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Intestazione

103 Ia 468


70. Sentenza del 19 ottobre 1977 nella causa Comune di Lugano c. Tribunale cantonale amministrativo del Cantone Ticino

Regesto

Autonomia comunale.
1. Il comune è legittimato a proporre ricorso di diritto pubblico per violazione dell'autonomia comunale se la decisione impugnata lo colpisce come titolare di pubblico potere; la sussistenza dell'autonomia e la eventuale sua lesione costituiscono questioni di merito (conferma della giurisprudenza) (consid. 1).
2. Autonomia del comune ticinese in materia di polizia delle costruzioni (consid. 2).
3. Nozione di autonomia tutelabile con ricorso di diritto pubblico:
a) Questioni controverse nella giurisprudenza (consid. 3).
b) Ricapitolazione dell'evoluzione della giurisprudenza; analisi dei nuovi criteri assunti per stabilire l'esistenza di autonomia tutelabile in generale (consid. 4a, b), a protezione dell'attività del comune nel campo legislativo (consid. 4c) e in quello dell'applicazione del diritto (consid. 4d).
c) Estensione della protezione accordata al comune nell'ambito dell'applicazione del diritto cantonale (consid. 4e).
4. Il comune fruisce di autonomia tutelabile mediante ricorso di diritto pubblico in quelle materie che il diritto cantonale non regola esaurientemente, ma lascia, in tutto o in parte, all'ordinamento del comune, conferendogli contemporaneamente una notevole libertà di decisione. Se sono adempiute questa premesse, il comune può pretendere con il ricorso di diritto pubblico che le autorità cantonali, tanto nella procedura di approvazione di atti legislativi comunali, quanto nelle procedure di ricorso contro decisioni emanate dal comune, restino dal profilo formale nei limiti dei poteri di controllo loro assegnati dal diritto cantonale, dal profilo sostanziale che esse non cadano nell'arbitrio applicando norme del diritto comunale, cantonale o federale che disciplinano congiuntamente la materia in cui sussiste autonomia. A ciò non osta il fatto che nell'applicazione del diritto non comunale non competa al comune alcuna libertà di decisione (consid. 5).
Interpretazione contro il testo chiaro di una norma; art. 4 Cost.
Casi in cui è consentita l'interpretazione contro il testo chiaro di una norma (consid. 6).
Norme di salvaguardia della pianificazione futura ad effetto anticipato negativo; art. 50 della legge edilizia ticinese del 19 febbraio 1973; art. 22ter e 4 Cost.
1. Norma del diritto cantonale che autorizza l'esecutivo comunale a sospendere per due anni al massimo la decisione su una domanda di costruzione in contrasto con uno studio pianificatorio in atto. La durata della restrizione della proprietà, istituita da tale norma ad effetto anticipato negativo, non costituisce elemento di validità della base legale richiesta dall'art. 22ter Cost., ma eventuale parametro per un giudizio sull'esistenza di un sufficiente interesse pubblico, rispettivamente sulla ricorrenza di un'espropriazione materiale. La menzionata norma del diritto edilizio ticinese non viola l'art 22ter Cost. (consid. 7, 8a, b, c). Il fatto che il termine biennale inizi a decorrere dal deposito di ogni singola domanda di costruzione non viola l'uguaglianza di trattamento (consid. 8d).
2. La decisione dell'autorità cantonale contraria al testo chiaro della citata norma edilizia e non giustificata da pertinenti ragioni, viola l'art. 4 Cost. e l'autonomia comunale (consid. 9).

Fatti da pagina 471

BGE 103 Ia 468 S. 471
La Ennery S.A. è proprietaria di due fondi ad Aldesago-Bré, Comune di Lugano. Il 13 gennaio 1975 essa chiedeva al Municipio una licenza edilizia per la costruzione di uno stabile d'appartamenti. Il Municipio di Lugano decideva di sospendere l'esame della domanda, in applicazione dell'art. 50 della legge edilizia ticinese, del 19 febbraio 1973, entrata in vigore il 1o marzo 1974 (LE). Questa disposizione reca:
Casi di sospensiva
1. L'autorità cantonale o il Municipio possono sospendere per due anni al massimo le loro decisioni quando la domanda appare in contrasto con uno studio pianificatorio in atto.
2. La decisione di sospensione deve essere motivata.
BGE 103 Ia 468 S. 472
3. Contro la decisione di sospensione è dato ricorso ai sensi dell'art. 49.
Il Municipio allegava che il fondo su cui si intendeva costruire era incluso in una zona in cui il progetto di piano regolatore (PR) in via di allestimento escluderà ogni possibilità di edificazione.
La Ennery S.A. ricorreva al Consiglio di Stato contro la decisione municipale, facendo valere che questa era priva della necessaria base legale, dato che l'art. 50 LE avrebbe soltanto istituito la competenza del Municipio a legiferare in materia. Il Consiglio di Stato respingeva il gravame.
Adito con ricorso della Ennery S.A., il Tribunale cantonale amministrativo accoglieva il gravame, annullava la decisione impugnata e ingiungeva al Municipio di procedere all'esame e alla decisione della domanda di licenza edilizia.
Statuendo sul ricorso pubblico proposto dal Comune di Lugano, il Tribunale federale lo ha accolto in quanto ammissibile ed ha annullato la sentenza del Tribunale cantonale amministrativo.

