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Urteilskopf

109 Ib 317


51. Estratto della sentenza 19 agosto 1983 della I Corte di diritto pubblico nella causa Licio Gelli c. Dipartimento federale di giustizia e polizia (opposizione a una domanda d'estradizione)

Regeste

Auslieferung. Europäisches Auslieferungsübereinkommen (EAÜ), Rechtshilfegesetz (IRSG).
1. a) Begriff des Alibis gemäss Art. 53 IRSG.
b) Abklärungen zur Kontrolle des Alibis müssen nur dann durchgeführt werden, wenn bei positivem Ergebnis die Verweigerung der Auslieferung oder der Rückzug des Auslieferungsgesuchs in Betracht gezogen werden kann (E. 11b).
2. Betrügerischer Konkurs; Grundsatz der beidseitigen Strafbarkeit.
Im schweizerischen Recht muss die Konkurserklärung, die eine objektive Strafbarkeitsbedingung darstellt, rechtskräftig sein. Art. 35 Abs. 2 Teil 1 IRSG, welcher die Tragweite des Grundsatzes der beidseitigen Strafbarkeit einschränkt, erlaubt jedoch die Bejahung der Strafbarkeit zu Auslieferungszwecken, selbst wenn die gerichtliche Insolvenzerklärung noch nicht in Rechtskraft erwachsen ist (E. 11c/aa). Rechtslage nach italienischem Recht (E. 11c/bb).
3. Verfolgbarkeit der Straftat in der Schweiz.
Anwendbarkeit des Art. 36 Abs. 2 IRSG auf den wegen mehrerer Straftaten Verfolgten, von denen eine die Auslieferung begründet (E. 11f).
4. Spezialitätsprinzip.
a) Das in Art. 14 Ziff. 1 EAÜ enthaltene Verbot hat seine Grundlage und zugleich seine Beschränkung im Persönlichkeitseingriff, den die in dieser Bestimmung vorgesehenen Zwangsmassnahmen bewirken: im Gegensatz zum kontradiktorischen Verfahren ist daher die Durchführung eines Abwesenheitsverfahrens zulässig (E. 13).
b) Art. 14 Ziff. 1 EAÜ verbietet die Ausübung richterlicher Gewalt - mit Ausnahme der Durchführung von Abwesenheitsverfahren (Ziff. 2) - in bezug auf Taten, für welche die Auslieferung nicht gewährt wurde, auch wenn im ersuchenden Staat, noch bevor das Auslieferungsgesuch gestellt wurde, für diese ein Strafverfahren eingeleitet worden war (E. 14).
c) Der Spezialitätsgrundsatz verbietet auch Zwangsmassnahmen verwaltungsrechtlicher Natur mit Bezug auf andere von der Auslieferung nicht erfasste frühere Taten (im konkreten Fall hinsichtlich der vom Verfolgten vor der Parlamentarischen Kommission gemachten Ausführungen über die Freimaurer Loge P2, die seit dem 23. September 1981 in Italien besteht) (E. 15a).
d) Gemäss Art. 14 Ziff. 1 lit. b EAÜ muss der endgültig freigelassene Ausgelieferte nicht nur theoretisch sondern auch praktisch die Möglichkeit gehabt haben, das Gebiet des ersuchenden Staates zu verlassen; diese ist nicht gegeben bei Krankheit und Mangel an finanziellen Mitteln (E. 15b).
5. Begriff der mit einer politischen Straftat konnexen Tat und des relativ politischen Delikts.
Verhältnisse im konkreten Fall (E. 16b).
6. Verweigerung der Auslieferung gemäss Art. 3 Ziff. 2 EAÜ.
Verhältnisse im konkreten Fall (E. 16c).

Sachverhalt ab Seite 320

BGE 109 Ib 317 S. 320
Licio Gelli, cittadino italiano nato a Pistoia il 21 aprile 1919, fu fermato a Ginevra il 13 settembre 1982 in possesso di documenti d'identità falsi e posto in detenzione provvisoria a fine d'estradizione per ordine dell'Ufficio federale di polizia (UFP), emesso a richiesta dell'Interpol di Roma. L'Ambasciata d'Italia a Berna ha chiesto la sua estradizione con nota del 22 settembre 1982. La domanda si fonda su tre mandati di cattura del Giudice istruttore presso il Tribunale di Roma, Dott. Ernesto Cudillo, emanati il 20 gennaio 1982 (n. 1575/81A R.G.P.M e n. 6571/81C R.G.I), l'11 giugno 1982 e il 15 settembre 1982 (entrambi n. 7888/81A R.G.P.M e 1575/81A R.G.I), nonché su un ordine di cattura (n. 7177/82A R.G.P.M) emesso il 17 settembre 1982 dai Sostituti Procuratori della Repubblica di Milano, Dott. Marra, Fenizia e Dell'Osso. Della serie di imputazioni, talune delle quali nel frattempo decadute, si dirà in seguito. La domanda d'estradizione era corredata di una relazione sui fatti del Giudice istruttore di Roma del 17 settembre 1982 e di una nota con documenti della Procura della Repubblica di Milano del 20 settembre 1982.
Gelli si opponeva all'estradizione. I suoi difensori presentavano il 7 febbraio 1983 un voluminoso memoriale, completato con una perizia giuridica 14 febbraio 1983 del prof. Pietro Nuvolone e con un ulteriore esposto del 22 marzo 1983 accompagnante una relazione 1o marzo 1983 dell'avv. Massimo Krogh e del prof. Fabio Dean sulla giurisprudenza italiana circa il principio di specialità.
L'UFP presentava il 3 marzo 1983 al Ministero italiano di grazia e giustizia domande di informazioni supplementari, che venivano fornite con ulteriore documentazione presentata con note dell'Ambasciata d'Italia a Berna dell'11 e del 19 marzo 1983. Il 16 aprile 1983 il Giudice istruttore presso il Tribunale civile e penale di Milano faceva pervenire all'UFP una comunicazione relativa agli sviluppi dell'inchiesta, da considerare - a mente dell'UFP - come complemento alla domanda d'estradizione; dal canto suo l'Ambasciata d'Italia forniva con nota 27 aprile 1983 un'assicurazione del Ministero di grazia e giustizia circa l'ossequio del principio di specialità.
Il 27 aprile 1983 i difensori del ricercato prendevano posizione sul
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complemento d'informazioni fornito dall'Ambasciata l'11 marzo. Su richiesta telescritta del 13 maggio 1983 dell'UFP, il Ministero di grazia e giustizia comunicava il 16 maggio che con sentenza 17 marzo 1983 il Giudice istruttore di Roma, Dott. Cudillo, aveva dichiarato non doversi procedere per intervenuta amnistia in relazione a talune imputazioni poste alla base della domanda d'estradizione, di cui si dirà ancora. Alla stessa data perveniva all'UFP un esposto 10 maggio 1983 del Giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, Dott. Antonio Pizzo, sulla regola della specialità. L'UFP acquisiva agli atti un decreto di sequestro emesso il 16 maggio 1983 dal Procuratore pubblico della giurisdizione sottocenerina in Lugano, avv. Paolo Bernasconi, concernente gli averi bancari del ricercato, nonché fotocopie di una lettera 30 ottobre 1978 della Rizzoli Editore S.p.A in Milano a Gelli e di deposizioni rese ai magistrati italiani da Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din. I difensori del ricercato facevano pervenire all'UFP una memoria completiva d'opposizione di data 3 giugno 1983; anche di questo allegato si dirà in seguito.
Con lettera del 23 giugno 1983 il Dipartimento federale di giustizia e polizia trasmetteva gli atti al Tribunale federale, annettendovi due rapporti dell'UFP di data 25 maggio 1983 e 20 giugno 1983, nonché un esposto 21 giugno 1983 del Ministero pubblico della Confederazione. Mentre l'UFP propone di accordare l'estradizione almeno per i fatti motivanti le accuse di truffa e partecipazione a bancarotta fraudolenta, su cui si tornerà in appresso, il Ministero pubblico della Confederazione conclude a che la domanda d'estradizione sia respinta per i fatti motivanti imputazioni per reati di natura politica assoluta e che sia, per il resto, disattesa l'eccezione sollevata dall'opponente con riguardo all'art. 3 par. 2 della Convenzione europea d'estradizione (CEEstr).
Con decreto 28 giugno 1983 del Giudice delegato, è stata data ai difensori del ricercato la facoltà di esprimersi sul rapporto dell'UFP e sull'esposto del Ministero pubblico federale. Con un secondo memoriale aggiuntivo del 25 luglio 1983 i difensori hanno fatto uso di questa facoltà. Essi concludono in linea principale all'accoglimento dell'opposizione ed al rifiuto della estradizione. Eventualmente essi prospettano che ogni decisione sia sospesa sino a quando siano verificate una serie di condizioni, sulle quali si tornerà, se necessario, in seguito.
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Erwägungen

