett, Presidente, 
Corboz, Rottenberg Liatowitsch. 
Cancelliera Gianinazzi. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
patrocinato dall'avv. Luca Guidicelli, 
ricorrente, 
 
contro 
 
B.________International, 
patrocinata dall'avv. Maura Colombo, 
opponente. 
 
Oggetto 
contratto di lavoro; mobbing, 
 
ricorso in materia civile contro la sentenza emanata 
il 2 novembre 2009 dalla II Camera civile del 
Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
 
A. 
Il 1° aprile 2000 A.________ è stato assunto da B.________ quale dichiarante doganale. 
 
A partire dal 1° gennaio 2001 egli è stato trasferito a B.________Logistics, con la funzione di collaboratore del servizio clientela presso la sede di Chiasso. A quell'epoca gli era stata anche prospettata un'attività quale acquisitore clientela presso la filiale di Como che - nelle intenzioni dell'allora responsabile della succursale chiassese - sarebbe stata aperta di lì a poco. Tale progetto non si è però realizzato. 
 
Il 1° maggio 2002 A.________ è quindi passato alle dipendenze di B.________International, succursale di Chiasso. Dopo un intenso scambio epistolare volto a definire la sua posizione in seno a tale azienda, il 1° dicembre 2003 la datrice di lavoro lo ha per finire licenziato per la scadenza legale del 31 marzo 2004. La disdetta non è stata contestata. 
 
B. 
Rimproverandole di essere venuta meno all'obbligo di protezione della sua personalità sancito dall'art. 328 CO, per essere rimasta inattiva dinanzi alle sofferenze inflittegli dalla dirigenza della succursale di Chiasso, il 29 ottobre 2004 A.________ ha convenuto B.________International dinanzi alla Pretura di Mendrisio-Sud onde ottenere il pagamento di fr. 50'000.--, oltre interessi, a titolo di risarcimento danni e torto morale. 
 
La sua pretesa è stata integralmente avversata dall'ex datrice di lavoro. 
 
Statuendo il 4 aprile 2008 il Pretore ha respinto la petizione. Anche se dalle risultanze istruttorie è emerso che l'ambiente di lavoro presso la sede di Chiasso della convenuta era effettivamente caratterizzato da tensioni, incertezza e scarsa stabilità e che ciò aveva causato notevole disagio ai dipendenti, il giudice non ha ravvisato elementi suscettibili di sostanziare l'asserito mobbing nei confronti dell'attore, ragione per cui la violazione dell'art. 328 CO è stata negata e la pretesa risarcitoria disattesa. 
 
C. 
L'impugnativa interposta da A.________ contro tale pronunzia è stata respinta dalla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino il 2 novembre 2009. 
 
D. 
Insorto il 14 gennaio 2010 dinanzi al Tribunale federale con un ricorso in materia civile, A.________ postula in via principale l'annullamento della sentenza del Tribunale d'appello e il rinvio della causa al Pretore per nuovo giudizio; in via subordinata chiede la riforma della sentenza nel senso dell'accoglimento dell'appello e, di conseguenza, della petizione. 
 
Né l'opponente né la Corte cantonale sono stati invitati a presentare una risposta. 
 
E. 
L'istanza di assistenza giudiziaria presentata unitamente al ricorso è stata respinta con decreto del 6 maggio 2010. 
 
Diritto: 
 
1. 
Interposto tempestivamente (art. 100 cpv. 1 LTF) dalla parte soccombente in sede cantonale (art. 76 cpv. 1 lett. a LTF) contro una decisione finale (art. 90 LTF) pronunciata dall'autorità ticinese di ultima istanza (art. 75 cpv. 1 LTF) in una causa civile di carattere pecuniario, concernente una controversia in materia di diritto del lavoro il cui valore litigioso supera fr. 15'000.-- (art. 72 e 74 cpv. 1 lett. a LTF), il ricorso in materia civile risulta ricevibile, perlomeno sotto questo profilo. 
 