Considerandi

Considerando in diritto:

1. L'impugnata decisione ha revocato un provvedimento soprassessorio emesso dal Municipio circa una domanda di licenza edilizia, e costringe l'autorità comunale a decidere l'istanza presentata dall'intimata. Il Comune di Lugano è pertanto colpito nell'esercizio delle sue funzioni amministrative; secondo costante giurisprudenza, esso è legittimato a dolersi della violazione dell'autonomia comunale. Se questa, nel predetto campo, sussista e sia concretamente stata violata, è questione di merito (DTF 93 I 431 consid. 1, DTF 100 Ia 203 consid. 1). Come il Tribunale federale ha già constatato (DTF 102 Ia 400 consid. 1 e riferimenti), il Municipio è competente a rappresentare il Comune ticinese in vertenze amministrative come l'attuale anche senza l'autorizzazione del Consiglio comunale. Il ricorso è pertanto ricevibile. Per la natura cassatoria del gravame, è però irricevibile la conclusione tendente alla conferma della decisione del Consiglio di Stato, autorità di ricorso di prima istanza.

2. La Costituzione ticinese è silente circa la nozione e l'ambito dell'autonomia comunale. Il carattere di ente autonomo
BGE 103 Ia 468 S. 473
del diritto pubblico è riconosciuto al Comune - con l'ordinamento e i poteri stabiliti dalla Costituzione e nella legge - dall'art. 1 della legge organica comunale del 1o marzo 1950 (LOC). L'art. 157 LOC prescrive che i Comuni disciplinano con regolamenti, soggetti all'approvazione di effetto costitutivo del Consiglio di Stato, le materie che rientrano nelle loro competenze (cfr. DTF 102 Ia 400 consid. 3a). Le attribuzioni dei Comuni in materia edilizia sono stabilite nella LE del 17 febbraio 1973, che con l'entrata in vigore ha abrogato, salvo eccezioni, quella precedente del 15 gennaio 1940. I comuni sono autorizzati e tenuti ad adottare regolamenti edilizi e piani regolatori nell'interesse del loro sviluppo edilizio. Il Municipio è l'autorità competente a rilasciare la licenza edilizia comunale (art. 39 LE). Esso applica direttamente tanto le norme contenute nella LE cantonale, quanto quelle dei regolamenti e dei piani regolatori comunali (art. 56 LE). Una licenza edilizia cantonale, rilasciata dal Dipartimento delle pubbliche costruzioni e fondata su altre leggi cantonali, si affianca a quella comunale (art. 45 segg. LE): ambo le licenze, necessarie per dar avvio alla costruzione progettata, devono essere notificate contemporaneamente all'istante e agli opponenti (art. 48 LE). Contro le parallele decisioni del Municipio e del Dipartimento è dato ricorso al Consiglio di Stato; contro la pronunzia del Consiglio di Stato è dato ricorso al Tribunale amministrativo (art. 49 LE). La legge statuisce espressamente (art. 49 cpv. 3) che, oltre l'interessato e gli opponenti, la qualità per ricorrere spetta anche al Comune.
Da queste disposizioni si evince che il diritto cantonale, lungi dal regolare esaurientemente la polizia delle costruzioni, affida codesta materia ai comuni, e che in materia edilizia questi godono di una considerevole libertà di decisione: sono così dati gli elementi che - secondo la giurisprudenza inaugurata con le sentenze Comune di Volketswil e Comune di Zuchwil (DTF 93 I 154 segg., DTF 93 I 427 segg.) - costituiscono l'essenza dell'autonomia comunale. Se ne deduce che - in linea di principio - dev'esser riconosciuta al Comune ticinese un'autonomia costituzionalmente protetta in materia edilizia. Le disposizioni cantonali relative sono di livello legislativo, e non costituzionale: l'esame del Tribunale federale a tal riguardo è quindi circoscritto all'arbitrio (DTF 102 Ia 402, consid. 3 in fine e riferimenti).
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3. La decisione del Tribunale amministrativo è fondata sull'applicazione e l'interpretazione dell'art. 50 LE, norma del diritto cantonale.
Nella causa del Comune di Celerina/Schlarigna (DTF 100 Ia 200 segg.), il Tribunale federale, richiamandosi al precedente del Comune di Lostorf (DTF 97 I 521 segg.), ha escluso che possa darsi violazione dell'autonomia comunale nel caso in cui l'autorità cantonale di ricorso pervenga, applicando disposizioni o nozioni giuridiche indeterminate del diritto cantonale, ad un risultato diverso da quello cui era giunta l'autorità comunale nella decisione oggetto del ricorso (sentenza cit., pag. 205). Nel caso del Comune di Titterten (DTF 101 Ia 517 segg.), il Tribunale federale, dopo aver dichiarato che i comuni non possono, in linea di massima, invocare l'autodeterminazione comunale nell'applicazione di norme del diritto cantonale (sentenza cit., consid. 4c e d), ha tuttavia concesso che la tutela dell'autonomia può eccezionalmente estendersi anche al campo dell'applicazione del diritto cantonale, per concludere - dopo aver addotto esempi tratti asistematicamente dalla giurisprudenza - che la controversa questione non è compiutamente chiarita.
Questa evoluzione giurisprudenziale merita d'esser riesaminata alla luce dei principi che hanno indotto il Tribunale federale a mutare la sua giurisprudenza in materia di autonomia comunale, dapprima, nel 1967, trattandosi del Comune quale legislatore (sentenze Comune di Volketswil e Comune di Zuchwil, DTF 93 I 154 segg., 427 segg.), e poi, nel 1969, trattandosi dell'applicazione del diritto da parte del Comune (Comune di S. Moritz, DTF 95 I 37 segg.).