Considerando in diritto:

10. a) L'ordine di cattura della Procura della Repubblica di Milano del 17 settembre 1982 ascrive a Gelli di aver partecipato (art. 110 CPI) a fatti di bancarotta fraudolenta aggravata (art. 223 cpv. 1 e cpv. 2 n. 2 in relazione con gli art. 216 e 219 della cosiddetta legge fallimentare, Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) commessi, insieme con altri, dal defunto Roberto Calvi, già presidente e amministratore delegato del Banco Ambrosiano S.p.A., istituto posto in liquidazione coatta amministrativa con decreto del Ministro del tesoro del 6 agosto 1982 e dichiarato in stato d'insolvenza (art. 195, 202, 203 legge fallimentare) con sentenza del Tribunale civile di Milano del 25 agosto 1982. Secondo la motivazione dell'ordine di cattura e la relazione sui fatti che l'accompagna, Calvi, nella sua duplice qualità di Presidente del Banco Ambrosiano S.p.A. di Milano e del Banco Ambrosiano Holding Lussemburgo, società appartenente all'istituto bancario milanese, avrebbe disposto che il Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau, l'Ambrosiano Group Banco Comercial S.A. di Managua o il Banco Ambrosiano Andino di Lima - istituti dominati dalla citata Holding lussemburghese e costituenti di fatto filiali del Banco Ambrosiano - effettuassero accrediti per una somma complessiva di circa 70 milioni di dollari USA presso banche svizzere, segnatamente l'UBS di Ginevra, su conti di cui disponevano Gelli o persone o enti a lui facenti capo. Secondo la tesi accusatoria, il Banco Ambrosiano di Milano, l'Holding lussemburghese e gli istituti Americani debbono esser economicamente considerati come una sola entità, formante un unico complesso patrimoniale; le erogazioni, per le loro modalità, la mancanza di controprestazioni effettive, l'assenza di garanzie concrete e i rapporti fra le parti, sarebbero ispirate ad un intento di mera distrazione e non potrebbero costituire espressione di lecita ed usuale attività creditizia. Secondo l'ordine di cattura, le predette operazioni sarebbero state effettuate nel primo semestre del 1982.
Con comunicazione del 16 aprile 1983 all'UFP, considerata da quest'ultimo come un complemento alla domanda d'estradizione, il Giudice istruttore del Tribunale civile e penale di Milano comunicava che ulteriori indagini avevano permesso di accertare che, nella primavera del 1981, il Banco Ambrosiano Andino, tramite il Banco Ambrosiano Overseas Limited di Nassau, avendo
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ricevuto la provvista dal Banco Ambrosiano S.p.A. in Milano, dalla Banca Cattolica del Veneto e dal Credito Varesino, aveva concesso un prestito di 95 milioni di dollari USA per la durata di un anno alla Società Bellatrix S.A. di Panama, importo da questa trasferito presso la Rothschild Bank di Zurigo, con ordine di accredito a favore della Zirka Corporation. Dai conti della Zirka Corporation, importi di 7 e 14 milioni di dollari sarebbero stati trasferiti il 4 maggio 1981 su un conto "Mazut 66" presso l'UBS di Ginevra, seguiti il 13 maggio 1981 da altri due milioni di dollari; a quelle stesse due date importi di 7 milioni, rispettivamente 1,5 milioni di dollari USA sarebbero dal conto "Mazut 66" affluiti su un conto 525779-X1 di pertinenza di Licio Gelli.
b) Nell'opposizione del 7 febbraio 1983 il ricercato obietta in sostanza che le cause del dissesto del Banco Ambrosiano S.p.A. (da individuare a suo dire nei rapporti di questo con l'Istituto per le opere di religione e nell'acquisto illecito di proprie azioni) sono estranee sia alla persona di Gelli sia ai fatti rimproveratigli; che i fatti addotti nell'ordine di cattura e relativi al 1o semestre 1982 sono falsi, com'è comprovato dalle indagini esperite a Ginevra a richiesta della Procura pubblica di Lugano; che all'estradizione fanno ostacolo il principio di territorialità e la circostanza che un'inchiesta penale è stata aperta dalle autorità giudiziarie ticinesi; che fa difetto la condizione obiettiva di punibilità del reato di bancarotta costituita dalla pronunzia del fallimento, poiché contro il giudizio del Tribunale civile di Milano constatante l'insolvenza del Banco Ambrosiano taluni creditori e azionisti hanno interposto appello, e la decisione del Ministro italiano del tesoro ordinante la liquidazione coatta amministrativa è stata impugnata con ricorso al Tribunale amministrativo regionale; che, sempre sotto il profilo della doppia incriminazione, non è neppure preteso nella domanda che il ricercato - che non era amministratore - abbia conosciuto l'insolvibilità o cercato di trarne profitto.
Nel parere giuridico del prof. Nuvolone si confermano queste obiezioni, e si allega inoltre che le pretese distrazioni patrimoniali sarebbero state commesse secondo l'ordine di cattura su beni di persone giuridiche estere del tutto distinte dal Banco Ambrosiano, il che esclude la configurazione di bancarotta fraudolenta; oltretutto l'azione - dal prelevamento al versamento - sarebbe interamente stata commessa in territorio estero rispetto all'Italia, ciò che esclude la competenza della giurisdizione italiana secondo l'art. 7 CPI.
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Nella memoria complementare del 3 giugno 1983 questi argomenti sono ribaditi. Vi si sottolinea in particolare che si giustifica in casu di derogare alla regola per cui il giudice dell'estradizione non esamina la colpevolezza, dal momento che si tratta di verificare un alibi invocato dal ricercato. Circa il complemento fornito dall'autorità giudiziaria italiana il 16 aprile 1983, l'opponente dichiara di ignorare i fatti relativi alla Bellatrix S.A., al prestito ricevuto da quest'ultima, ai versamenti alla Zirka Corporation ed agli accrediti al conto "Mazut 66" presso l'UBS di Ginevra e rileva che neppure l'autorità italiana pretende che egli li conoscesse: ammette per contro di aver ricevuto i versamenti di 7 e 1,5 milioni di dollari del 4 e del 13 maggio 1981, accreditati sul suo conto per motivi affatto legittimi, che sono stati esposti ai magistrati che hanno condotto l'inchiesta esperita nel Ticino e a Ginevra.
Anche nella seconda memoria complementare del 25 luglio 1983 gli argomenti dell'opposizione sono ulteriormente sviluppati. Vi si sottolinea in particolare che base della richiesta d'estradizione italiana è unicamente l'ordine di cattura del 17 settembre 1982, i cui addebiti si sono rivelati falsi, e non invece il decreto di sequestro 16 maggio 1983 del Procuratore pubblico sottocenerino e nemmeno - contrariamente all'opinione dell'UFP - la lettera 16 aprile 1983 del Giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, che non costituisce ordine d'arresto e non ossequia agli altri requisiti dell'art. 12 CEEstr. A voler prescindere da questa obiezione fondamentale, l'estradizione non entrerebbe comunque in linea di conto - secondo l'opponente - per motivi analoghi a quelli fatti valere contro l'ordine di cattura del 17 settembre 1982.