2. 
Nello scritto inoltrato al Tribunale federale il ricorrente sostiene che, pur avendo "rettamente accertato palesi e gravi turbative della pace lavorativa [...], in particolare a detrimento del ricorrente", entrambe le istanze cantonali hanno poi erroneamente deciso che simili turbative non costituivano un caso di mobbing e dunque una violazione della sua personalità sanzionabile giusta l'art. 328 CO
 
2.1 Secondo il ricorrente, il concetto di mobbing ritenuto dalle autorità ticinesi nei rispettivi giudizi sarebbe troppo restrittivo e andrebbe "maggiormente compreso". 
Egli espone pertanto su più pagine la definizione "etimologicamente corretta" del mobbing, facendo capo anche a una pubblicazione della Segreteria di stato dell'economica Seco (Mobbing - Descrizione e aspetti legali), per giungere infine alla conclusione che "la differenza tra il concetto di mobbing delle autorità cantonali e quello sostenuto dal ricorrente è relativa all'intensità che il mobbing deve avere affinché possa essere lesivo della personalità del lavoratore e debba indurre il datore di lavoro ad adottare serie misure per eliminarlo, pena la sua responsabilizzazione per il danno così causato alla vittima del mobbing". 
 
2.2 Il ricorrente reputa "del tutto inutile [in sede federale] citare e ribadire le affermazioni dei testimoni sfilati dinanzi al giudice di prime cure", perché entrambe le autorità cantonali hanno accertato "esattamente la fattispecie": il clima di lavoro presso l'opponente prima del licenziamento del ricorrente era "notevolmente degradato per le irresponsabili scelte della dirigenza" e "sufficientemente pesante per creare le condizioni per il verificarsi di una perturbativa della personalità del ricorrente e di altri suoi colleghi". 
 
Con riferimento alla sua personale situazione il ricorrente assevera in particolare il verificarsi di tre delle tipologie di mobbing individuate dalla Seco. In primo luogo rammenta che l'opponente gli aveva proposto di diventare responsabile della costituenda filiale di Como, salvo poi rinunciare a tale progetto "per ragioni non comprovate" e imporgli di riprendere le sue normali attività. "Il fatto di averlo portato dalle stalle alle stelle e poi viceversa, è da considerarsi sia in un verso sia nell'altro un assegnamento di compiti inferiori rispettivamente superiori alle [sue] competenze". Senz'altro mobbizzante è inoltre "il fatto di prenderlo in giro con un suo fittizio coinvolgimento in una filiale mai aperta (e forse mai seriamente ipotizzata [...]) dandogli mansioni e compiti come se effettivamente questa filiale gli fosse attribuita in responsabilità [...]; ci si immagina quindi le risate che si sono fatti i vari dirigenti [...] alle [sue] spalle". Secondariamente ritiene di essere stato vittima di un isolamento sociale. Dopo essere stato "messo da parte in tutti i processi produttivi in cui almeno contrattualmente avrebbe potuto trovare occupazione; alla fine è stato privato anche del genere di lavoro per cui era stato pagato" e "con la scusa di certe ristrutturazioni interne il resto del personale è stato fisicamente raggruppato, mentre il posto di lavoro [del ricorrente] è rimasto lo stesso, ben lontano dagli altri". Da ultimo dichiara di essere stato "oggetto di tante piccole angherie profuse nei suoi confronti da una dirigenza inetta e incapace [...] tra l'altro estremamente collusa per rapporti poco professionali tra loro (matrimoni, convivenze ecc.), che l'hanno portato a una malattia psichica". 
 
2.3 In queste circostanze, pretendere da lui ulteriori prove a sostegno dell'asserito mobbing - come fatto dai giudici ticinesi - sarebbe lesivo dell'art. 8 CC, a maggior ragione se considera che il Pretore aveva rifiutato di assumere nell'incarto "prove aggiuntive", siccome non presentate nei termini e nelle forme previste dal diritto processuale civile, ciò che configura anche un formalismo eccessivo. Altrettanto scioccante e lesiva dell'art. 8 CC è poi la considerazione del Tribunale d'appello secondo la quale spettava a lui "indicare in che modo il datore di lavoro doveva correggere la situazione evitandogli le inutili sofferenze a cui invece è andato incontro." 
 