4. a) Il riconoscimento dell'autonomia comunale quale diritto costituzionale (DTF 65 I 131) è dettato da considerazioni giuridico-politiche. Da un lato, nella tradizione svizzera, il Comune è riconosciuto come una cellula fondamentale dello Stato democratico; dall'altro, appare necessario che esso non decada a semplice istanza amministrativa del Cantone, costantemente soggetta all'autorità di questo.
È peraltro palese che il contenuto e l'ambito dell'autonomia riconosciuta al Comune non possono unitariamente determinarsi per l'intero territorio della Confederazione, ma dipendono - nei limiti della garanzia del diritto d'esistenza del Comune - dal diritto costituzionale e legislativo dei Cantoni.
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Chiamato a tutelare come Corte costituzionale sovracantonale il Comune, al Tribunale federale non si pone tanto il problema di una definizione dommatica dell'autonomia, quanto l'esigenza prammatica di stabilire quali premesse giustifichino di derogare alla regola secondo la quale il ricorso di diritto pubblico è riservato ai privati cittadini, non all'autorità come tale. Sotto codesto risvolto, è irrilevante che la giurisprudenza consideri la questione dell'esistenza dell'autonomia come problema di merito (DTF 93 I 43, costantemente confermata in seguito), anziché come pregiudiziale d'entrata in materia.
b) Nei casi dei Comuni di Volketswil e di Zuchwil (DTF 93 I 154 segg., 427 segg.), il Tribunale federale ha riconosciuto che, per delineare l'autonomia che apre al Comune il ricorso di diritto pubblico, più non si poteva far capo a due criteri usati in precedenza, cioè, da un lato, l'assenza di ogni controllo statale sul Comune, dall'altro, l'appartenenza per tradizione di una determinata materia alla sfera d'attività propria del Comune. Due constatazioni indussero ad abbandonare i cennati criteri: la prima, che attualmente lo Stato non rinuncia, né più può rinunciare, a qualsivoglia forma di controllo dell'attività comunale; la seconda, che materie tradizionalmente considerate come attinenti alla sfera propria del Comune, cessano di esserlo, o di esserlo in modo esaustivo, mentre per converso nuove forme dell'attività amministrativa, in precedenza sconosciute, vengono affidate dal legislatore cantonale all'ordinamento da parte dei comuni. Il mantenimento dei cennati criteri distintivi avrebbe quindi progressivamente svuotato la nozione di autonomia di ogni contenuto, e praticamente tolto vieppiù al Comune una tutela giuridica costituzionalmente irrinunciabile.
Il Tribunale federale fu così indotto ad ammettere che può darsi autonomia tutelabile anche in presenza di un controllo statale e, inoltre, anche là dove un settore giuridico sia retto non esaustivamente dal diritto cantonale, ma sia pure solo parzialmente da quello comunale, alla condizione tuttavia che il comune fruisca, per l'ordinamento riservatogli, di una notevole libertà di decisione. Con ciò si è riconosciuto che può sussistere autonomia anche in campi in cui il diritto comunale concorre e s'intreccia con il diritto cantonale.
c) Dell'accresciuta tutela determinata dal mutamento di giurisprudenza il Comune beneficiò dapprima unicamente
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nella sua qualità di legislatore. Ciò gli consenti di difendere più efficacemente, col ricorso di diritto pubblico, gli ordinamenti da esso adottati contro il rifiuto d'approvazione dell'autorità cantonale.
Il cambiamento di giurisprudenza ebbe per effetto che il Tribunale non si limito più, come in precedenza, ad esaminare se l'autorità cantonale preposta all'approvazione fosse rimasta nei limiti di controllo che le spettavano. Da quel momento, il Tribunale federale esamino anche se l'autorità cantonale, pur essendo restata entro i limiti dei suoi poteri, non fosse incorsa materialmente in arbitrio (DTF 93 I 431 segg., in particolare 433/34). Di conseguenza furono incluse in codesto esame anche l'interpretazione e l'applicazione delle norme di diritto cantonale e federale che l'autorità cantonale aveva posto a fondamento del suo rifiuto di approvazione. Segnatamente soggiacquero a questo controllo - ristretto all'arbitrio - anche quelle norme del diritto cantonale reggenti, in concorrenza col diritto comunale, le materie in cui, in virtù della mutata definizione dell'autonomia tutelabile, dovevasi ormai riconoscere autonomia al Comune. Certo, tali norme del diritto cantonale non lasciano, di regola, alcuna libertà di decisione al Comune, ed il Cantone deve poterne imporre a tutti i Comuni un'applicazione uniforme. Ma ciò non significa affatto che il Comune, nella procedura d'approvazione dei decreti ch'esso ha adottato, debba lasciarsi opporre un'interpretazione arbitraria di tali norme cantonali e tollerare la lesione dell'autonomia che ne deriva (DTF 93 I 433 /34). Anche il diritto del Cantone di applicare uniformemente le norme della sua legislazione nei confronti di tutti i suoi comuni trova un limite nel divieto dell'arbitrio, né si può pretendere che un controllo del Tribunale federale limitato all'arbitrio ne possa compromettere l'esercizio.
d) Nella causa della Città di Coira (DTF 94 I 63 /66) il Tribunale federale si chiese se la rafforzata tutela, che aveva concesso al Comune quale legislatore, non dovesse esser estesa anche al campo dell'applicazione del diritto. La questione fu allora lasciata aperta. Il passo fu compiuto nella sentenza S. Moritz (DTF 95 I 37 segg., consid. 3). Il Tribunale federale dichiarò inammissibile che l'autorità cantonale sia legata al divieto dell'arbitrio allorquando è chiamata ad approvare il diritto autonomo comunale, non più quand'è chiamata a
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controllare, quale istanza di ricorso, l'applicazione che il Comune ne ha fatto. La tutela accordata al Comune nella veste di legislatore arrischia di rivelarsi vana, se il Comune non può insorgere contro l'autorità cantonale che, pur restando nei limiti delle proprie competenze, arbitrariamente disattenda il diritto comunale nei casi di applicazione concreta.
Ora, giusta le tre citate sentenze concernenti i Comuni di Lostorf, Celerina e Titterten (DTF 97 I 521; DTF 100 Ia 200 segg.; DTF 101 Ia 517 segg.), codesta estensione della tutela accordata al Comune andrebbe però strettamente limitata all'applicazione del solo diritto autonomo comunale: non appena il Comune applica, accanto al proprio, anche il diritto cantonale, il controllo del Tribunale federale dovrebbe cessare.
e) Se si intende concedere al Comune, quando applica il diritto in un campo nel quale - secondo la nuova giurisprudenza - gli dev'essere riconosciuta autonomia, la medesima tutela giuridica di cui esso beneficia quando agisce in veste di legislatore, la cennata restrizione non può esser mantenuta. Secondo la nuova giurisprudenza, né un controllo statale sull'attività del Comune, né il concorso di norme cantonali con norme comunali in una determinata materia ostano di per sé al riconoscimento di un'autonomia tutelabile: essenziale per il riconoscimento di codesta autonomia è che esista una notevole libertà di decisione del Comune. Se questa è data, la tutela riconosciuta al Comune deve estendersi all'intera materia - polizia delle costruzioni, pianificazione locale ecc. -, e non solo al settore di essa retto dalla legislazione comunale.
Allorquando il Comune prende una decisione concreta in un simile campo, esso esercita una facoltà autonoma riconosciutagli dal diritto cantonale. La decisione adottata si fonda sempre sul diritto comunale e sul diritto cantonale: sia che quest'ultimo si limiti a definire le premesse per l'esercizio delle facoltà da parte del Comune, sia che ne regoli, più o meno particolareggiatamente, le conseguenze.
Che la limitazione introdotta dalle citate sentenze Comuni di Lostorf, Celerina e Titterten conduce ad un risultato inaccettabile, appare chiaramente laddove l'autorità cantonale di ricorso preposta all'esame della decisione comunale neghi addirittura al Comune, in applicazione arbitraria del diritto cantonale, la competenza funzionale di prendere la decisione
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impugnata. Se si negasse al Comune, in un simile caso, la possibilità di insorgere col ricorso di diritto pubblico contro l'arbitraria violazione del diritto cantonale, si svuoterebbe l'autonomia del suo contenuto essenziale.
Ma non sostanzialmente diverso è il caso in cui l'autorità cantonale di ricorso riconosca bensì al Comune la competenza funzionale di adottare la misura impugnata, ma poi annulli il provvedimento comunale in applicazione arbitraria di norme del diritto cantonale che ne fissano il contenuto materiale. Nell'uno e nell'altro caso, il Comune è privato delle possibilità di svolgere le proprie funzioni in un campo, nel quale dev'essergli riconosciuta un'autonomia tutelabile: così, ad esempio, quando l'autorità pretenda d'imporre al Comune, competente a prelevare tasse per la distribuzione dell'acqua potabile, una nozione arbitraria della tassa di utilizzazione (cfr. DTF 102 Ia 405 consid. 7). Né si può obiettare che, togliendo la limitazione ond'è discorso, il Tribunale federale conceda al Comune, allorquando esso applica il diritto, una tutela giuridica più larga di quella che gli accorda allorquando esso legifera. Anche in quest'ultimo caso, infatti, il Tribunale federale esamina, sotto l'angolo dell'arbitrio, l'applicazione che l'autorità cantonale preposta all'approvazione del diritto comunale ha fatto delle norme del diritto legislativo cantonale. Neppure può essere addotto contro la soluzione qui delineata che il diritto cantonale può eventualmente imporre dei limiti all'esame cui debbono procedere le autorità cantonali chiamate ad approvare il diritto adottato dal Comune o a controllarne le decisioni d'applicazione, mentre codeste autorità debbono in ogni caso godere di libera e piena cognizione nell'interpretazione e nell'applicazione del diritto cantonale. Ciò è esatto, ma non implica necessariamente che il Comune debba per questo lasciarsi opporre un'interpretazione arbitraria delle norme cantonali.
Né, infine, vale l'obiezione per cui, consentendo al Comune di dolersi dell'arbitraria applicazione del diritto cantonale, praticamente lo si ammetterebbe ad avvalersi in modo indiscriminato del ricorso per arbitrio. Ciò non è esatto: la censura d'arbitrio può essere sollevata dal Comune solo in quelle materie e in quei campi in cui gli dev'esser riconosciuta, giusta la nuova giurisprudenza, autonomia tutelabile con il ricorso di diritto pubblico. La giurisprudenza ha d'altronde
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sempre riconosciuto che il Comune può sollevare la censura d'arbitrio, allorquando esista un nesso tra questa censura e quella di violazione dell'autonomia comunale (DTF 94 I 455 b; DTF 96 I 237 consid. 2; DTF 97 I 511 consid. 1; DTF 98 Ia 431 consid. 2, 3; DTF 100 Ia 90 consid. 1b).