11. L'ordine di cattura e l'opposizione del ricercato inducono alle considerazioni seguenti:
a) L'esame deve limitarsi ai fatti ascritti a Gelli nell'ordine di cattura del 17 settembre 1982. Gli ulteriori fatti menzionati nella comunicazione 16 aprile 1983 del Giudice istruttore di Milano non hanno da esser considerati, poiché non coperti dall'ordine di cattura che abbraccia il 1o semestre del 1982. V'è ancor minor motivo di occuparsene, dal momento che essi formano oggetto di una supplementare domanda d'estradizione.
b) Come già s'è rilevato (consid. 7c), quale giudice dell'estradizione, il Tribunale federale è legato all'esposto dei fatti contenuto nei documenti su cui la domanda si fonda: spetta al giudice del merito di pronunciarsi sulla
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loro sussistenza e la colpevolezza dell'estradato. Eccezioni a questo principio possono farsi solo se i fatti invocati sono manifestamente inesistenti o se i documenti della richiesta sono inficiati da lacune, contraddizioni o errori evidenti. Ciò non è il caso. Né mette conto che il Tribunale federale richiami - oltre quelli acquisiti all'incarto dall'UFP - ulteriori atti dalla Procura pubblica sottocenerina. Giova comunque rilevare che, contrariamente a quanto sembra ritenere l'opponente, non si tratta di verificare un alibi ai sensi dell'art. 53 AIMP: come risulta chiaramente dai testi tedesco e italiano della legge, il termine di "alibi" dev'esser inteso nel suo senso classico, cioè nel senso di prova che, al momento del fatto, la persona perseguita non si trovava - contrariamente a quanto esplicitamente o implicitamente assumerebbe la domanda d'estradizione - nel luogo di commissione del reato. La portata dell'innovazione introdotta dall'art. 53 AIMP - contrariamente a quanto sottintende l'opponente - non può venir estesa a qualsiasi prova a discarico che invocasse la persona ricercata. Non compete pertanto al giudice dell'estradizione di esperire indagini al fine di stabilire se si possa escludere che, nel periodo oggetto dell'ordine di cattura, siano effettivamente pervenuti al ricercato, direttamente o indirettamente, fondi provenienti dalle consociate americane del Banco Ambrosiano S.p.A. Giova inoltre aggiungere - e questo tanto con riferimento all'alibi quanto più genericamente in relazione alla prova (immediata) dell'innocenza - che l'esecuzione di verifiche a tal riguardo da parte del giudice dell'estradizione ha senso di regola solo se in caso positivo ci si possa ripromettere di giungere al rifiuto dell'estradizione ed alla liberazione dell'innocente o quantomeno all'abbandono della domanda d'estradizione (cfr. art. 53 cpv. 2 AIMP). Se - come in casu - l'estradizione entra comunque in linea di conto per altre imputazioni, tale verifica può esser lasciata, col tema generale della colpevolezza, al giudice del merito: in simile evenienza, viene infatti a mancare la ragione profonda che giustifica di derogare al principio per cui le risultanze del mandato di cattura vincolano il giudice dell'estradizione, e che è quella di risparmiare all'innocente i rigori della procedura (cfr. DTF 109 Ib 63 /64 consid. 5a e la dottrina ivi citata, 95 I 467 consid. 5).
c) Più delicata è l'eccezione dedotta dalla circostanza che la sentenza del Tribunale civile di Milano del 25 agosto 1982 accertante l'insolvenza del Banco Ambrosiano è stata impugnata in sede civile, per cui non è tuttora passata in giudicato. L'esame deve farsi sotto il duplice profilo del diritto
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svizzero e di quello italiano. Esso non consente di negare l'estradizione.
aa) Alle ipotesi di reato di cui agli art. 216 e 223 della legge fallimentare italiana fa riscontro nel diritto svizzero il reato di bancarotta fraudolenta previsto dall'art. 163 CPS. In diritto svizzero, la pronunzia del fallimento è condizione obiettiva di punibilità (DTF 101 IV 22 consid. 2a, DTF 84 IV 15 /16; STRATENWERTH, op.cit., Besonderer Teil I, pag. 286; SCHWANDER, Das Schweizerische Strafgesetzbuch, II ediz., pag. 373 n. 583a, e FJS n. 1128, § 8 n. 1/2; LOGOZ, Commentaire du Code pénal suisse, Partie spéciale I, pag. 206 n. 4; NOLL, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil I, pag. 176). Come si evince dalla seconda delle due sentenze appena citate ed è ammesso in dottrina (SCHWANDER, op.cit., ibidem), la dichiarazione di fallimento deve aver forza di cosa giudicata: la provvisoria esecutività non basta per l'esercizio dell'azione penale ed un'eventuale condanna. Sotto il regime della cessata legge, la riferita circostanza avrebbe quindi fatto ostacolo all'estradizione (cfr. SCHULTZ, Das Schweizerische Auslieferungsrecht, pag. 335 e nota 136; cfr. inoltre, in materia d'assistenza giudiziaria penale, DTF 106 Ib 267 nonché, in materia d'estradizione, la sentenza inedita del 23 gennaio 1981 in re Bon, consid. 3a). Giusta l'art. 35 cpv. 2, prima frase AIMP, la punibilità secondo il diritto svizzero deve però esser determinata "senza tener conto delle particolari forme di colpa e condizioni di punibilità da questo previste". A proposito di questo capoverso dell'art. 35 (corrispondente all'art. 31 del progetto) il messaggio del Consiglio federale dell'8 marzo 1976 annovera fra gli esempi di condizioni di punibilità proprio la dichiarazione di fallimento ed il pignoramento infruttuoso (FF 1976 II pag. 461 n. 322). Ne viene che non si può negare la punibilità secondo il diritto svizzero perché la declaratoria giudiziaria d'insolvenza non è passata in giudicato: il legislatore ha appunto inteso restringere, a tal riguardo, la portata del principio della doppia incriminazione che l'art. 35 cpv. 2 tacitamente sottintende (SCHULTZ, Das neue Schweizer Recht der internationalen Zusammenarbeit in Strafsachen, SJZ (RSJ) 77/1981, pag. 95). La punibilità secondo il diritto svizzero deve quindi essere ammessa.
bb) Nel diritto italiano, le opinioni della dottrina circa la qualifica da attribuire alla dichiarazione di fallimento, rispettivamente all'accertamento dell'insolvenza, sono divise (cfr. ANTOLISEI, op.cit., leggi complementari,
