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Ecriture agrandie
 
 
Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
 
 
 
4A_47/2022  
 
 
Sentenza del 23 novembre 2022  
 
I Corte di diritto civile  
 
Composizione 
Giudici federali Hohl, Presidente, 
Kiss, Pontarolo, Giudice supplente, 
Cancelliere Piatti. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
patrocinata dall'avv. Nadir Guglielmoni, 
ricorrente, 
 
contro 
 
B.________, 
patrocinata dall'avv. Fabio Nicoli, 
opponente. 
 
Oggetto 
licenziamento abusivo, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 13 dicembre 2021 dalla II Camera civile del Tribunale d'appello del 
Cantone Ticino (12.2020.119). 
 
 
Fatti:  
 
A.  
Nel 2007 l'associazione B.________ ha assunto A.________ quale soccorritrice diplomata. In seguito costei ha cambiato funzione e grado di occupazione e frequentato dei corsi di perfezionamento professionale nel ramo infermieristico. Dal marzo del 2012 ha rivestito la funzione di capo intervento livello senior con un grado di occupazione del 60 % e un salario mensile base di fr. 3'588.60 oltre indennità. Dal maggio 2012 la datrice di lavoro l'ha impiegata quale soccorritore livello juniore il 14 giugno 2012 ha disdetto il contratto di lavoro con effetto dal 30 settembre 2012. Il 22 giugno 2012 A.________ ha formalmente contestato la disdetta, ritenendola abusiva (art. 336b CO).  
 
B.  
Esperito, invano, il tentativo di conciliazione davanti all'Ufficio di conciliazione in materia di parità dei sessi, con petizione del 15 ottobre 2013 A.________ ha convenuto in giudizio B.________, chiedendo di accertare l'abusività della disdetta del contratto di lavoro e di condannare la convenuta al pagamento di fr. 21'531.60 oltre interessi a titolo di indennità secondo l'art. 336a CO. Il 3 gennaio 2014 la convenuta ha proposto di respingere la petizione. Statuendo il 24 agosto 2020, il Pretore del distretto di Riviera ha respinto la petizione. 
 
C.  
Con appello del 24 settembre 2020 l'attrice ha domandato, in riforma del giudizio pretorile, di accogliere la petizione. Il 29 ottobre 2020 la convenuta ha proposto il rigetto del gravame. Con sentenza del 13 dicembre 2021 la II Camera civile del Tribunale di appello del Cantone Ticino ha respinto il rimedio. Secondo la Corte cantonale la disdetta ordinaria del contratto di lavoro non era abusiva e la decisione di attribuire all'attrice, nell'ambito della riorganizzazione, in un primo tempo nuove mansioni e, in seguito, di interrompere il rapporto d'impiego era sostenibile e scaturente da circostanze aziendali e da scelte personali della lavoratrice. In un'occasione il direttore sanitario dell'associazione si era espresso con toni e modi tipici di una molestia secondo l'art. 4 della legge federale sulla parità dei sessi (RS 151.1; LPar). La dipendente, tuttavia, aveva chiesto solo di accertare l'abusività del licenziamento e di condannare la convenuta al versamento di un'indennità secondo l'art. 336a CO, onde il rigetto del gravame. 
 
 
D.  
Con ricorso in materia civile del 31 gennaio 2022 A.________ chiede, in riforma del giudizio impugnato, di accogliere integralmente la sua petizione e di condannare la controparte al versamento in suo favore di ripetibili per tutti i gradi di giurisdizione. In subordine, chiede di rinviare la causa all'istanza inferiore per nuovo giudizio. 
Con risposta del 28 marzo 2022 l'opponente ha proposto di respingere il ricorso. L'autorità cantonale ha rinunciato a presentare osservazioni. 
 
 
Diritto:  
 
1.  
Il ricorso in materia civile è presentato tempestivamente (combinati art. 46 cpv. 1 lett. c e 100 LTF) dalla parte soccombente nella procedura cantonale (art. 76 cpv. 1 lett. a LTF) ed è volto contro una sentenza finale (art. 90 LTF) emanata su ricorso dall'autorità ticinese di ultima istanza (art. 75 LTF) in una causa civile in materia di diritto del lavoro (art. 72 cpv. 1 LTF). Il valore litigioso supera altresì la soglia di fr. 15'000.-- prevista dall'art. 74 cpv. 1 lett. a LTF. Sotto questo profilo il ricorso è ricevibile. 
 