5. Riassumendo questa evoluzione giurisprudenziale, dettata dalla necessità di assicurare al Comune una protezione efficace, si possono trarne i seguenti principi.
Un Comune gode di autonomia tutelabile in quelle materie che la legislazione cantonale non disciplina esaustivamente, ma lascia, in tutto o in parte, all'ordinamento del Comune, conferendogli una notevole libertà di decisione. Se sussiste un'autonomia nel senso descritto, il Comune può, per mezzo del ricorso di diritto pubblico, pretendere che le autorità cantonali, tanto nella procedura di approvazione degli atti legislativi comunali, quanto nella procedura di ricorso contro decisioni prese dal Comune, restino innanzitutto sotto il profilo formale nei limiti dei poteri di controllo loro assegnati dal diritto cantonale, cioè non li travalichino e non ne abusino. Inoltre, dal punto di vista sostanziale, il Comune può pretendere che, in entrambe tali procedure, le autorità cantonali non cadano nell'arbitrio quando applichino norme del diritto comunale, cantonale e federale che disciplinano congiuntamente la materia in cui sussiste autonomia. Va sottolineato che, per quanto concerne l'applicazione da parte del Comune di norme del diritto cantonale (o federale), l'autorità cantonale di approvazione o di ricorso gode sempre di un libero potere di controllo, ed è vincolata solo dal divieto dell'arbitrio; per quanto invece si riferisce all'applicazione delle norme del diritto comunale, i limiti fissati alle autorità cantonali nella procedura di approvazione e in quella di ricorso - limiti che d'altronde non debbono necessariamente esser identici nelle due procedure - dipendono dall'ordinamento cantonale delle competenze: tale circostanza è di rilievo per sapere se una lesione dell'autonomia sia configurabile già per eccesso formale del potere di controllo, o soltanto per arbitrio materiale.