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III ediz., pag. 29 segg. e gli autori ivi citati). La Corte di cassazione considera la dichiarazione di fallimento un elemento costitutivo del reato (e non una mera condizione obiettiva di punibilità), la cui pronuncia determina il momento consumativo (cfr. Cassazione 30 marzo 1978, Conca, in Repertorio del Foro italiano 1978, voce "Bancarotta", n. 7 per molti; ANTOLISEI, op.cit., leggi complementari, pag. 146 e nota 16). A parte queste divergenze che potrebbero per avventura avere in parte solo portata terminologica, è determinante che giusta l'art. 238 della legge fallimentare, l'azione penale è esercitata dopo la comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento o dell'accertamento giudiziario dello stato d'insolvenza e che essa può esserlo anche prima in casi in cui concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta. D'altra parte, secondo la giurisprudenza, il processo per bancarotta deve esser sospeso obbligatoriamente in caso di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, solo se tale questione pregiudiziale sia ritenuta seria e cioè apparentemente fondata dal giudice penale (Cassazione 25 gennaio 1978, Segattini, in Repertorio del Foro italiano 1978, voce "Bancarotta", n. 12). In dottrina, si rileva che l'apprezzamento della serietà dell'opposizione consente al magistrato inquirente una sia pur limitata discrezionalità nel determinare il momento della sospensione, consentendogli così di ovviare, sia pure soltanto in parte, agli inconvenienti collegati ad opposizioni meramente dilatorie, proposte al solo scopo di allontanare i rigori della persecuzione penale o di ostacolare gli atti istruttori (ANTOLISEI, op.cit., leggi complementari, pag. 232/35). In simili circostanze, si deve concludere che nel diritto italiano non è necessario per l'azione penale che la sentenza accertante l'insolvenza, provvisoriamente esecutiva, sia passata in giudicato: ne viene che il requisito della punibilità secondo il diritto italiano deve considerarsi adempiuto, e che l'estradizione non può esser rifiutata per il predetto motivo. Spetterà eventualmente alla magistratura italiana sospendere il procedimento.
d) Che le distrazioni ritenute nell'ordine di cattura non siano state causali del dissesto del Banco Ambrosiano, come argomenta il ricercato, potrebbe tutt'al più esser di rilievo per l'imputazione riferita all'art. 223 cpv. 2 n. 2 della legge fallimentare, secondo cui agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori si applicano le pene previste dal
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primo capoverso dell'art. 216 se "hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società". Questa fattispecie di reato, infatti, si distingue da tutte le altre ipotesi di bancarotta poiché in essa il fallimento (inteso qui come dissesto in senso materiale) non è condizione di punibilità né presupposto, ma evento del reato, cioè conseguenza del comportamento del soggetto (ANTOLISEI, op.cit., leggi complementari, pagg. 122/23). La circostanza, tuttavia, non esige d'esser approfondita ulteriormente dal giudice dell'estradizione: basti rilevare che al ricercato è ascritta anche la partecipazione al reato previsto dall'art. 223 cpv. 1 della legge fallimentare, per il quale - analogamente a quanto accade per l'art. 163 CPS - non è richiesto che l'azione in danno dei creditori sia la causale del fallimento (ANTOLISEI, loc.cit. e pag. 116 segg.; STRATENWERTH, op.cit., Besonderer Teil I, pag. 286; LOGOZ, op.cit., pag. 206 n. 4; DTF 102 IV 23 consid. 4).
e) L'eccezione tratta dal preteso difetto di giurisdizione italiana (art. 7 CPI) non può esser ammessa. È infatti mera affermazione del ricercato quella per cui i fatti che stanno alla base del mandato di cattura si sarebbero svolti interamente fuori del territorio italiano. Secondo la documentazione annessa alla domanda, infatti, decisioni determinanti sarebbero state prese a Milano. È quindi superfluo esaminare se l'estradizione potrebbe essere rifiutata in applicazione del principio della doppia incriminazione oppure dell'art. 7 par. 2 CEEstr.
f) Non v'è neppure ragione di rifiutare l'estradizione poiché i fatti addebitati al ricercato in relazione con il Banco Ambrosiano S.p.A. si sono svolti parzialmente in Svizzera, onde il ricercato potrebbe soggiacere alla giurisdizione svizzera (art. 35 cpv. 1 AIMP) per un'eventuale ricettazione ivi commessa.
Giusta l'art. 7 cpv. 1 CEEstr, che è applicabile, dopo il ritiro della riserva inizialmente espressa dalla Svizzera, in tutta la sua estensione, il rifiuto dell'estradizione costituisce una mera facoltà della Parte richiesta. In virtù dell'art. 36 cpv. 2, che deroga all'art. 35 cpv. 1 lett. b AIMP, se al ricercato sono ascritti, - come in casu - parecchi reati, di cui uno motivante l'estradizione, questa è ammissibile per tutti. Non v'è nessun motivo per non applicare l'art. 36 cpv. 2, dal momento che le infrazioni di cui si tratta hanno indubbiamente il loro centro di gravità in Italia, che è opportuno che un unico procedimento penale venga istaurato e che infine - checché ne dica l'opponente - per una tale soluzione depongono anche la
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cittadinanza del ricercato, la sua residenza abituale ed i legami socio-culturali (cfr. sentenza 2 marzo 1983 in re Federici, consid. 5c non apparso in DTF 109 Ib 60 segg.). Identiche considerazioni come per l'art. 7 CEEstr valgono a proposito dell'art. 8, con il rilievo che comunque - come risulta dal decreto di sequestro del 16 maggio 1983 del Procuratore pubblico sottocenerino - non è sinora stata promossa accusa in Svizzera.
A queste considerazioni si aggiunga che, già prima del ritiro delle riserve concernenti gli art. 7 e 8 CEEstr, la giurisprudenza aveva stabilito che il principio di territorialità deve cedere il passo all'esigenza di una efficace persecuzione del reato, allorquando per la difficoltà iniziale di qualificare il reato si correrebbe altrimenti il rischio di lasciarlo impunito per difetto di giurisdizione dello Stato richiesto (DTF 101 Ia 598 segg. consid. 6). Giova da ultimo osservare che l'estradizione avrebbe anche in codesto punto potuto e, per gli stessi motivi, dovuto esser accordata anche sotto il diritto vigente anteriormente al 1o gennaio 1983, poiché l'estradizione accessoria per reati perpetrati (anche) in Svizzera era possibile in virtù della dichiarazione fatta dalla Svizzera (cfr. DF del 27 settembre 1966 in RU 1967 pag. 839, 841): la situazione del ricercato, quindi, non ha patito peggioramento.
g) Tutte le altre obiezioni dell'opponente contro l'ordine di cattura del 17 settembre 1982 si risolvono in definitiva in una contestazione di colpevolezza, ed esorbitano chiaramente dal quadro dell'indagine che può esser domandata al giudice dell'estradizione, segnatamente quando si tratta - come in casu - di complesse operazioni economiche e finanziarie: esse debbono esser riservate al giudice italiano del merito.