2.  
Il Tribunale federale applica d'ufficio il diritto federale (art. 106 cpv. 1 LTF). Tuttavia, tenuto conto dell'onere di allegazione e motivazione imposto dal l'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, di regola considera solo gli argomenti proposti nell'atto di ricorso, fatti salvi i casi di errori giuridici manifesti (DTF 140 III 86 consid. 2). Giusta l'art. 42 cpv. 2 LTF nei motivi del ricorso occorre spiegare in modo conciso perché l'atto impugnato viola il diritto. Un ricorso non sufficientemente motivato è inammissibile (DTF 143 II 283 consid. 1.2.2; 142 III 364 consid. 2.4). Per soddisfare le esigenze di motivazione, il ricorrente deve confrontarsi con l'argomentazione della sentenza impugnata e spiegare in cosa consista la violazione del diritto. Egli non può limitarsi a ribadire le posizioni giuridiche assunte durante la procedura cantonale, ma deve criticare i considerandi del giudizio attaccato che ritiene lesivi del diritto (sentenza 4A_273/2012 del 30 ottobre 2012 consid. 2.1, non pubblicato in DTF 138 III 620). 
 
3.  
Il Tribunale federale fonda il suo ragionamento giuridico sugli accertamenti di fatto svolti dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF), che sono vincolanti. A questi appartengono sia le constatazioni concernenti le circostanze relative all'oggetto del litigio sia quelle riguardanti lo svolgimento della procedura innanzi all'autorità inferiore e in prima istanza, vale a dire gli accertamenti che attengono ai fatti procedurali (DTF 140 III 16 consid. 1.3.1, con riferimenti). Il Tribunale federale può unicamente rettificare o completare l'accertamento dei fatti dell'autorità inferiore, se esso è manifestamente inesatto o risulta da una violazione del diritto ai sensi del l'art. 95 LTF (art. 105 cpv. 2 LTF). "Manifestamente inesatto" significa in questo ambito "arbitrario" (DTF 140 III 115 consid. 2; 135 III 397 consid. 1.5). La parte che critica la fattispecie accertata nella sentenza impugnata deve sollevare la censura e motivarla in modo preciso, come esige l'art. 106 cpv. 2 LTF (DTF 140 III 264 consid. 2.3, con rinvii). Essa deve spiegare in maniera chiara e circostanziata in che modo queste condizioni sarebbero soddisfatte (DTF 140 III 16 consid. 1.3.1, con rinvii). Se vuole completare la fattispecie deve dimostrare, con precisi rinvii agli atti della causa, di aver già presentato alle istanze inferiori, rispettando le regole della procedura, i relativi fatti giuridicamente pertinenti e le prove adeguate (DTF 140 III 86 consid. 2). Se la critica non soddisfa queste esigenze, le allegazioni relative a una fattispecie che si scosta da quella accertata non possono essere prese in considerazione (DTF 140 III 16 consid. 1.3.1). L'eliminazione del vizio deve inoltre poter essere determinante per l'esito del procedimento (art. 97 cpv. 1 LTF). 
Nella parte intitolata "Nel merito, Fatti" del suo ricorso, la ricorrente espone una propria narrazione, con cui completa in parte i fatti accertati dalla Corte di appello. Su questo punto il ricorso ignora i suddetti requisiti di motivazione che permettono al Tribunale federale di scostarsi dalla fattispecie accertata nella sentenza impugnata ed è perciò inammissibile. 
 
4.  
 
4.1. Il Tribunale d'appello ha confermato la decisione del Pretore, che non ha ravvisato nei tempi del licenziamento e nel comportamento assunto dalla datrice di lavoro gli elementi per considerare abusiva la disdetta ordinaria del contratto di lavoro. Come emergeva da varie testimonianze la datrice di lavoro, che aveva profuso un certo sforzo nella gestione delle resistenze sorte e delle tensioni insite nel processo di riorganizzazione aziendale da lei avviato, non poteva essere considerata inadempiente. Lo scetticismo e la contrarietà ad alcuni aspetti di quella riorganizzazione non erano una prerogativa della convenuta, ma apparivano assai diffusi tra i dipendenti. La datrice di lavoro aveva promosso incontri per raccogliere il parere dei dipendenti; in tali occasioni, l'attrice aveva potuto confrontarsi ed esprimere un'opinione contraria e la sua forte sfiducia in modo compiuto e schietto e con una certa tensione ed emotività, che la datrice di lavoro aveva recepito e adeguatamente considerato. La decisione di attribuirle dapprima nuove mansioni e poi di interrompere il rapporto di lavoro aveva una motivazione sostenibile, dipendente dalle circostanze aziendali e da scelte personali della lavoratrice. Perciò l'agire della datrice di lavoro non poteva essere considerato un atto di ritorsione verso quest'ultima. Nemmeno la coincidenza temporale tra una richiesta scritta di tutela e la data della disdetta permetteva, in assenza di ulteriori elementi probanti, di sovvertire quella conclusione.  
 