6. Il testo dell'art. 50 LE è di per sé chiaro ed esplicito. Il Municipio, adempiute certe condizioni, può sospendere la decisione di una domanda di licenza edilizia per un periodo massimo di due anni, anziché pronunciarsi subito. La decisione di soprassedere dev'essere motivata, ed è suscettibile
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degli stessi rimedi giuridici opponibili al rifiuto di una licenza edilizia.
Il Tribunale amministrativo si è scostato dal testo chiaro della legge. Esso l'ha interpretato nel senso che la competenza del Municipio di applicare l'art. 50 LE è subordinata all'emanazione di una norma generale ed astratta da parte del legislativo comunale, che stabilisca erga omnes l'inizio del periodo biennale, entro il quale il Municipio è facoltizzato a far uso della norma di salvaguardia.
Una interpretazione contro il testo chiaro viola l'art. 4 Cost., a meno che fondati motivi inducano a ritenere che il testo non rifletta il vero senso della norma, e l'applicazione secondo il testo conduca a risultati che il legislatore non può aver voluto. Tali motivi possono risultare sia dall'esegesi della norma, sia dal suo senso e dal suo scopo, nonché dai rapporti con altre norme della stessa o di altre leggi. Se ne deve a fortiori inferire che motivi fondati per scostarsi dal tenore letterale possono risultare dalla necessità di interpretare la norma in modo compatibile con la costituzione (verfassungskonforme Auslegung) (DTF 99 Ia 169, consid. 2, 3; 575 consid. 3; 96 I 435; DTF 95 I 326 consid. 3, 509 consid. 2 e riferimenti).
Occorre quindi esaminare se simili motivi sussistano.