3. 
Il tenore dell'allegato ricorsuale - che critica sia il giudizio di primo grado sia quello di ultima istanza e che mescola questioni di fatto e di diritto - impone di rammentare che chi adisce il Tribunale federale è tenuto a motivare i propri argomenti conformemente alle esigenze poste da legge e giurisprudenza. Il Tribunale federale non si pronuncia su tematiche giuridiche in astratto, sulla base di fatti ipotetici, bensì riesamina, in presenza di censure debitamente motivate, l'applicazione del diritto federale (art. 95 LTF) da parte dell'ultima istanza cantonale (art. 75 cpv. 1 LTF) - e non anche delle istanze inferiori, salvo eccezioni in concreto non realizzate né tantomeno asseverate (cfr. sentenza 4A_374/2009 del 17 novembre 2009) - sulla base dei fatti così come accertati in sede cantonale, a meno che il loro accertamento non venga adeguatamente contestato (art. 97 e 105 LTF). 
 
Come verrà esposto nei successivi considerandi, lo scritto del ricorrente disattende in larga misura questi principi, ciò che lo rende in gran parte inammissibile. 
 
4. 
Tenuto conto dell'onere di allegazione e motivazione posto dall'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, la cui mancata ottemperanza conduce all'immediata inammissibilità del gravame (art. 108 cpv. 1 lett. b LTF), il Tribunale federale esamina di regola solo le censure sollevate; esso non è tenuto ad esaminare, come farebbe un'autorità di prima istanza, tutte le questioni giuridiche che si pongono (DTF 134 III 102 consid. 1.1 pag. 104 seg.). 
 
4.1 Qualora venga fatta valere la violazione del diritto privato federale, come in concreto dell'art. 328 CO, è necessario spiegare in maniera concisa perché l'atto impugnato viola il diritto federale e la motivazione dev'essere riferita all'oggetto del litigio, in modo che si capisca perché e su quali punti la decisione viene contestata (DTF 134 II 244 consid. 2.1; 133 IV 286 consid. 1.4). Ciò significa che la parte ricorrente non può limitarsi a riproporre argomenti giuridici già esposti dinanzi alle autorità cantonali, bensì deve confrontarsi criticamente con i considerandi della decisione impugnata che reputa lesivi del diritto (DTF 121 III 397 consid. 2a pag. 400; sentenza 4A_22/2008 del 10 aprile 2008 consid. 1). 
 
Le esigenze di motivazione sono ancora più rigorose quando viene fatta valere la violazione di diritti fondamentali, inclusa la violazione del divieto dell'arbitrio nell'applicazione del diritto cantonale rispettivamente nella valutazione delle prove e dell'accertamento dei fatti. Il Tribunale federale tratta infatti queste censure solo se la parte ricorrente le ha debitamente sollevate e motivate (art. 106 cpv. 2 LTF): nell'atto di ricorso occorre in particolare menzionare i fatti essenziali ed esporre in modo conciso le ragioni per le quali si ritiene che la decisione impugnata abbia leso dei diritti fondamentali, indicando precisamente quali. Solo le censure sollevate in maniera chiara e dettagliata vengono esaminate; censure di carattere appellatorio non sono ammissibili (DTF 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246). 
 