4.2. La ricorrente rimprovera alla Corte cantonale di aver accertato i fatti in modo arbitrario. Evidenzia anzitutto che non vi sarebbero elementi per concludere che il suo atteggiamento scettico avrebbe comportato il suo licenziamento. La Corte cantonale avrebbe poi omesso arbitrariamente di chinarsi sulle incomprensioni che erano sorte fra lei e il caposervizio, a causa delle quali lei avrebbe chiesto la tutela della sua personalità, e che per finire avrebbero dettato il suo licenziamento. La ricorrente riconosce che vi sarebbero stati degli incontri per raccogliere il parere dei dipendenti sulla riorganizzazione aziendale, ma contesta che la datrice di lavoro abbia adottato sufficienti e adeguate misure volte a comprendere e ad appianare le tensioni " tangibili e conosciute " tra di lei e il caposervizio, e a tutelarla di fronte al trattamento discriminatorio subìto. Asserisce che, per stemperare i dissidi fra lei e il suo superiore, il direttore sanitario avrebbe riferito di un unico colloquio, non due. Anche il caposervizio avrebbe alluso a un solo incontro, in cui sarebbe emersa la possibilità d'un licenziamento, ma non si sarebbe tentato di risolvere il conflitto tra i due. Inoltre, la scelta di affrontare la discussione concernente le problematiche tra lei e il caposervizio durante i colloqui predisposti per altri scopi (valutazione annuale del personale e discussione della nuova organizzazione aziendale) avrebbe impedito ai soggetti coinvolti di esprimersi liberamente e compiutamente e alla datrice di lavoro, di comprendere il conflitto e di porvi rimedio. Infine la ricorrente sottolinea il breve tempo trascorso tra gli incontri di maggio del 2012 e la disdetta del 14 giugno 2012, a suo avviso insufficiente per permettere di comprendere i contrasti tra i dipendenti, che perduravano da tempo, e per rimediarvi con provvedimenti idonei e che il suo licenziamento era avvenuto subito dopo l'inoltro di una richiesta scritta di tutela della personalità.  
 
