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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
 
 
 
{T 0/2} 
 
6B_219/2013  
   
   
 
 
 
Sentenza del 28 luglio 2014  
 
Corte di diritto penale  
 
Composizione 
Giudici federali Denys, Giudice presidente, 
Eusebio, Jacquemoud-Rossari, 
Cancelliera Ortolano Ribordy. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
patrocinato dall'avv. Luigi Mattei, 
ricorrente, 
 
contro  
 
1.  Ministero pubblico della Confederazione, via Sorengo 3, 6900 Lugano,  
2.  B.________ SpA,  
patrocinata dall'avv. Ivan Paparelli, 
opponenti. 
 
Oggetto 
Ripetuto riciclaggio di denaro; principio accusatorio e arbitrio, 
 
ricorso in materia penale contro la sentenza emanata 
il 19 novembre 2012 dalla Corte penale del Tribunale penale federale. 
 
 
Fatti:  
 
A.   
A seguito di una richiesta di assistenza giudiziaria internazionale proveniente dall'Italia nell'ambito del crollo C.________, procedimento penale condotto nei confronti, tra gli altri, di A.________ per titolo di bancarotta fraudolenta aggravata, il 19 aprile 2006 l'Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro ha segnalato al Ministero pubblico della Confederazione (MPC) un sospetto di riciclaggio di denaro. Ne è scaturita una procedura penale svizzera nel corso della quale, con atto d'accusa del 14 ottobre 2011, A.________ è stato rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale penale federale, per titolo di ripetuto riciclaggio di denaro aggravato e ripetuta falsità in documenti. 
 
In Italia, con pronuncia del 20 dicembre 2011, il Tribunale di Parma ha condannato A.________ alla pena di 7 anni di reclusione, riconoscendolo colpevole di bancarotta fraudolenta e di altri reati. Contro questa condanna è ancora pendente un ricorso. 
 
B.   
Con sentenza del 19 novembre 2012, la Corte penale del Tribunale penale federale (TPF) ha riconosciuto A.________ autore colpevole di ripetuto riciclaggio di denaro, limitatamente a 3 dei 32 capi d'accusa, nonché di ripetuta istigazione in falsità in documenti in ordine a 2 dei 3 capi d'accusa. A.________ è stato condannato alla pena pecuniaria di 180 aliquote giornaliere di fr. 110.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni, a un risarcimento equivalente, la cui pretesa è stata assegnata all'accusatrice privata B.________ SpA, nonché al pagamento di parte delle spese procedurali e di un'indennità a titolo di ripetibili in favore dell'accusatrice privata. 
 
C.   
A.________ si aggrava al Tribunale federale con un ricorso in materia penale, postulando l'annullamento della sentenza del TPF e il rinvio della causa all'autorità precedente per nuova decisione. 
 
 
Diritto:  
 
1.   
Presentato dall'imputato (art. 81 cpv. 1 LTF) e diretto contro una decisione finale (art. 90 LTF) resa in materia penale (art. 78 LTF) dalla Corte penale del Tribunale penale federale (art. 80 cpv. 1 LTF), il ricorso in materia penale, tempestivo (art. 100 cpv. 1 LTF) e interposto nelle forme richieste (art. 42 cpv. 1 LTF), è di massima ammissibile. 
 
2.   
Il ricorrente lamenta la violazione del principio accusatorio, del diritto di essere sentito e di quello a un processo equo. L'atto d'accusa ravvisava in attività distrattive a danno di due società per azioni italiane il crimine a monte del riciclaggio. Il TPF invece avrebbe trasformato l'oggetto del riciclaggio da proventi da attività distrattive a attribuzioni di bonus e buonuscita, elargite da suddette società disattendendo le regole societarie. L'insorgente ritiene pertanto di essere stato condannato per una fattispecie non contemplata nell'atto di accusa e mai prospettatagli. 
 