12. Riassumendo, le condizioni convenzionali dell'estradizione risultano quindi adempiute in linea di principio per i fatti che motivano le quattro imputazioni di calunnia (denuncia mendace; mandato del 20 gennaio 1982, lett. g), truffa (affare Savoia Assicurazioni; mandato dell'11 giugno 1982), millantato credito (mandato del 15 settembre 1982, capo d'imputazione 3) e concorso in bancarotta fraudolenta (ordine di cattura del 17 settembre 1982).
Ciò posto, restano tuttavia ancora da esaminare le ulteriori obiezioni sollevate dall'opponente. Tra queste primeggia quella dedotta dal principio della specialità dell'estradizione. Poiché - nella formulazione che le vien data dalla difesa dell'opponente - tale obiezione è indipendente da quelle
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sollevate con riferimento all'affermato carattere politico delle imputazioni (art. 3 par. 1 CEEstr), rispettivamente da quelle dedotte dall'art. 3 par. 2 CEEstr e dall'art. 6 CEDU, e poiché essa potrebbe esser proposta, come resta da vedere, contro ogni domanda d'estradizione presentata dalla Repubblica Italiana, conviene esaminarla per prima.

13. a) Al problema della specialità sono dedicate diffuse allegazioni nella memoria d'opposizione del 7 febbraio 1983, nei pareri del prof. Nuvolone e degli avv. Dean e Krogh e nelle due memorie complementari del 3 giugno e del 25 luglio 1983. L'opponente asserisce che la magistratura italiana ha della specialità una nozione inammissibile, contraria all'art. 14 CEEstr, e che svuota tale principio di ogni portata pratica, nella misura in cui la giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene in sostanza ch'esso non impedisce il giudizio per un altro reato, diverso da quello per il quale l'estradizione è stata concessa ed anteriore, purché tale giudizio non comporti restrizione della libertà personale dell'imputato (sentenze 1o marzo 1973, Cuci, in Giustizia penale 1975 III pag. 102/3, con espresso riferimento alla CEEstr; 6 luglio 1976, Prampolini, in Giustizia penale 1977 III pagg. 10/11; 11 luglio 1977, Lanza, in Giustizia penale 1978 III pag. 319, con riferimento al mandato di cattura).
b) Alla base di tutta l'argomentazione dell'opponente è la tesi per cui la regola della specialità, sino al momento in cui cessa d'essere applicabile, paralizzerebbe in modo assoluto qualsiasi esercizio dei poteri giurisdizionali della Parte richiedente nei confronti della persona consegnata per ogni fatto anteriore alla consegna, che non sia quello che ha motivato l'estradizione. Come i patroni dell'opponente scrivono, citando GIAN DOMENICO PISAPIA (L'estradizione nell'ordinamento giuridico italiano: aspetti sostanziali, in Estradizione e spazio giuridico europeo, pubblicazione del Consiglio Superiore della Magistratura, Roma 1981, pag. 49 segg., 54), il principio della specialità, una volta accolto, dovrebbe costituire "un vero e proprio sbarramento, che priva l'autorità giudiziaria italiana di ogni potere in ordine ai reati che non siano espressamente compresi nel provvedimento di estradizione". Sennonché non è manifestamente questa la nozione di specialità consacrata dalla Convenzione europea.
Già dall'art. 14 par. 1 CEEstr si desume che il divieto di perseguire, giudicare e detenere in vista dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza per fatti anteriori alla consegna, che non siano quelli che hanno
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motivato l'estradizione, ha il suo fondamento ma nel contempo il suo limite nella coercizione personale che tali provvedimenti implicano: ciò si evince dal fatto che - giustamente - a tali garanzie si aggiunge quella per cui l'individuo consegnato non sarà "soumis à toute autre restriction de sa liberté individuelle", senza la quale le prime potrebbero esser maliziosamente vanificate. Qualsiasi esitazione in proposito è poi fugata dal successivo paragrafo 2, in virtù del quale, "toutefois, la Partie requérante pourra prendre les mesures nécessaires en vue d'une part du renvoi éventuel du territoire, d'autre part d'une interruption de la prescription conformément à sa législation, y compris le recours à une procédure par défaut". Il "Rapport explicatif", edito nel 1969 dal Consiglio d'Europa e che ha per oggetto di esporre le considerazioni di base che hanno ispirato il testo definitivo della Convenzione, dice al proposito testualmente (pag. 23):
"Le paragraphe 2 permet à la Partie requérante de prendre les mesures indispensables pour interrompre la prescription. En effet, les experts ont reconnu qu'il fallait autoriser ces mesures puisqu'un Etat aurait pu les prendre si l'individu inculpé n'avait pas été extradé. En vertu de ce paragraphe, la Partie requérante pourra par exemple juger par défaut un individu extradé pour une infraction autre que celle ayant motivé l'extradition. Toutefois, dans ce cas, l'extradé ne pourra pas être détenu pour une telle infraction sans le consentement de la Partie requise."
La soluzione adottata dalla Convenzione europea - che esclude la possibilità di un procedimento contraddittorio ma non quello di un procedimento contumaciale - è d'altronde conforme all'opinione dominante in dottrina (SCHULTZ, Das Schweizerische Auslieferungsrecht, pag. 364 e nota 36, pag. 369; HSU CHAO CHING, Du principe de la spécialité en matière d'extradition, tesi Neuchâtel 1950, pag. 61 segg. e gli autori citati; sulla conformità in particolare dell'art. 14 par. 2 CEEstr alla dottrina tradizionale, cfr. SCHULTZ, Les principes du droit d'extradition traditionnel, in Aspects juridiques de l'extradition entre Etats européens, edito dal Consiglio d'Europa, 1970, pag. 7 segg., in part. 21 n. 6). Nella dottrina italiana lo stesso TULLIO DELOGU, richiamato dall'opponente, sottolinea tra l'altro con preciso riferimento all'art. 14 CEEstr, che sugli effetti processuali del principio di specialità esiste un accordo quasi inconsueto e che si riconosce unanimamente "che il diritto dello Stato richiesto a veder osservata la clausola di specialità non può arrivare a spogliare lo Stato richiedente anche dei poteri che a lui competerebbero se
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non avesse richiesto l'estradizione, o questa gli fosse stata negata; in particolare, del potere di instaurare un procedimento contumaciale a carico del reo rifugiatosi all'estero. Il che significa che, sul terreno delle limitazioni processuali, il contenuto della clausola si esaurisce nel divieto di sottoporre l'estradato ad ogni e qualunque forma di coercizione processuale ai fini dell'accertamento e della esecuzione di una pretesa punitiva fondata su fatti diversi da quelli che hanno motivato l'estradizione; e perciò i soli atti che possono essere compiuti a questo fine sono esclusivamente quelli che non richiedono la presenza dell'imputato" (Clausola di specialità della estradizione e potere giurisdizionale dello Stato richiedente, in Rivista italiana di diritto e procedura penale 1980, pag. 510 segg., in part. 518/19).
Nella misura in cui l'opponente critica la giurisprudenza della Corte di cassazione italiana, che è conforme a codesta dottrina, per dedurre che la Parte richiedente non si conformerebbe al dettato dell'art. 14 CEEstr, la sua censura è manifestamente infondata. A questo proposito non si pone pertanto neppure il problema (sul quale si tornerà) di sapere se e in qual misura il giudice dell'estradizione, nell'esame della domanda, possa tener conto di una prassi dello Stato richiedente che fosse contraria agli impegni convenzionali.