4.2 Da quanto appena esposto discende l'inammissibilità, d'acchito, degli argomenti concernenti la violazione del diritto cantonale e il formalismo eccessivo, in cui il Tribunale d'appello sarebbe incorso confermando la decisione del Pretore di non assumere agli atti le prove aggiuntive offerte dal ricorrente (cfr. consid. 2.3). Il ricorrente si limita infatti a criticare genericamente il comportamento adottato dai magistrati ticinesi senza nemmeno indicare i disposti di legge ch'essi avrebbero arbitrariamente disatteso. A ogni modo, la tesi secondo la quale il Pretore avrebbe dovuto egli stesso, d'ufficio, procedere all'assunzione delle prove che riteneva opportune si scontra con il fatto che, essendo il valore litigioso superiore a fr. 30'000.--, la causa non ha seguito la procedura speciale dell'art. 343 cpv. 2-4 CO, bensì quella ordinaria, nell'ambito della quale vigono regole ben precise circa il momento entro il quale vanno addotti i mezzi di prova, rispettivamente circa la possibilità di produrne successivamente di nuovi. 
 
La censura concernente la violazione dell'art. 328 CO è invece di per sé ammissibile, ma il ricorrente la sostanzia pressoché interamente con circostanze di fatto prive di riscontro nel giudizio impugnato. 
 
5. 
Giova allora ricordare che, in linea di principio, il Tribunale federale fonda il suo ragionamento giuridico sull'accertamento dei fatti svolto dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). 
 
5.1 Può scostarsene o completarlo solo se è stato svolto in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF o in modo manifestamente inesatto (art. 105 cpv. 2 LTF), ovvero arbitrario (art. 9 Cost.; DTF 135 III 397 consid. 1.5 pag. 401). Le parti possono censurare l'accertamento dei fatti eseguito dal tribunale inferiore alle stesse condizioni; occorre inoltre che l'eliminazione dell'asserito vizio possa influire in maniera determinante sull'esito della causa (art. 97 cpv. 1 LTF). Tocca a chi propone una fattispecie diversa da quella contenuta nella sentenza criticata il compito di esporre in maniera circostanziata il motivo per il quale ritiene adempiute queste condizioni (art. 97 cpv. 1 LTF; DTF 133 IV 286 consid. 6.2 pag. 288), tenendo ben presente che la presentazione di nuovi fatti e nuovi mezzi di prova dinanzi al Tribunale federale è inammissibile, riservato il caso in cui sia la decisione dell'autorità inferiore a darne motivo (art. 99 cpv. 1 LTF; DTF 133 III 393 consid. 3). 
 
Una critica degli accertamenti di fatto eseguiti dall'autorità cantonale che non ossequia i requisiti appena esposti rende il gravame inammissibile su questo punto (DTF 133 III 350 consid. 1.3, 393 consid. 7.1, 462 consid. 2.4). 
 
5.2 In concreto, il ricorrente non dichiara di voler contestare, siccome arbitrari, l'apprezzamento delle prove e l'accertamento dei fatti contenuti nell'atto impugnato. 
 
La versione dei fatti da lui addotta nel gravame (qui riassunta al consid. 2.2) si discosta però ampiamente da quella accertata in sede cantonale, di principio vincolante per il Tribunale federale. 
5.2.1 In particolare, la Corte d'appello ha stabilito che la direzione non aveva dato alcuna garanzia al ricorrente sull'impiego a Como e anzi lo aveva esplicitamente avvertito che si trattava di una prova e che in caso di fallimento egli sarebbe rientrato nei ranghi a Chiasso. 
Il progetto - si legge ancora nella sentenza criticata - è poi stato abbandonato per l'insufficienza del lavoro, che non permetteva di coprire i costi con gli incassi. 
Il ricorrente, come visto al consid. 2.2, descrive una situazione assai diversa. Dato che però egli si limita a contrapporre la propria versione dei fatti a quella accertata in sede cantonale, senza indicare in maniera chiara e dettagliata per quale motivo questa sarebbe manifestamente insostenibile, ovvero arbitraria (sulla nozione di arbitrio e sulle esigenze di motivazione della relativa censura cfr. DTF 133 III 585 consid. 4.1 pag. 589), i suoi argomenti risultano inammissibili e non possono venir tenuti in nessuna considerazione ai fini del presente giudizio. 
5.2.2 Lo stesso vale con riferimento all'affermazione secondo la quale egli sarebbe stato progressivamente isolato dai colleghi e vittima di tante piccole angherie da parte dei dirigenti della sede chiassese (cfr. quanto esposto consid. 2.2), priva di ogni riscontro nella sentenza impugnata. 
 