4.3. Se le parti criticano la valutazione delle prove operata dal tribunale inferiore, il Tribunale federale interviene in tale ambito solo se essa è arbitraria. Secondo la giurisprudenza, l'arbitrio non è dato, se anche un'altra soluzione sia da considerare o sia addirittura preferibile, ma solo se la decisione impugnata è palesemente insostenibile, contraddice chiaramente la situazione reale, viola palesemente una norma o un principio giuridico indiscusso, o contraddice in modo scioccante il comune senso di giustizia (DTF 147 IV 73 consid. 4.1.2; 141 III 564 consid. 4.1; 140 III 16 consid. 2.1 tutte con rinvii). La valutazione delle prove non è quindi già arbitraria se non corrisponde alla rappresentazione del ricorrente, ma solo se è palesemente insostenibile (DTF 141 III 564 consid. 4.1; 135 II 356 consid. 4.2.1). Ciò si verifica se il giudice ha evidentemente frainteso il significato e la portata delle prove, se ha trascurato, senza alcuna ragione di fatto, prove importanti essenziali per la decisione o se ha tratto conclusioni insostenibili sulla base dei fatti accertati (DTF 148 I 127 consid. 4.3 pag. 135; 147 V 35 consid. 4.2; 140 III 264 consid. 2.3). Il ricorrente deve spiegare in modo chiaro e dettagliato nel gravame perché la valutazione delle prove è arbitraria (DTF 134 II 244 consid. 2.2; sentenza 4A_396/2021 del 2 febbraio 2022 consid. 2.3). In particolare, non è sufficiente citare singoli elementi di prova che devono essere ponderati diversamente rispetto alla decisione impugnata e sottoporre la propria opinione al Tribunale federale in modo appellatorio, come se potesse riesaminare i fatti liberamente (cfr. DTF 140 III 264 consid. 2.3; 116 Ia 85 consid. 2b; sentenza 4A_431/2021 del 21 aprile 2022 consid. 2.3).  
Nella fattispecie la critica ricorsuale di natura meramente appellatoria si rivela inammissibile. Con l'affermazione, peraltro priva di riscontri oggettivi, che le incomprensioni con il caposervizio avrebbero motivato il suo licenziamento, la ricorrente si limita ad opporre la sua opinione a quella dell'autorità inferiore. Ella nemmeno contesta il giudizio della Corte cantonale laddove evoca l'escussione di vari testi prima di concludere che la datrice di lavoro aveva "profuso un certo sforzo nella gestione delle resistenze sorte e delle tensioni insite nel processo di riorganizzazione aziendale avviato". Nemmeno indica un qualsiasi riscontro probatorio per l'asserto secondo cui la discussione dei problemi con il caposervizio sarebbe avvenuta in occasione di colloqui che avrebbero impedito agli interessati di esprimersi liberamente e compiutamente. Per far apparire arbitrari gli accertamenti della sentenza impugnata non basta neppure affermare che il direttore sanitario e il caposervizio abbiano nelle proprie deposizioni alluso a un solo colloquio o semplicemente negare che vi fosse una coincidenza temporale fra la disdetta del contratto e la richiesta di tutela della personalità. Ne segue che la ricorrente non è riuscita a dimostrare l'arbitrarietà dell'accertamento di fatto (DTF 136 III 513 consid. 2.3; 130 III 699 consid. 4.1 pag. 702) della Corte cantonale secondo cui la sua opposizione alla riorganizzazione aziendale fosse rilevante per il suo licenziamento e che questo dipendeva da circostanze aziendali e da scelte personali della lavoratrice e non era una rappresaglia, mancando in sostanza un nesso di causalità fra la disdetta e la richiesta di tutela della personalità (cfr. a tale proposito: sentenze 4A_215/2022 del 23 agosto 2022 consid. 4.1, con rinvii; 4A_293/2019 del 22 ottobre 2019 consid. 3.5.1, con rinvii). 
 
5.  
 
5.1. La Corte cantonale ha accertato che con riferimento alla capacità dell'attrice di gestire lo stress lavorativo il direttore sanitario l'aveva apostrofata con: " ha l'utero ", e ha concluso che quell'esclamazione, proferita durante un incontro annuo per la valutazione individuale dei dipendenti, che si inseriva pure in un processo di riorganizzazione e valutazione del personale con il supporto di una società di consulenza, configurava una molestia giusta l'art. 4 LPar subìta dalla dipendente. L'attrice, ha proseguito, non aveva contestato il licenziamento entro il termine previsto dall'art. 10 cpv. 3 LPar, visto che l'istanza era stata inviata un giorno dopo la sua scadenza prevista il 30 settembre 2012. In ogni caso il rimedio era da respingere, poiché con l'istanza di conciliazione e con la petizione l'attrice aveva chiesto di accertare l'abusività del licenziamento e la condanna al pagamento di un'indennità secondo l'art. 336a CO, non di una secondo l'art. 5 o l'art. 10 LPar. Né bastava un vago accenno all'art. 5 cpv. 4 LPar inserito nelle conclusioni, per giunta privo d'un riferimento alla richiesta della relativa indennità. Anche con l'appello, infine, la lavoratrice aveva fatto valere una domanda di indennità secondo l'art. 336a CO. In simili condizioni il Pretore non avrebbe comunque potuto accogliere l'istanza malgrado l'agire discriminatorio o lesivo della personalità secondo la LPar.  
 
5.2.  
 
5.2.1. Secondo l'art. 336 cpv. 1 CO la disdetta è ad esempio abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell'azienda (lett. a), o perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro (lett. d). Giusta l'art. 336a CO la parte che disdice abusivamente il rapporto di lavoro deve all'altra un'indennità (cpv. 1), che è stabilita dal giudice, tenuto conto di tutte le circostanze, ma non può superare l'equivalente di sei mesi di salario del lavoratore; sono salvi i diritti al risarcimento del danno per altri titoli giuridici (cpv. 2).  
 