7. Il Tribunale amministrativo non pretende che motivi per scostarsi dal testo della norma risultino dall'esegesi. A ragione. La proposta di inserire nella legge edilizia (del 1940) la facoltà per il Municipio, o per il Dipartimento, di sospendere l'esame di una domanda per contrasto con studi pianificatori comunali o cantonali, fu formulata nel Messaggio del Consiglio di Stato del 2 giugno 1970 (art. 6 quater e 7 bis, v. messaggio 1650, pagg. 8 e 12). La Commissione della legislazione decise di riordinare tutta la materia; gli art. 6 quater e 7 bis del progetto governativo, fusi in un'unica disposizione, divennero l'art. 47 del nuovo progetto della commissione legislativa (rapporto cit. pag. 8). Per finire, quel testo, senza modificazione, divenne l'art. 50 della nuova legge 19 febbraio 1973, adottata dal Gran Consiglio, che ritenne opportuno, per evitare difficoltà interpretative, abrogare e sostituire puramente e semplicemente tutta la LE 1940, la cui sistematica era stata interamente riveduta (SCOLARI, Commentario della Legge edilizia, Introduzione, pag. 31).
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Dai lavori legislativi in questione nessun elemento risulta che induca a pensare che il testo letterale del disposto non rifletta l'effettiva volontà del legislatore ticinese.