2.1. Secondo l'art. 9 cpv. 1 CPP, che concretizza il principio accusatorio, un reato può essere sottoposto a giudizio soltanto se, per una fattispecie oggettiva ben definita, il pubblico ministero ha promosso l'accusa contro una determinata persona dinanzi al giudice competente. Il principio accusatorio implica che il prevenuto sappia con la necessaria precisione quali fatti gli sono rimproverati e a quali pene e misure rischia di essere condannato, affinché possa adeguatamente far valere le sue ragioni e preparare efficacemente la sua difesa (DTF 126 I 19 consid. 2a pag. 21). Il giudice è vincolato ai fatti descritti nell'atto d'accusa (sul contenuto dell'atto d'accusa v. art. 324 segg. CPP), ma può scostarsi dalla relativa qualificazione (art. 350 cpv. 1 CPP), purché ne informi le parti presenti dando loro l'opportunità di pronunciarsi (art. 344 CPP). Il principio accusatorio è espressione del diritto di essere sentito, sancito dall'art. 29 cpv. 2 Cost., e può inoltre essere dedotto dall'art. 32 cpv. 2 Cost. (diritto di essere informato il più presto possibile e compiutamente sulle imputazioni contestate all'accusato) e dall'art. 6 n. 3 lett. a CEDU (diritto di essere informato della natura e dei motivi dell'accusa), che non hanno tuttavia portata distinta.  
 
2.2. In concreto l'atto d'accusa individua l'origine dei valori patrimoniali oggetto di riciclaggio in cinque distinte attività distrattive, finalizzate anche attraverso la ripetuta falsificazione di documenti contabili, commesse tra il 1994 e il 1996 dal ricorrente e altre persone nell'ambito della bancarotta fraudolenta del Gruppo C.________, ai danni di C.________ SpA e di D.________ SpA, poi confluita nella B.________ SpA. Secondo l'accusa, suddette attività sono sussumibili nel diritto svizzero sotto la fattispecie di amministrazione infedele ai sensi dell'art. 158 n. 2 CP.  
 
All'inizio del dibattimento, riferendosi al reato a monte del riciclaggio, il TPF ha prospettato all'insorgente anche la variante dell'art. 158 n. 1 CP. Esso ha quindi esaminato nel dettaglio i cinque complessi di operazioni attraverso i quali sono giunti su conti di pertinenza del ricorrente gli importi oggetto dell'accusa di riciclaggio di denaro. Contrariamente all'assunto ricorsuale, l'insorgente non è stato condannato per qualcosa di diverso da quanto contenuto nell'atto d'accusa. I fatti del reato a monte sono i medesimi: trattasi delle stesse date, degli stessi importi provenienti dalle stesse entità, con le stesse modalità e destinazioni come descritto dall'accusa. Il TPF non ha trasformato l'oggetto del reato di riciclaggio, ma si è limitato a spiegare le ragioni per cui non poteva essere ritenuto il carattere premiale delle cinque dazioni sostenuto dal ricorrente. Infatti, a fronte della tesi difensiva secondo cui le somme in questione sarebbero state versate a titolo di gratificazioni, compensi e di buonuscita, il TPF ha rilevato l'assenza di valide delibere societarie in tal senso. Tenuto conto del mancato rispetto delle norme di diritto delle società, concepite per l'appunto a tutela del patrimonio sociale, gli importi versatigli costituivano delle illecite distrazioni a danno dello stesso, realizzando gli estremi dell'appropriazione indebita secondo il diritto italiano (art. 646 del codice penale italiano), rispettivamente del crimine di amministrazione infedele aggravata giusta l'art. 158 n. 1 cpv. 3 CP del diritto svizzero. D'altra parte, il ricorrente non può ritenersi sorpreso dal richiamo alle regole del diritto societario. Infatti, già il Tribunale di Parma, la cui sentenza è stata acquisita agli atti del procedimento svizzero, pronunciatosi in prima istanza sul crimine a monte del riciclaggio e sulla medesima tesi difensiva, menzionava la mancata osservanza di specifiche norme societarie nel versamento delle pretese gratificazioni e della buonuscita. L'insorgente d'altronde neppure indica quali ulteriori e nuove prove avrebbe voluto e potuto proporre in merito, precisato che perfino il teste a discarico ha sostenuto non sussistere regolari delibere societarie per l'attribuzione delle asserite gratificazioni. In simili circostanze, non si ravvede alcuna violazione del principio accusatorio e del diritto a un processo equo. 
 