La Corte cantonale ha condiviso l'assunto secondo cui l'ambiente di lavoro in cui si trovava il ricorrente era permeato da attriti, incertezza e conflittualità. Dalle varie deposizioni testimoniali, esaminate nel loro complesso - hanno proseguito i giudici ticinesi - non è tuttavia emersa l'esistenza di una persecuzione psicologica da parte della dirigenza nei confronti del ricorrente. 
 
Dinanzi al Tribunale federale questi assevera genericamente di aver "portato la prova di continui attacchi personali, frequenti e durevoli", ma si guarda bene dall'indicare quali sarebbero concretamente gli elementi probatori suscettibili di confortare questa sua asserzione. Anzi, egli dichiara esplicitamente, come già riferito in ingresso al consid. 2.2, di reputare "del tutto inutile [in sede federale] citare e ribadire le affermazioni dei testimoni sfilati dinanzi al giudice di prime cure". 
 
6. 
Visto quanto appena esposto, la censura concernente la violazione dell'art. 328 CO va vagliata sulla scorta dei fatti accertati in maniera vincolante in sede cantonale. 
 
6.1 In primo luogo si rileva che, contrariamente a quanto lasciato intendere dal ricorrente, la nozione di mobbing ritenuta dai giudici ticinesi non solo non è in disarmonia con quella descritta nella pubblicazione Seco, ma è perfettamente conforme a quella costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza federale. 
 
Il mobbing è una forma di persecuzione psicologica che viene esercitata sul posto di lavoro da parte di colleghi o di superiori, allo scopo di provocare il licenziamento di una determinata persona o di indurla alle dimissioni. Il mobbing si definisce come una concatenazione di parole, dicerie e/o atti ostili, ripetuti di frequente su un lungo periodo, con i quali si tenta di isolare, emarginare e finanche escludere una persona al suo posto di lavoro. La vittima è sovente posta in una situazione tale per cui ogni atto considerato singolarmente, al quale un testimone ha assistito, può anche apparire sopportabile, mentre l'insieme dei vari comportamenti conduce a una significativa destabilizzazione della sua personalità. Come rettamente ricordato nel giudizio impugnato, non vi è tuttavia persecuzione psicologica per il solo fatto che esiste un conflitto nelle relazioni professionali o un cattivo clima di lavoro, né per la circostanza che un dipendente sia stato invitato a conformarsi agli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, anche in modo insistente e minaccioso, o ancora per il fatto che un superiore gerarchico non abbia soddisfatto completamente e sempre ai doveri che gli incombono nei confronti dei collaboratori e delle collaboratrici (sentenza 4A_32/2010 del 17 maggio 2010 consid. 3.2; 4A_245/2009 del 6 aprile 2010 consid. 4.2). 
 
Nel diritto privato, gli atti di mobbing sono vietati dall'art. 328 cpv. 1 CO, giusta il quale il datore di lavoro, nei rapporti di lavoro, deve rispettare e proteggere la personalità del lavoratore (sentenza 4A_32/2010 del 17 maggio 2010 consid. 3.2). In virtù di questa norma, il datore di lavoro non solo deve astenersi dal compiere lui stesso atti di mobbing, ma deve anche adottare adeguati provvedimenti affinché il lavoratore non sia vittima di mobbing da parte di altri membri del personale (sentenza 4A_128/2007 del 9 luglio 2007 consid. 2.2). 
 
Vista la sua particolarità, il mobbing è generalmente difficile da provare, sicché può venir ammesso qualora il lavoratore, gravato dall'onere probatorio, sia stato in grado di provare un insieme d'indizi convergenti (sentenza 4A_245/2009 del 6 aprile 2010 consid. 4.2). 
 