Conformemente all'art. 3 cpv. 1 LPar nei rapporti di lavoro, uomini e donne non devono essere pregiudicati né direttamente né indirettamente a causa del loro sesso, segnatamente con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare o a una gravidanza. L'art. 4 LPar definisce comportamento discriminante qualsiasi comportamento molesto di natura sessuale o qualsivoglia altro comportamento connesso con il sesso, che leda la dignità della persona sul posto di lavoro. Se la discriminazione consiste nel rifiuto di un'assunzione o nella disdetta di un rapporto di lavoro disciplinato dal Codice delle obbligazioni, la persona lesa può pretendere soltanto un'indennità, stabilita tenuto conto di tutte le circostanze e calcolata in base al salario presumibile o effettivo (art. 5 cpv. 2 LPar). Nel caso di discriminazione mediante molestia sessuale, il tribunale o l'autorità amministrativa può parimenti condannare il datore di lavoro e assegnare al lavoratore un'indennità, stabilita considerando tutte le circostanze, in base al salario medio svizzero, a meno che il datore di lavoro provi di aver adottato tutte le precauzioni richieste dall'esperienza e adeguate alle circostanze, che ragionevolmente si potevano pretendere da lui per evitare simili comportamenti o porvi fine (art. 5 cpv. 3 LPar). Qualora la discriminazione avvenga mediante scioglimento di rapporti di lavoro disciplinati dal Codice delle obbligazioni o mediante molestie sessuali, l'indennità prevista ai cpv. 2 o 3 non eccede l'equivalente di sei mesi di salario (art. 5 cpv. 4 seconda frase LPar). Sono salve le pretese di risarcimento del danno e di riparazione morale, nonché le pretese contrattuali più estese (art. 5 cpv. 5 LPar). 
 
5.2.2.  
 
5.2.2.1. Per la validità di una disdetta di un contratto di lavoro non sono di principio richiesti motivi particolari, poiché il diritto svizzero del lavoro si basa sul principio della libertà di licenziamento (DTF 136 III 513 consid. 2.3; 132 III 115 consid. 2.1, con rinvii). La disdetta è abusiva solo se viene pronunciata per delle ragioni inammissibili, descritte all'art. 336 CO, il cui elenco non è esaustivo. Tale norma concretizza il divieto generale di abuso di diritto e lo munisce di conseguenze giuridiche adatte al contratto di lavoro (DTF 136 III 513 consid. 2.3; 132 III 115 consid. 2.1).  
 
5.2.2.2. La LPar protegge i lavoratori contro due tipi particolari di disdetta abusiva: quella discriminante (art. 336 cpv. 1 lett. a CO) e quella data per rappresaglia (art. 336 cpv. 1 lett. d CO). Vi è disdetta discriminante se un lavoratore è licenziato per un motivo legato al sesso (art. 3 cpv. 2 LPar). Vi è invece disdetta data per rappresaglia se un lavoratore è licenziato perché si lamenta sul posto di lavoro, davanti a un'autorità di conciliazione o dinanzi a un tribunale di aver subìto una discriminazione vietata dalla LPar (art. 10 cpv. 1 LPar), ad es. perché ha chiesto al datore di lavoro di porre fine a una discriminazione salariale oppure perché ha rifiutato le avances sessuali del suo superiore. In entrambi i casi l'interessato può esigere il versamento di un indennizzo da parte del datore di lavoro, non superiore a un importo pari a sei mesi di salario (art. 5 cpv. 2 e 4 LPar; cfr. WOLFGANG PORTMANN / ROGER RUDOLF, in: Basler Kommentar Obligationenrecht I, 7a ed. 2020, n. 35 seg. ad art. 336 CO; RÉMY WYLER / BORIS HEINZER, Droit du travail, 4a ed. 2019, pag. 1125; JEAN-PHILIPPE DUNAND, in: Dunand / Mahon [a cura di], Commentaire du contrat de travail, 2013, n. 3 ad art. 336 CO; KARINE LEMPEN, Le harcèlement sexuel sur le lieu de travail et la responsabilité civile de l'employeur, 2006, pag. 264 seg.).  
 