3.   
In relazione alla qualifica giuridica del reato a monte commesso in Italia, il ricorrente si duole anche della violazione del diritto di essere sentito, non essendogli possibile valutare adeguatamente il rispetto del principio della doppia punibilità a fronte delle molteplici disposizioni legali menzionate nella sentenza impugnata, che non tutte sanzionano un crimine. In tale contesto egli ravvede pure una violazione dell'art. 305 bis CP.  
 
 La censura è fuorviante, nella misura in cui il ricorrente sembra sostenere che il reato a monte del riciclaggio debba costituire un crimine sia secondo il diritto dello Stato estero in cui è stato commesso, sia secondo il diritto svizzero. In realtà l'antefatto deve costituire un crimine secondo il diritto svizzero (DTF 126 IV 255 consid. 3b/aa, recentemente ribadita nella sentenza 6B_718/2010 del 18 ottobre 2011 consid. 3.5.2, in RtiD 2012 I pag. 217). Per contro, alla luce del diritto estero, è sufficiente che esso si configuri in un atto penalmente riprensibile per il quale è comminata una pena privativa della libertà o una multa ( JÜRG-BEAT Ackermann, in Kommentar Einziehung, organisiertes Verbrechen, Geldwäscherei, vol. I, 1998, pag. 452 seg. n. 172 seg.). D'altronde, l'art. 305bis n. 3 CP, che sancisce il principio della doppia punibilità (sullo stesso v. DTF 136 IV 179 consid. 2), esige che l'atto principale, se commesso all'estero, costituisca reato e non necessariamente un crimine anche nel luogo in cui è stato compiuto. In concreto l'atto d'accusa precisa che le attività distrattive da cui provengono i valori patrimoniali del riciclaggio sono l'oggetto di una procedura penale italiana per bancarotta fraudolenta e sussumibili nel diritto svizzero sotto la fattispecie di amministrazione infedele ai sensi dell'art. 158 n. 2 CP. Dopo aver prospettato all'insorgente anche la variante di cui all'art. 158 n. 1 CP e constatata l'esistenza di una decisione di condanna italiana non passata in giudicato, il TPF ha concluso che le attività distrattive a monte del riciclaggio costituiscono secondo il diritto svizzero delle amministrazioni infedeli aggravate giusta l'art. 158 n. 1 cpv. 3 CP, ossia un crimine, mentre secondo quello italiano, ancor prima di rappresentare fatti di bancarotta fraudolenta, configurerebbero delle appropriazioni indebite ai sensi dell'art. 646 del codice penale (sentenza impugnata consid. 7.2.2 pag. 22 seg.) e quindi un atto penalmente rilevante. In tali circostanze, sono riuniti tutti gli elementi per valutare adeguatamente il rispetto del principio della doppia punibilità. 
 
4.   
Il ricorrente si duole di una motivazione contraddittoria, che renderebbe arduo comprendere quale sia il reato presupposto al riciclaggio di denaro imputatogli. In particolare in merito alla terza e quarta dazione il TPF avrebbe qualificato l'antefatto criminale di appropriazione indebita giusta l'art. 646 del codice penale italiano, in contrasto con il resto della sentenza impugnata, che riferirebbe di violazioni di regole di natura societaria, mentre per quanto concerne la quinta (e ultima) dazione l'assenza di delibere societarie non comporterebbe più un'appropriazione indebita, bensì una bancarotta distrattiva. 
 
 La censura verte unicamente sulla qualifica giuridica dell'antefatto del riciclaggio secondo il diritto italiano. In parte essa risulta da una lettura parziale della sentenza impugnata. Infatti, in relazione alla terza e quarta dazione, dopo aver ricordato le relative considerazioni delle autorità giudiziarie italiane sull'assenza di autorizzazioni degli organi sociali, nonché sul mancato rispetto delle forme, il TPF le ha definite appropriazioni indebite ai sensi dell'art. 646 del codice penale italiano, in quanto l'insorgente non era autorizzato dalla società a prelevare le somme in questione (v. sentenza impugnata pag. 30 e 33) : per il che si può solo intendere l'inesistenza di valide delibere societarie e quindi l'inosservanza delle pertinenti disposizioni del diritto delle società. Per contro, laddove la sentenza impugnata per le quattro dazioni precedenti ha ritenuto la realizzazione del reato italiano di appropriazione indebita, per quanto attiene alla quinta dazione, anch'essa ritenuta illegale perché effettuata in spregio delle norme societarie italiane, il TPF pare invero qualificare l'antefatto di bancarotta distrattiva secondo il diritto italiano. Sennonché, poiché il ricorrente di per sé non contesta la realizzazione nel diritto italiano di un reato penale (sia esso l'appropriazione indebita o la bancarotta), non v'è motivo di approfondire oltre questa pretesa contraddizione. 
 