8. Secondo il Tribunale amministrativo, la necessità di un preventivo intervento del legislatore comunale, che accerti la facoltà del Municipio di far capo all'art. 50 LE e fissi la data d'inizio del periodo biennale, deriva da esigenze costituzionali: applicato direttamente e conformemente alla lettera, così come intendono Comune e Consiglio di Stato, l'art. 50 LE violerebbe la Costituzione (art. 4 e 22ter).
a) Il Tribunale amministrativo, nella sua motivazione, si fonda sulle due sentenze del Tribunale federale (DTF 100 Ia 147 segg., Hypothekaranlagen; e DTF 100 Ia 157 segg., Società di Banca Svizzera) che concernono entrambe l'art. 36 della cessata LE del 1940. Questa disposizione attribuiva efficacia provvisoria positiva al progetto di piano regolatore anteriormente alla sua definitiva approvazione. Nella prima di codeste due sentenze, il Tribunale federale non ebbe modo di esaminare la costituzionalità di principio di un simile effetto anticipato di natura positiva: la ricorrente, infatti, ammetteva esplicitamente che il progetto di PR aveva acquistato efficacia provvisoria, limitandosi a sostenere che questa era di poi decaduta (DTF 100 Ia 153 cc). Il Tribunale federale lascio quindi espressamente aperta e riservata la questione della costituzionalità di principio di una norma del genere (DTF 100 Ia 154, consid. 3, inizio). Dopo aver rilevato liminarmente che già l'effetto anticipato di natura meramente negativa è, per più di un verso, paragonabile all'effetto retroattivo di una norma in vigore, il Tribunale federale ha affermato che ciò, a maggior ragione, deve valere per l'effetto anticipato di natura positiva, ed ha di conseguenza applicato alla norma dell'art. 36 LE 1940 i criteri rigidi richiesti dalla giurisprudenza in materia di norme retroattive, giungendo alla conclusione ch'essi non erano rispettati. Come si deduce chiaramente da quella sentenza, le considerazioni esposte dal Tribunale federale si riferivano unicamente all'effetto anticipato positivo previsto dal cessato art. 36 LE 1940. Non è lecito trarre direttamente conclusioni da quella sentenza per quanto ha tratto ad un effetto anticipato di natura puramente negativa. Nella seconda delle citate sentenze (DTF 100 Ia 157 segg. - Società di Banca Svizzera) il Tribunale federale ha poi potuto
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esaminare il problema della costituzionalità di principio dell'art. 36 LE 1940, questa volta sollevato nel gravame. Esso ha riconosciuto l'anticostituzionalità di quella norma, nell'interpretazione datane in casu, per violazione dei principi costituzionali sulla delegazione legislativa, del parallelismo delle forme e della garanzia della proprietà.
Queste sentenze hanno indotto il legislatore ticinese, che aveva ripreso sostanzialmente la norma dell'art. 36 LE 1940 nella nuova legge edilizia del 1973 (art. 25), a modificare quest'ultima con la novella dell'11 marzo 1975, entrata in vigore il 1o luglio successivo. A partire da questa data, la legislazione ticinese conosce solo norme di salvaguardia di carattere puramente negativo, e, precisamente, l'art. 50 (sospensione della decisione su una domanda di licenza edilizia) e l'art. 25bis LE (blocco edilizio) (v. SCOLARI, op.cit. pag. 31, n. 6; Messaggio del Consiglio di Stato del 17 ottobre 1974; su questi due strumenti del diritto edilizio v. altresì DTF 100 Ia 150 consid. 2b e gli esempi legislativi ivi citati; HEITZER-OSTREICHER, Bundesbaugesetz, con particolare riferimento al commento ai par. 14 (Veränderungssperre) e 15 (Zurückstellung von Baugesuchen); ERICH ZIMMERLIN, Baugesetz des Kantons Aargau, Komm. al par. 127, cpv. 2, n. 5, pag. 329 e al par 148, n. 2, pag. 409; A. KUTTLER, Die neuere Entwicklung des baselstädtischen Planungs- und Baurechts in der Gesetzgebung und Rekurspraxis, Basler Jurist. Mitteilungen, 1970, pag. 166; M. STRAUB, Das intertemporale Recht bei der Baubewilligung, in part. pag. 102/112).
Nella misura in cui il Tribunale amministrativo trae direttamente conclusioni dalle cennate sentenze a proposito della norma dell'art. 50 LE, la sua argomentazione non può esser condivisa.
b) Come il Tribunale amministrativo rileva, la sospensione della decisione su di una domanda di costruzione in attesa dell'entrata in vigore del nuovo diritto edilizio costituisce una restrizione della proprietà. Essa esige quindi una base legale e l'esistenza di un interesse pubblico e, se son date le premesse dell'espropriazione materiale, comporta il pagamento di un'indennità (DTF 100 Ia 150 /51 consid. 2b).
L'art. 50 LE è una norma di salvaguardia della pianificazione in via di elaborazione: il suo effetto è unicamente quello di paralizzare - ricorrendo certe condizioni - l'applicabilità
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del diritto vigente (effetto negativo), senza peraltro consentire l'anticipata applicazione del diritto futuro, non ancora vigente (cosiddetto effetto positivo).
Il Tribunale amministrativo ritiene che a una simile norma debbano rigidamente applicarsi i criteri che la giurisprudenza ha elaborato in materia di norme retroattive, e cioè che la retroattività sia: 1o espressamente o chiaramente voluta dal legislatore; 2o limitata nel tempo; 3o giustificata da motivi pertinenti; 4o non fonte di ineguaglianze inammissibili; 5o non lesiva di diritti acquisiti.
L'istanza cantonale ha ritenuto adempiute per l'art. 50 LE la prima, la terza, la quarta e l'ultima di queste condizioni. Quanto alla seconda, il Tribunale amministrativo rileva bensì che l'art. 50 LE prevede il periodo massimo durante il quale il Municipio può far capo alla norma. Ma esso ritiene che ciò sia insufficiente: a parer suo, esigenze costituzionali impongono che il legislatore comunale fissi, con norma di carattere generale, la data precisa d'inizio del biennio, durante il quale l'esecutivo potrà opporre la sospensiva prevista dall'art. 50 LE ad ogni domanda di costruzione, e trascorso il quale, invece, non la potrà più opporre a nessuno e decadranno altresì le sospensive anteriormente decretate. Ciò per evitare, secondo il Tribunale amministrativo che, reiterando l'applicazione della sospensiva, l'esecutivo possa protrarre indefinitamente l'evasione di domande di costruzione, e che sia aperta la via ad un trattamento disuguale di cittadini.
c) Il Tribunale federale ha già accennato (citando GRISEL, L'application du droit public dans le temps, ZBl 75 (1974), pag. 250) che la durata del blocco edilizio o della sospensione della decisione, prevista nella base legale necessaria per l'introduzione di una simile restrizione della proprietà, non costituisce elemento di validità della base legale stessa. Codesta validità si determina infatti unicamente in funzione delle esigenze poste dal principio costituzionale della legalità, nel cui novero la durata degli effetti della norma non rientra (DTF 100 Ia 152, consid. 2b e 155, consid. 3a). La questione fu in quella sentenza lasciata aperta. La soluzione accennata merita però conferma, oltre che per il motivo già riferito, anche per altre considerazioni.
Per la norma con effetto anticipato negativo, il problema della limitazione temporale si pone infatti in modo diverso che