5.2.2.3. L'indennità prevista dall'art. 5 cpv. 2 e 4 LPar non può essere cumulata con quelle stabilite dagli art. 336ae 337c cpv. 3 CO; il giudice può accordare solo un'indennità, al massimo pari a sei mesi di salario, che è fissata in funzione delle circostanze. La LPar costituisce una legge speciale rispetto alle norme del CO, e il lavoratore ha diritto a un'unica indennità per la medesima lesione (DTF 126 III 395 consid. 7b/aa con rimandi; sentenza 4C.289/2006 del 5 febbraio 2007 consid. 6.1; WYLER / HEINZER, op. cit., pag. 1126; GABRIEL AUBERT, in: Aubert / Lempen [a cura di], Commentaire de la loi sur l'égalité entre femme et homme, 2011, pag. 140 seg., n. 62-65 ad art. 5 LPar; KARINE LEMPEN, Aperçu de la jurisprudence relative au harcèlement sexuel, in: AJP 11/2006, pag. 1411 seg.; MONIQUE COSSALI SAUVAIN, La loi fédérale sur l'égalité entre femme et homme, in: Aubert e altri [a cura di], Journée 1995 de droit du travail et de la sécurité sociale, 1999, pag. 72 segg.). L'indennità prevista dall'art. 5 cpv. 3 LPar può per contro essere cumulata con quella relativa alla disdetta discriminante (art. 5 cpv. 2 LPar), visto che i due indennizzi riguardano circostanze diverse, ancorché entrambe abbiano funzione punitiva e risarcitoria (cfr. WYLER / HEINZER, op. cit., pag. 1126; AUBERT, op. cit., pag. 141, n. 67 ad art. 5 LPar; sulla doppia funzione dell'indennità secondo l'art. 5 cpv. 2 LPar: DTF 131 II 361 consid. 4.4).  
 
5.3.  
 
5.3.1. La ricorrente rimprovera alla Corte cantonale di aver violato il diritto federale per aver negato un'indennità fondata sulla discriminazione da lei subìta. L'azione di contestazione della disdetta, prosegue, sarebbe stata tempestiva, poiché il giorno di scadenza del termine di disdetta (30 settembre 2012) era una domenica e il termine si sarebbe riportato al 1° ottobre 2012, primo giorno feriale valido (art. 78 CO). In ogni caso il termine per l'introduzione dell'azione, di 180 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, sarebbe stato rispettato. Ella avrebbe inoltre potuto chiedere un'indennità in virtù degli art. 5 cpv. 2 o 4 LPar o sull'art. 336 CO. Una simile istanza di indennizzo sarebbe stata fondata sia dal profilo dell'art. 336 cpv. 1 lett. d CO, sia da quello della disdetta discriminante. Pertanto, l'istanza di contestazione della disdetta e quella di indennizzo erano tempestive e la decisione impugnata violerebbe il diritto federale.  
 
5.3.1.1. Nella fattispecie il Pretore ha confermato la tempestività dell'opposizione alla disdetta e dell'inoltro dell'istanza secondo gli art. 336 seg. CO e non in virtù degli art. 5 e 10 LPar. Ora, la questione a sapere se la ricorrente abbia rispettato il termine previsto dall'art. 10 cpv. 3 LPar, può qui rimanere indecisa, perché l'interessata non consta aver mai preteso (neanche nel suo ricorso in materia civile) che la disdetta fosse una reazione a un reclamo da lei sollevato in seno all'azienda per una discriminazione subìta (cfr. art. 10 cpv. 1 LPar). Se mai, il 6 giugno 2012, costei aveva manifestato alla datrice di lavoro il suo dissenso al "declassamento" a lei imposto, rivendicando una tutela della sua personalità (cfr. doc. G), dopo aver dibattuto durante vari incontri con il datore di lavoro sulla riorganizzazione aziendale e sui suoi rapporti, tesi, con il capoufficio. Per sua stessa ammissione, poi, con quello scritto aveva chiesto al datore di lavoro misure per appianare le frizioni sorte fra lei e il caposervizio, che a suo dire erano all'origine del suo licenziamento (cfr. ricorso, pag. 7-8). In concreto, pertanto, non vi sono elementi per ammettere che il datore di lavoro avesse disdetto il rapporto di impiego a causa di una richiesta di protezione presentata dalla lavoratrice per bloccare un'attitudine discriminante, come poteva essere quella del direttore sanitario. Pertanto non può essere discorso di una disdetta data per rappresaglia secondo l'art. 10 cpv. 1 LPar e non mette conto verificare il rispetto del termine previsto da tale disposizione.  
 