5.   
L'insorgente censura un accertamento arbitrario dei fatti in relazione alla ritenuta sua consapevolezza dell'origine criminale delle prime due dazioni. Al riguardo, oltre a non essere suffragata da una motivazione, la conclusione del TPF sarebbe in urto con l'evidenza dei fatti, non avendo egli avuto alcun ruolo in seno alle società dalle quali provenivano i valori patrimoniali. 
 
5.1. Il riciclaggio di denaro è un reato intenzionale. Il dolo eventuale è sufficiente. Oltre all'atto vanificatorio in quanto tale, l'intenzione deve riferirsi anche all'origine criminale dei valori patrimoniali oggetto di riciclaggio. L'art. 305 bis n. 1 CP esige infatti che l'autore sappia o quanto meno debba presumere che i valori patrimoniali provengono da un crimine. Basta a tal proposito che vi siano elementi che inducano a sospettare la possibilità che i valori patrimoniali siano frutto di un antefatto penalmente rilevante. È quindi sufficiente che l'autore sia a conoscenza di circostanze che portino a intuire l'origine criminosa del denaro, non dovendo per contro sapere quale reato sia stato commesso in concreto (DTF 119 IV 242 consid. 2b).  
 
5.2. Secondo gli accertamenti della sentenza impugnata, che il ricorrente non contesta, la prima dazione di 4 miliardi di lire italiane costituisce un trasferimento da un conto intestato a H.________ SpA, società controllata dalla holding D.________ SpA di cui l'insorgente è stato consigliere di amministrazione e amministratore delegato nel periodo in parola, a un conto intestato a I.________ AG di cui il ricorrente era il beneficiario economico. Se è vero che egli non aveva alcun ruolo nella gestione della controllata, secondo quanto accertato dal TPF, che vincola il Tribunale federale (art. 105 cpv. 1 LTF), l'addetto alle registrazioni contabili di detta società, dopo aver invano interpellato il presidente del collegio sindacale, si è rivolto proprio all'insorgente per denunciare la carenza di giustificazione relativamente alla registrazione di fatture per l'importo in questione. Risulta peraltro che la somma avrebbe dovuto essere incassata proprio dalla holding in ragione di un mutuo da questa contratto in favore, in ultima analisi, della società controllata, ciò che il ricorrente non poteva non sapere. Per il TPF quest'ultimo era quindi consapevole dell'origine criminosa del denaro pervenutogli. Alla luce di questi dati, si rivela priva di consistenza la censura di carenza di motivazione.  
 
Quanto alla consapevolezza dell'origine criminale dei valori patrimoniali poi riciclati, il relativo accertamento non appare insostenibile. Informato delle lacune contabili della società erogatrice per carenza di causali, il ricorrente, destinatario dell'importo in questione e organo della società a cui sapeva doveva confluire tale denaro, era a conoscenza di circostanze che dovevano perlomeno fargli intuire l'origine criminosa dei valori patrimoniali ai sensi dell'art. 305bis n. 1 CP
 