14. a) Sempre in tema di specialità, il ricercato adduce tuttavia anche che, in virtù di una sentenza 2 luglio 1976 della Cassazione penale, sezione II, in re Salutini (Rivista italiana di diritto e procedura penale 1980, pag. 492 segg.), confermante la precedente pronunzia dell'11 aprile 1973 in re Mangiavillano, il principio della specialità non è ritenuto applicabile nell'ipotesi in cui l'Italia, ancor prima di richiedere l'estradizione di un imputato di un reato commesso in Italia, lo abbia già sottoposto a procedimento penale in Italia: in tale ipotesi infatti, secondo la citata giurisprudenza, "ancorché prosegua dopo l'estradizione dell'imputato, concessa in virtù della sua eventuale responsabilità per un successivo reato, il procedimento ha avuto rituale inizio prima dell'estradizione e quindi indipendentemente da essa".
A giusta ragione l'opponente afferma che tale opinione è insostenibile. Essa si pone non solo in contrasto con la nozione di specialità qual è ammessa dalla dottrina unanime, ma anche - se riferita alla Convenzione europea d'estradizione qui applicabile - con il tenore letterale chiaro ed esplicito dell'art. 14 par. 1, che vieta ogni procedimento contraddittorio e
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ogni restrizione della libertà individuale "pour un fait quelconque antérieur à la remise", diverso da quello motivante l'estradizione, senza eccezione alcuna e con la sola riserva del mutamento di qualificazione a termini del paragrafo 3 dello stesso disposto. Il fatto che anteriormente alla consegna, per altro fatto, una procedura sia stata aperta nello Stato richiedente è assolutamente indifferente: una tale procedura non può esser continuata - se lo Stato richiedente non chiede ed ottiene un complemento d'estradizione - che come procedura contumaciale ai sensi dell'art. 14 par. 2 CEEstr. Vivacemente e giustamente dette sentenze sono state d'altronde criticate nel citato saggio di TULLIO DELOGU, con ampi riferimenti alla dottrina internazionale e segnatamente a SCHULTZ.
b) Nella sentenza inedita Rieble dell'11 luglio 1980 e nella già citata sentenza Bon del 23 gennaio 1981, il Tribunale federale ha esaminato il problema di sapere in quale misura una precedente violazione di una convenzione da parte di uno Stato contraente consenta alla Svizzera di rifiutare vuoi l'estradizione, vuoi la concessione dell'assistenza giudiziaria in senso lato. Esso ha considerato che non v'è motivo di rifiutare l'estradizione allorquando non v'è ragione di pensare che, nel caso particolare, lo Stato richiedente non rispetterà i suoi impegni internazionali ed ha addotto che da una passata infrazione di un trattato non è consentito di trarre una simile deduzione. In uno dei due casi citati, il Tribunale federale ha tuttavia ritenuto opportuno di segnalare all'autorità esecutiva la verosimile inosservanza di una convenzione invocata dall'opponente.
c) I principi di questa giurisprudenza meritano di essere confermati. Applicati in casu, essi non consentono - per più di un motivo - di rifiutare l'estradizione.
Come si evince dallo stesso saggio di TULLIO DELOGU, la giurisprudenza italiana criticata risulta infatti isolata (cfr., oltre i due casi già indicati: Cassazione 3 aprile 1974, Carinci, in Repertorio del Foro italiano 1975, voce "Estradizione", n. 9/10). In secondo luogo, a quanto è dato di vedere, tale giurisprudenza non è espressamente riferita alla Convenzione europea, e segnatamente all'art. 14. In terzo luogo, essa non risulta esser stata applicata nei confronti della Svizzera, permodoché non si può far addebito all'autorità italiana di una violazione del principio di specialità nei confronti del nostro Paese in un caso concreto. Anzi, a riguardo della Svizzera, è noto il caso Prampolini, estradato all'Italia in base alla
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sentenza pubblicata in DTF 101 Ia 592 segg. Arrestato in Italia sulla scorta di un mandato di cattura emesso per reati, sia pure concorrenti, ma "diversi da quelli di cui al provvedimento di estradizione adottato dallo Stato svizzero in favore di quello italiano, senza che il primo avesse acconsentito estendendo l'estradizione a questi ulteriori reati", il provvedimento fu dichiarato illegittimo con sentenza 6 luglio 1976 della Suprema Corte di cassazione (Repertorio del Foro italiano 1977, voce "Libertà personale dell'imputato", n. 31/32). Questo caso Prampolini può quindi esser addotto a riprova del rispetto da parte dell'Italia della clausola di specialità. Si noti inoltre che l'Italia ha presentato in questo (cfr. la sentenza inedita del 27 aprile 1977) e in numerosi altri casi domande di estradizione addizionale.
Nella fattispecie, v'è poi ancor meno motivo di esitare, dal momento che il Ministero di grazia e giustizia - tramite l'Ambasciata d'Italia - ha già fornito esplicite assicurazioni all'UFP. Tuttavia, vista l'esistenza di questa sia pur isolata giurisprudenza della Suprema Corte italiana di cassazione, l'UFP può esser sollecitato a ricordare ai competenti organi italiani che, secondo lo Stato richiesto, l'art. 14 par. 1 CEEstr inibisce l'esercizio della potestà giurisdizionale, fuori del procedimento contumaciale previsto dal paragrafo 2, anche nel caso in cui procedimenti penali per fatti diversi da quelli per i quali l'estradizione è stata accordata, fossero stati promossi contro la persona estradata prima che la domanda d'estradizione fosse presentata, e che la Svizzera considererebbe lesiva degli obblighi convenzionali l'applicazione in casu della surriferita giurisprudenza.

