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Intestazione

116 II 419


77. Estratto della sentenza 20 settembre 1990 della II Corte civile nella causa Ghidoni contro Governo del Cantone dei Grigioni (ricorso di diritto amministrativo)

Regesto

Art. 680 cpv. 2 CC. Restrizioni legali alla proprietà, disposizioni sulle distanze dal confine e sulle distanze fra edifici. Necessità del atto pubblico.
1. Riepilogo della dottrina e della giurisprudenza (consid. 4).
2. La modifica di restrizioni legali alla proprietà necessita dell'atto pubblico; conferma della giurisprudenza pubblicata in DTF 44 II 394 segg. (consid. 5).

Fatti da pagina 419

BGE 116 II 419 S. 419

A.- Con contratto di servitù del 15 febbraio 1989 la Comunione ereditaria Ghidoni-Pedrazzi, proprietaria della particella n. 1845 RFP del Comune di Roveredo, ha concesso ad Arnaldo e Luciano Raveglia, comproprietari della particella adiacente n. 129b, di costruire a m 2.40 dal confine; a loro volta i secondi hanno concesso alla prima di costruire a distanza ravvicinata dallo stabile sulla loro proprietà, ferma restando una distanza di m 6 fra i due edifici.

B.- L'Ufficiale del registro fondiario ha respinto il 24 febbraio 1989 l'istanza di iscrizione della suddetta servitù, rilevando che, a
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mente dell'art. 680 cpv. 2 CC, la modifica delle distanze richiedeva l'atto pubblico. Arnaldo e Luciano Raveglia si sono adagiati a questa decisione, facendo allestire, per quanto riguarda l'aggravio del loro fondo, l'atto pubblico. Contro il rifiuto dell'iscrizione la Comunione ereditaria Ghidoni-Pedrazzi è invece insorta al Governo del Cantone dei Grigioni, autorità di vigilanza sul registro fondiario, il quale ha respinto il ricorso e confermato la decisione dell'ufficio dei registri il 18 dicembre 1989.

C.- Arnaldo e Mario Antonio Ghidoni, componenti la Comunione ereditaria Ghidoni-Pedrazzi, hanno presentato il 5 marzo 1990 un ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale in cui chiedono che la decisione dell'autorità di vigilanza sia annullata e che all'Ufficiale del registro fondiario sia fatto ordine di procedere all'iscrizione della servitù.
L'autorità cantonale propone che il ricorso sia respinto. L'Ufficio federale di giustizia ne propone invece l'accoglimento.

Considerandi

Dai considerandi:

4. Sulla necessità dell'atto pubblico per la modifica di restrizioni legali alla proprietà - premesso che, trattandosi di restrizioni di diritto pubblico, la modifica consista in un'estensione e questa, come nel caso in esame, sia autorizzata dal diritto cantonale - la dottrina è divisa. Per LIVER (in: Zürcher Kommentar, 2a edizione, note 107 e 107a e in: Schweizerisches Privatrecht, vol. V/1, pag. 198 seg.) l'art. 680 cpv. 2 sarebbe dovuto ad una svista del legislatore che avrebbe omesso di modificare tale norma, una volta ammessa la sola forma scritta per la costituzione di servitù (art. 732 CC). MEIER-HAYOZ (Berner Kommentar, 3a edizione, note 98 e 99 ad art. 680) si pronuncia a favore dell'atto pubblico, conformemente al testo legale. Pur ammettendo che ci si trova in presenza di una svista del legislatore, egli sostiene che non è compito del giudice procedere ad una rettifica di tale svista. PIOTET (in: Traité de droit privé suisse, pag. 44) ritiene che l'atto pubblico non è richiesto qualora l'accordo delle parti sia nel senso di aggravare la portata della restrizione. STEINAUER (Les droits réels, vol. II, pag. 129 n. 1802) aderisce all'opinione di LIVER della svista del legislatore, ma sostiene che comunque la regola dell'art. 680 cpv. 2 CC deve essere rispettata, perlomeno, come già aveva osservato LIVER (op.cit.), a titolo di consuetudine. Secondo il Tribunale federale, tutte le modifiche delle restrizioni legali alla proprietà devono essere stipulate nella forma
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dell'atto pubblico (DTF 44 II 394 segg.).

5. L'Ufficio federale di giustizia, che ritiene sufficiente la forma scritta e propone, di conseguenza, l'ammissione del ricorso, ammette tuttavia che la sola esistenza di una svista del legislatore non è motivo sufficiente per modificare la prassi instaurata dalla sentenza pubblicata in DTF 44 II 394 segg.
a) A ragione l'Ufficio osserva che l'atto pubblico mantiene tutta la sua importanza, allorché il proprietario rinuncia alla tutela offerta dal diritto di vicinato, e quindi a mezzi di difesa attribuitigli dal legislatore. Ma non si vede per quale motivo tale importanza verrebbe meno, come sostiene lo stesso Ufficio, quando il proprietario accetta un'estensione della restrizione di proprietà e quindi un aggravio che può risultare sensibilmente superiore a quello previsto da leggi e regolamenti. La tesi dell'Ufficio federale di giustizia consiste nel dire che, attualmente, è spesso difficile distinguere se le restrizioni siano di natura privata o di interesse pubblico e che la pratica si limita ad esigere la forma scritta ed eventualmente la menzione nel registro fondiario. Ciò avviene, in modo particolare, nei casi di trasferimento delle possibilità edificatorie da una particella ad un'altra, ad esempio nell'ipotesi di rinuncia a distanze dal confine. Sarebbe errato esigere l'atto pubblico unicamente perché in un Cantone la restrizione è contenuta nella legge di introduzione al codice civile e non nella legge edilizia cantonale. In tale modo si recherebbe inutilmente pregiudizio alla funzione di pubblicità del registro fondiario, favorendo la tendenza di fare oggetto di menzione restrizioni della proprietà in natura privata.
b) La tesi testé esposta trascura il fatto che, nel caso in esame, si è in presenza, secondo l'interpretazione del diritto cantonale data dall'autorità di vigilanza, di una restrizione alla proprietà di carattere pubblico e che, pertanto, le perplessità manifestate a proposito della menzione al registro fondiario di modifiche apportate a tali restrizioni non sono giustificate. Ma ciò che soprattutto importa è che il potere di esame dell'Ufficiale del registro fondiario - come quello dell'ufficiale di esecuzione e fallimenti o dell'ufficiale di stato civile - è necessariamente limitato (cfr. DTF 110 II 131 consid. 3; DTF 107 II 213 consid. 1). Di conseguenza egli non può accontentarsi, in presenza di una chiara disposizione di legge che esige l'atto pubblico, della forma minore della semplice convenzione scritta. Del resto, proprio perché il
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proprietario deve accettare un aggravio maggiore di quello impostogli dalla legislazione di diritto pubblico, l'atto pubblico e l'intervento del notaio, che obbligano ad una più approfondita riflessione, mantengono tutta la loro importanza. Da ultimo, non è possibile dimenticare che singolare non è la disposizione dell'art. 680 cpv. 2 CC, bensì quella dell'art. 732 CC (in questo senso la sentenza 4 maggio 1981 in re Malandrini, pag. 6 in alto, con riferimento a MEIER-HAYOZ, op.cit., nota 99 ad art. 680 CC), ciò che rende ancora più problematico un cambiamento di prassi che venisse ordinato dalle autorità amministrative preposte al registro fondiario.

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Fatti

Considerandi 4 5

referenza

DTF: 110 II 131, 107 II 213

Articolo: Art. 680 cpv. 2 CC, art. 732 CC, art. 680 CC