5.3. Relativamente al secondo importo giunto sui suoi conti, il TPF ha accertato che esso trae l'origine da un trasferimento di 1.5 miliardi di lire italiane da una relazione bancaria intestata a C.________ SpA a una intestata a J.________ Ltd., aperta dal ricorrente e sulla quale aveva procura. Da quest'ultima circa 300 milioni di lire italiane sono pervenuti su conti di spettanza dell'insorgente senza causale lecita, precisato che, secondo il TPF, non potevano seriamente costituire un compenso per aver messo a disposizione di C.________ SpA i suoi conti in Svizzera per un'operazione della quale egli ha dichiarato di non conoscere assolutamente nulla. I restanti 1.2 miliardi l'insorgente li ha trasferiti presso un'altra banca, senza tuttavia sapere a chi erano per finire confluiti. Nelle scritture contabili di C.________ SpA, il bonifico miliardario è stato registrato quale rimborso prestito alla J.________ Ltd. per conto della D.________ SpA, che ha poi rimborsato la somma a C.________ SpA. I primi giudici hanno pure rilevato i nomi fuorvianti dei conti interessati dalle varie operazioni, tra cui due relazioni bancarie intestate a J.________ Ltd., la prima con il ricorrente quale avente economicamente diritto, la seconda con C.________ SpA. Sennonché, l'insorgente a quell'epoca non rivestiva alcun ruolo né in J.________ Ltd. né in C.________ SpA. Hanno quindi evidenziato la nebulosità di tutta l'operazione, che palesava la volontà del ricorrente di creare l'illusione che la stessa avesse un sostrato economico legale, nascondendo la reale natura distrattiva del costrutto finanziario.  
 
Risulta quindi che l'insorgente ha trattenuto 300 milioni dei complessivi 1.5 miliardi di lire italiane. Trattasi di una percentuale (il 20 % del totale) manifestamente eccessiva per un'operazione regolare, senza relazione alcuna con l'attività da lui effettuata (l'asserita semplice messa a disposizione di conti in Svizzera) e, contrariamente all'opinione del ricorrente, invero anomala ed esagerata. Del resto egli ha dichiarato di ignorare tutto dell'operazione, perfino l'identità della persona a cui ha trasferito la somma di 1.2 miliardi. Inconferente al riguardo appare poi l'obiezione ricorsuale relativa al mancato perseguimento di funzionari bancari per carente diligenza in operazioni finanziarie, o del beneficiario finale di questo importo per riciclaggio di denaro: a lui non sono stati imputati né una carente diligenza in operazioni finanziarie né il riciclaggio della somma trasferita. Questi aspetti risultano comunque pertinenti per determinare se l'insorgente sapesse, o dovesse quanto meno presumere, l'origine criminosa dei 300 milioni oggetto dell'accusa di riciclaggio. A questo scopo, come rilevato dal ricorrente, appare invece improprio il richiamo alla registrazione contabile dell'iniziale trasferimento, non avendo egli avuto alcun ruolo in C.________ SpA e quindi nemmeno accesso alle sue scritture contabili. Risulta però che D.________ SpA, di cui all'epoca egli era consigliere d'amministrazione e amministratore delegato, in un secondo tempo ha rimborsato a C.________ SpA il prestito in questione. Rimangono anche oscure le ragioni per cui i soldi di quest'ultima dovessero transitare in Svizzera su conti dell'insorgente dai nomi "a dir poco fuorvianti", come rilevato dal TPF. Il ricorrente non si confronta con l'argomentazione di quest'ultimo sul carattere fuorviante dei conti e delle società coinvolte nell'intera operazione, ossia della J.________ Ltd. e della C.________ SpA nelle quali all'epoca non rivestiva alcun ruolo. Alla luce di quanto precede la conclusione dell'autorità precedente, laddove ha rilevato la volontà di creare l'illusione sulla legalità dell'operazione e di nascondere la natura distrattiva del costrutto, non è arbitraria. Sicché non appare contrario al diritto ritenere che il ricorrente sapeva o doveva presumere l'origine criminosa del denaro. 
 
 
6.   
Ne segue che il ricorso dev'essere respinto. 
 
Le spese giudiziarie seguono la soccombenza e sono quindi poste a carico del ricorrente (art. 66 cpv. 1 LTF). Non si assegnano ripetibili agli opponenti, non invitati a presentare una risposta al gravame (art. 68 LTF). 
 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.   
Il ricorso è respinto. 
 
2.   
Le spese giudiziarie di fr. 4'000.-- sono poste a carico del ricorrente. 
 
3.   
Comunicazione ai patrocinatori delle parti, al Ministero pubblico della Confederazione e alla Corte penale del Tribunale penale federale. 
 
 
Losanna, 28 luglio 2014 
 
In nome della Corte di diritto penale 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Giudice presidente: Denys 
 
La Cancelliera: Ortolano Ribordy