15. Per esaurire il tema della specialità, invocato dall'opponente, vanno considerati ancora due aspetti.
a) L'opponente manifesta il timore d'esser sottoposto a misure coercitive in vista dell'audizione da parte della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2 istituita con la legge del 23 settembre 1981, n. 527, per "accertare l'origine, la natura, l'organizzazione e la consistenza" di questa associazione, nonché "le finalità perseguite, le attività svolte, i mezzi impiegati per lo svolgimento di detta attività e per la penetrazione negli apparati pubblici e in quelli di interesse pubblico, gli eventuali collegamenti interni e internazionali, le influenze tentate o esercitate sullo svolgimento di funzioni pubbliche, di interesse pubblico e di attività
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comunque rilevanti per l'interesse della collettività, nonché le eventuali deviazioni dall'esercizio delle competenze istituzionali di organi dello Stato, di enti pubblici e di enti sottoposti al controllo dello Stato" (art. 1 della legge, in Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana, 1981, n. 264 pag. 6239).
A questo proposito giova rilevare come, per il tramite dell'Ambasciata svizzera a Roma, la Divisione assistenza giudiziaria internazionale del Dipartimento federale di giustizia e polizia abbia già il 17 agosto 1982 rifiutato di accogliere una domanda di informazioni fondata sulla Convenzione europea d'assistenza giudiziaria in materia penale presentata da detta Commissione. La Svizzera ha ritenuto, sulla base della suddetta descrizione delle finalità e dei compiti della Commissione parlamentare, che non si aveva a che fare con una procedura concernente reati ai sensi della Convenzione invocata, ma che si trattava di un'inchiesta disciplinare o di un procedimento di natura amministrativa o di polizia, nulla mutando a tal riguardo il fatto che la Commissione predetta, giusta la legge istitutiva (art. 3), fosse munita degli stessi poteri dell'autorità giudiziaria per procedere alle indagini ed agli esami. Analoghe considerazioni si impongono per il caso della consegna a fini estradizionali del ricercato: la regola della specialità vieta ogni coercizione, anche di natura amministrativa, per fatti anteriori alla consegna e diversi da quelli motivanti l'estradizione.
Per tener conto di codesta situazione particolare, gioverà invitare l'UFP a precisare espressamente che Gelli, secondo l'art. 14 par. 1 CEEstr ed il principio di specialità, non potrà esser sottoposto a qualsiasi misura coercitiva in vista dell'audizione da parte della predetta Commissione parlamentare o di altro organismo analogo che dovesse esser successivamente istituito.
b) Il ricercato manifesta d'altra parte il timore che - privato di passaporto in virtù della legislazione italiana - egli sarebbe posto nell'impossibilità di lasciare il territorio italiano nei 45 giorni successivi alla sua liberazione definitiva ai sensi dell'art. 14 par. 1 lett. b CEEstr. A questo proposito occorre rilevare che il termine di "possibilité" contenuto alla lett. b è stato sostituito al termine di "liberté" inizialmente previsto, tenuto conto del suo senso più generale e dunque meno restrittivo. Come giustamente sottolinea il già citato "Rapport explicatif" del Consiglio d'Europa (pagg. 22/23), l'individuo non deve soltanto aver avuto la libertà di lasciare il territorio, ma anche la possibilità di farlo, il
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che copre ugualmente il caso della malattia e della mancanza di denaro. Nella disposizione, come precisa ancora il rapporto, è inclusa d'altronde una duplice condizione: liberazione definitiva, da un lato, possibilità di lasciare il territorio, dall'altro. Per chiarire ogni dubbio al proposito, la Svizzera ha d'altronde formulato e depositato, aderendo alla Convenzione, un'esplicita dichiarazione a proposito dell'art. 14 par. 1 lett. b, nota a tutti gli Stati contraenti (cfr. DF del 27 settembre 1966, in RU 1967 pag. 839, 842). Non v'è alcuna ragione di ritenere o di temere che l'Italia non debba attenersi a tali condizioni, che sgorgano chiaramente dall'art. 14 e dalla dichiarazione svizzera: non è quindi il caso di formulare a tal riguardo una particolare riserva o un richiamo specifico.