5.3.1.2. Non si misconosce che la ricorrente abbia alluso alla predetta discriminazione (per la prima volta) nella petizione per sostenere una violazione del dovere di protezione del datore di lavoro (art. 328 CO) e la molestia subìta. Come accertato dalla Corte di appello senza essere stata smentita (cfr. sentenza impugnata, pag. 8 consid. 13), però, in causa ella ha preteso solo un'indennità di sei mesi per licenziamento abusivo giusta l'art. 336a CO. Non ha chiesto un indennizzo secondo gli art. 328 e 49 CO a causa di una violazione del dovere di assistenza (cfr. PORTMANN / RUDOLPH, op. cit., n. 53 seg. ad art. 328 CO; THOMAS PIETRUSZAK, in: Kurzkommentar Obligationenrecht, 2014, n. 20 ad art. 328 CO), né uno secondo l'art. 5 cpv. 2 LPar, che non avrebbe comunque potuto cumulare con l'indennità secondo l'art. 336a CO (cfr. sopra, consid. 5.2.2.3), a maggior ragione in concreto ove ella ha domandato l'importo massimo. Il rimedio è così infruttuoso.  
 
5.3.2. La ricorrente fa valere che la LPar rinvia alle norme sul licenziamento abusivo, in particolare all'art. 336 CO, e che queste forme particolari di licenziamento sarebbero sanzionate con la condanna al pagamento di un'indennità a carattere punitivo prevista dall'art. 336a CO. A torto, dunque, la Corte di appello l'avrebbe rimproverata di aver fondato le sue pretese su una base legale non corretta. In applicazione del principio iura novit curia (art. 57 CPC), poi, l'indennità pretesa doveva essere riconosciuta, giacché avrebbe chiaramente biasimato l'opponente di averla trattata in modo discriminatorio e avanzato delle pretese pecuniarie per la molestia subìta. Il Tribunale d'appello, infine, avrebbe dato atto che al datore di lavoro si doveva imputare un agire discriminatorio, che poteva giustificare il riconoscimento di un indennizzo. Nel risultato, insomma, la decisione impugnata costituirebbe un formalismo eccessivo.  
Ora, la ricorrente non può essere seguita laddove afferma che lei avrebbe chiaramente biasimato l'opponente di averla discriminata e avanzato delle pretese pecuniarie per la molestia subìta e che perciò la Corte cantonale avrebbe dovuto trattare la sua richiesta in applicazione dell'art. 57 CPC. Il tribunale, infatti, è legato dalle conclusioni delle parti (cfr. sentenze 4A_534/2018 del 17 gennaio 2019 consid. 5.2; 4D_62/2014 del 19 gennaio 2015 consid. 5; 4A_307/2011 del 16 dicembre 2011 consid. 2.4; 4A_464/2009 del 15 febbraio 2010 consid. 4.1, con rinvio). Nella fattispecie la Corte cantonale ha accertato che la ricorrente aveva chiesto con l'istanza di conciliazione e con la petizione solo di accertare l'abusività del licenziamento e di condannare l'opponente a versarle un'indennità ex art. 336a CO, di modo che il giudice non poteva che statuire su quella richiesta; un'indennità fondata sull'art. 5 cpv. 2 LPar, poi, non era ammissibile, in quanto non cumulabile con quella secondo l'art. 336 CO (cfr. sopra, consid. 5.2.2.3); la ricorrente, infine, non aveva presentato - nemmeno in subordine - una richiesta di indennizzo secondo l'art. 5 cpv. 3 LPar (cfr. sentenza 2P.165/2005 / 2A.419/2005 del 9 maggio 2006 consid. 4). Ciò posto, invano la ricorrente si appella alla considerazione della Corte cantonale secondo cui all'opponente era imputabile un agire discriminatorio contro di lei atto a giustificare il riconoscimento di un indennizzo. 
 
 
6.  
Da quanto precede, segue che il ricorso, nella misura in cui si rivela ammissibile, si palesa infondato e come tale va respinto. Le spese giudiziarie e le ripetibili seguono la soccombenza (art. 65 cpv. 4 lett. c, 66 cpv. 1 e 68 cpv. 1 LTF). 
 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.  
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
 
2.  
Le spese giudiziarie di fr. 600.-- sono poste a carico della ricorrente. 
 
3.  
La ricorrente verserà all'opponente la somma di fr. 1'800.-- a titolo di ripetibili per la procedura davanti al Tribunale federale. 
 
4.  
Comunicazione ai patrocinatori delle parti e alla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino. 
 
 
Losanna, 23 novembre 2022 
 
In nome della I Corte di diritto civile 
del Tribunale federale svizzero 
 
La Presidente: Hohl 
 
Il Cancelliere: Piatti