La decisione che ammette, rispettivamente nega, l'esistenza di atti di mobbing poggia comunque su di una valutazione globale delle circostanze del caso concreto, in particolare degli indizi suscettibili di rientrare nel concetto di mobbing; occorre pertanto riconoscere al giudice del merito un certo margine di apprezzamento (sentenza 4A_245/2009 del 6 aprile 2010 consid. 4.3.3). 
 
6.2 In concreto, sulla base dei fatti accertati in sede cantonale la valutazione operata nella decisione impugnata non può che venire confermata. 
 
Dalle tavole processuali è emersa una situazione di tensione e conflittualità generalizzata, della quale hanno sofferto tutti gli impiegati della sede di Chiasso. Non risulta che il ricorrente sia stato oggetto, durante un periodo prolungato, di particolari atteggiamenti vessatori da parte della dirigenza di quella sede, miranti a provocarne l'allontanamento. L'opponente non è inoltre rimasta inattiva di fronte alle carenze gestionali dei dirigenti della succursale di Chiasso. Stando a quanto accertato dai giudici d'appello - e sottaciuto nel gravame - essa si è adoperata per cercare di risolvere la situazione, rimuovendo i dirigenti rivelatisi incompetenti, proponendo al personale formazioni professionali e intavolando discussioni e trattative. Anche al ricorrente sono state proposte delle alternative professionali; le negoziazioni per una sua diversa collocazione non sono però andate a buon fine a causa della reciproca mancanza di fiducia. Va qui rilevato che il ricorrente travisa la portata dell'affermazione dei giudici cantonali secondo cui nemmeno lui sarebbe stato in grado di indicare cosa avrebbe potuto e dovuto fare meglio la datrice di lavoro. I giudici non hanno con questo voluto porre a suo carico alcunché; essi hanno semplicemente voluto dire che l'opponente si è impegnata per risolvere la situazione venutasi e creare e non si vede cosa avrebbe potuto fare di più, né il ricorrente ha fornito indicazioni al riguardo. In un simile contesto, i giudici ticinesi hanno negato di poter riconoscere valenza decisiva ai certificati medici agli atti. Anche su questo punto la loro decisione può essere condivisa; i medici curanti si sono infatti basati su quanto riferito dal paziente e sulle sue percezioni soggettive, che non consentono - da soli - di provare quale fosse la situazione oggettiva. 
 
6.3 Così stando le cose, lo stato di sofferenza in cui è venuto a trovarsi il ricorrente non può essere ricondotto a una volontà dell'opponente di distruggerlo, bensì a un infelice insieme di circostanze: la mancata realizzazione di un progetto che gli stava a cuore e nel quale si era investito con entusiasmo unita a serie carenze gestionali della dirigenza di Chiasso, che hanno condotto a una degradazione generale dell'ambiente di lavoro. Il fatto che il ricorrente abbia - comprensibilmente - risentito di questi avvenimenti, non significa tuttavia che alla datrice di lavoro possa essere rimproverata una violazione dell'obbligo di tutelare la sua personalità, che abbia messo in atto rispettivamente tollerato una persecuzione psicologica nei suoi confronti suscettibile di rientrare nel concetto di mobbing. 
 
Il rimprovero mosso ai giudici ticinesi di aver interpretato in maniera troppo restrittiva il concetto di mobbing si avvera pertanto manifestamente infondato. 
 
7. 
In conclusione, nella limitata misura in cui è ammissibile, il ricorso va respinto. 
 
Le spese giudiziarie seguono la soccombenza (art. 66 cpv. 1 LTF). All'opponente, che non è stata nemmeno invitata a determinarsi sul gravame, non spetta nessuna indennità per ripetibili. 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
 
2. 
Le spese giudiziarie di fr. 1'000.-- sono poste a carico del ricorrente. 
 
3. 
Comunicazione ai patrocinatori delle parti e alla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
 
Losanna, 25 agosto 2010 
 
In nome della I Corte di diritto civile 
del Tribunale federale svizzero 
La Presidente: La Cancelliera: 
 
Klett Gianinazzi