16. a) In connessione con il tema della specialità ed anche con le eccezioni dedotte dagli art. 3 par. 1 e 2 CEEstr e dall'art. 6 CEDU, la difesa dell'opponente rileva che in Italia le norme dei trattati internazionali in parola (norme pattizie) non hanno livello di norme costituzionali né rango superiore all'ordinario livello legislativo. La circostanza sarà invero di rilievo per escludere - come ha ritenuto la Corte costituzionale italiana (sentenza n. 188 del 22 dicembre 1980, in Rivista di diritto internazionale 1981, pagg. 662 e 671) - che esse possano davanti alla Corte costituzionale esser assunte a parametro di legittimità costituzionale di altre leggi; non è peraltro contestato che esse siano applicabili in Italia al pari dell'ulteriore diritto ordinario. Non si vede quindi quale conclusione il giudice dell'estradizione potrebbe trarre da codesto ordinamento interno italiano, sicuramente non lesivo degli impegni internazionali assunti con l'adesione (cfr. sul tema: DELOGU, op.cit., in Rivista italiana di diritto e procedura penale 1980, pag. 518).
b) Le quattro imputazioni di calunnia, truffa, millantato credito e bancarotta costituiscono tutte, prese in sé, reati di diritto comune. Ci si deve però chiedere se essi non debbano esser considerati connessi con delitti politici (art. 3 par. 1 CEEstr), oppure se, in virtù delle circostanze in cui sono stati compiuti - segnatamente nel loro movente e per il loro scopo - non debba esser riconosciuto loro il carattere di delitti politici relativi, per i quali l'estradizione è parimenti esclusa in forza della stessa disposizione. Affinché la predominanza del carattere politico possa esser ammessa, occorre che il delitto si situi nell'ambito della lotta contro e/o per il potere, o tenda a sottrarre qualcuno a un potere che escluda ogni forma d'opposizione; tra l'atto e il fine politico deve sussistere un
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rapporto chiaro, stretto e diretto e non soltanto una relazione indiretta e lontana (DTF 108 Ib 409 /10 consid. 7b, DTF 106 Ib 301 consid. 4, DTF 101 Ia 64 /65, 425/26 consid. 6b, 605/607 consid. 7).
La ricorrenza di questi elementi caratterizzanti dev'essere chiaramente esclusa per i reati di truffa, millantato credito e bancarotta, tipici reati economici a fine di lucro. Quand'anche si volesse pretendere che essi dovessero servire - se effettivamente furono commessi - a procurare fondi al movimento sovversivo che - sempre secondo l'accusa - Gelli avrebbe creato al fine di minare le basi stesse dello Stato (imputazioni di cui alle lettere a, c, f del mandato di cattura del 20 gennaio 1982), una sufficiente relazione diretta dovrebbe chiaramente essere negata, così come essa è sempre stata negata trattandosi di giudicare gli attacchi alle banche presentati come semplice messa in pratica della teoria della riappropriazione, che legittimerebbe i lavoratori proletari a recuperare quanto i grandi capitalisti hanno sottratto in origine ai produttori (cfr. l'affare Morlacchi in DTF 101 Ia 605 /606). Non v'è motivo alcuno di trattare in modo diverso, sotto questo profilo, l'attacco a mano armata alla banca dal delitto dei cosiddetti colletti bianchi. Né può essere il discorso per l'imputazione di calunnia (denuncia mendace), se si tien conto che le tracce di reato che si attribuiscono a Gelli secondo l'accusa tendevano a compromettere come colpevoli di gravi delitti contro i doveri del loro ufficio magistrati che erano incaricati delle indagini contro il ricercato.
c) Resta infine da esaminare se sia fondata l'obiezione tratta dall'opponente dall'art. 3 par. 2 CEEstr, nel quale quadro dev'essere considerata anche l'eccezione dedotta dall'art. 6 CEDU. Com'è noto, l'art. 3 par. 2 CEEstr contempla due ipotesi distinte, le quali entrambe impongono al giudice dell'estradizione un giudizio di valore estremamente delicato sugli affari interni della Parte richiedente, in particolare il suo regime politico e le sue istituzioni, la sua concezione delle libertà fondamentali della persona, il rispetto di cui - concretamente - tali libertà godono, l'indipendenza e l'obiettività del suo apparato giudiziario. Naturalmente non ogni situazione politico-giuridica particolare in cui versasse lo Stato richiedente può avere come conseguenza che la Svizzera debba rifiutare ogni misura d'estradizione a suo favore: un tale rifiuto non interverrà che se si può temere oggettivamente, in un preciso contesto fattuale, che la situazione
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dell'estradato abbia a patire e che segnatamente un principio generale del diritto delle genti, come quello consacrato nell'art. 3 CEDU, corra il rischio d'esser violato (DTF 108 Ib 411 /12, DTF 95 I 468 consid. 6).
Che sia verificata la prima ipotesi prevista dall'art. 3 par. 2 CEEstr - ovverosia che le imputazioni di diritto comune siano state formulate allo scopo di perseguire il ricercato per ragioni politiche o di credo religioso, in altre parole per ottenere un'estradizione che le imputazioni politiche non consentano manifestamente di conseguire - non si può seriamente sostenere, e non vale la pena di attardarsi sulle allegazioni prive di sostegno del ricercato.
Più delicato può invece apparire il giudizio per quanto ha tratto alla seconda ipotesi prevista dall'art. 3 par. 2 CEEstr. Si pone infatti la questione di sapere se v'è motivo serio per credere che la condizione dell'estradando arrischi d'esser aggravata per considerazioni politiche: in termini concreti, se ci si può aspettare per il ricercato un processo giusto, sottratto ad influenze esercitate da stampa o partiti sulla magistratura, e nel quale la regola della specialità sia ossequiata non solo nella forma ma anche e soprattutto nello spirito. A sostegno della prognosi negativa da essa formulata, la difesa del perseguito adduce l'enorme clamore che indubbiamente quello che ormai vien definito il caso Gelli ha suscitato nella pubblica opinione e nella stampa, la legge varata per il dissolvimento della loggia massonica P2, il giudizio negativo formulato in termini talvolta drastici da personalità politiche, e denuncia altresì un'affermata caccia alle streghe e la designazione di un capro espiatorio.
Certo, ben si può ammettere che i casi Sindona e del Banco Ambrosiano e il ritrovamento di atti e documenti nella perquisizione effettuata negli uffici e al domicilio del ricercato hanno suscitato grande scalpore, profondamente turbato l'opinione pubblica e provocato reazioni non sempre serene negli organi della stampa o da parte di politici. Ma anche altri tragici avvenimenti, che hanno scosso nell'ultimo decennio la Repubblica Italiana, hanno provocato - comprensibilmente - fermenti e reazioni di non minor violenza nell'opinione pubblica, nei circoli politici, nella stampa: ciononostante non si può minimamente asserire che la magistratura - che ha pagato e paga tuttora tributo anche di sangue nell'adempimento della sua funzione - sia uscita nel complesso sminuita o rinvilita da queste vicende o che essa non sia più in grado di garantire, al di là ed al disopra delle contese di parte, un esercizio oggettivo della funzione giudiziaria.
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Ne discende che l'eccezione tratta dall'art. 3 par. 2 CEEstr e - congiuntamente - dall'art. 6 CEDU è infondata e dev'essere respinta.

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