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per la norma retroattiva. In quest'ultima è in gioco il principio generale della non-retroattività delle leggi, cui la norma retroattiva fa eccezione: ammettere l'eccezione senza limiti temporali significherebbe svuotare il principio di ogni senso. Come si rileva in giurisprudenza e dottrina, l'esigenza di una limitazione temporale della retroattività è da porre in relazione con quella di una certa prevedibilità per il cittadino del mutamento legislativo (DTF 77 I 190, consid. 5; IMBODEN-RHINOW, Schw. Verwaltungsrechtsprechung, vol. I, n. 16, Oss. I, c). Nel caso della norma di salvaguardia, l'esistenza della norma stessa nel diritto vigente è conosciuta: incerta può essere soltanto l'insorgenza di motivi che inducano l'autorità a mutare l'assetto pianificatorio in vigore, e quindi a ricorrere alla norma di salvaguardia. D'altro canto, mentre la norma retroattiva fa sorgere conseguenze giuridiche da fatti avvenuti nel passato, che al momento in cui si erano verificati non implicavano conseguenze giuridiche, o comunque non implicavano le stesse conseguenze giuridiche, la norma ad effetto anticipato negativo è bensì intesa a consentire l'applicazione del diritto futuro, se ed in quanto esso entrerà in vigore, ma scatena come unica conseguenza giuridica immediata solo l'inapplicabilità del diritto vigente, a dipendenza di circostanze già attualmente verificatesi, quale la constatata necessità di modificare l'assetto pianificatorio in vigore.
Ciò non vuol dire che l'indicazione nella norma della durata massima ammissibile della sospensione della decisione (o del blocco edilizio) non sia rilevante ed opportuna. Infatti, la limitazione della proprietà che la norma comporta deve potersi fondare, oltre che sulla base legale, su un sufficiente interesse pubblico; inoltre, se la sospensione decretata in virtù della norma equivale ad un'espropriazione, essa deve dar luogo ad indennità (art. 22ter Cost.). Ora, una sospensione senza limiti nel tempo potrebbe far dubitare dell'interesse pubblico della misura: se per le esigenze di salvaguardia della pianificazione futura può esser invocato un pubblico interesse, questo interesse trova i suoi limiti nel contrapposto interesse (pubblico e privato) a che sia garantita una utilizzazione attuale del suolo. L'indicazione della durata e la sua limitazione consentono inoltre di trarre conclusioni circa l'eventuale effetto d'espropriazione materiale che la sospensiva può implicare,
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e proteggono l'ente pubblico contro pretese avanzate per tal motivo. Da ultimo, la precisazione della durata contribuisce alla sicurezza dei rapporti giuridici, e nel contempo costituisce un efficace incentivo affinché l'amministrazione proceda con l'auspicabile solerzia e non riduca la facoltà di sospendere le proprie decisioni a un mero strumento di comodo, tale da dar luogo in ultima analisi ad un diniego di giustizia.
Si deve quindi concludere che l'indicazione nella norma di salvaguardia della durata della possibile protrazione del giudizio sulle domande di costruzione non costituisce condizione di validità della base legale richiesta, in virtù dell'art. 22ter Cost., per l'introduzione della limitazione della proprietà, anche se essa può apparire provvida in relazione alle due altre esigenze poste dalla cennata disciplina costituzionale.
d) Secondo il Tribunale amministrativo, tuttavia, sarebbe incostituzionale prevedere che il Municipio possa opporre la norma di salvaguardia ad ogni singola domanda di licenza edilizia: a parer suo, esigenze tratte dall'art. 4 Cost. imporrebbero di precisare a partire da quale data ha inizio il periodo biennale, in cui il Municipio può far capo erga omnes all'art. 50 LE.
Quest'opinione non resiste alla critica.
Non si scorge infatti per quale motivo dovrebbe incombere al legislatore comunale di accertare, con norma generale ed astratta, che le condizioni di applicabilità della norma di salvaguardia sono adempiute, e di fissare pertanto un biennio preciso entro il quale il Municipio potrebbe avvalersi della clausola e fuori del quale più non vi potrebbe ricorrere.
L'accertamento del verificarsi delle condizioni di applicabilità di una norma, contenute nella norma stessa o in norme esecutive, è infatti un semplice atto di interpretazione ed applicazione della norma medesima: come tale, esso rientra nell'ambito delle competenze dell'autorità chiamata ad applicarla. Spetterà quindi direttamente al Municipio, nella decisione soprassessoria, di accertare che la domanda è "in contrasto con uno studio pianificatorio in atto", rifacendosi alle definizioni di "studio pianificatorio" contenute nel RLE, e motivando debitamente tale suo accertamento: alle autorità di ricorso di prima e seconda istanza competerà poi di controllare la decisione municipale.
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È pacifico che in virtù dell'art. 50 LE la decisione della domanda può esser protratta per due anni al massimo: scaduti i due anni (o anche prima, qualora lo studio pianificatorio venga per avventura lasciato cadere, oppure sia invece approvato dal legislatore e pubblicato), il Municipio dovrà pronunciarsi nuovamente, sulla base del diritto a quel momento in vigore. È palese che, nei confronti dello stesso interessato e dello stesso progetto di costruzione, la norma dell'art. 50 LE non può esser applicata che una volta, altrimenti non avrebbe senso di parlare di due anni al massimo. È vero che, nella nuova pronuncia, se il nuovo piano regolatore è nel frattempo stato adottato dal legislativo comunale e pubblicato (art. 18 cpv. 1 e 2 LE), ma non è ancora approvato con effetto costitutivo dal Consiglio di Stato, e quindi non è ancora entrato in vigore (art. 25 cpv. 1 LE), al richiedente potrà (e dovrà) esser opposta una nuova clausola di salvaguardia, in applicazione stavolta dell'art. 25bis LE (blocco edilizio). Ma anche questa (seconda) restrizione è soggetta a limiti di validità ben precisi; essa decade infatti se il piano non viene trasmesso al Consiglio di Stato entro i sei mesi dalla scadenza del termine per le pubblicazioni, o se il Consiglio di Stato non approva il piano entro due anni dalla scadenza dello stesso termine (art. 25bis, cpv. 3; cfr. SCOLARI, op.cit. ad art. 25bis LE).
Non si vede d'altronde quale disparità di trattamento possa derivare nei confronti dei cittadini da codesta interpretazione degli art. 50 e 25bis della LE. Ogni richiedente è infatti trattato nella stessa maniera: egli sa che, ricorrendo le premesse legali, dovrà attendere la decisione al massimo per due anni in applicazione dell'art. 50 LE, eventualmente per altri due anni in applicazione dell'art. 25bis LE. Non costituisce disparità di trattamento, contrariamente a quanto sembra ritenere l'impugnata sentenza, il fatto che il permesso di costruire, per la scadenza del termine perentorio di cui all'art. 50 LE, debba essere rilasciato, in applicazione del diritto ancora vigente al momento della decisione, a chi ha presentato la sua domanda con sufficiente anticipo, rifiutato invece, in applicazione del nuovo diritto entrato in vigore durante la sospensiva, a chi l'ha presentata più tardi. La diversa data di presentazione della domanda di licenza è elemento oggettivamente rilevante per giustificare tale diversa conseguenza.
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9. Risulta così che il Tribunale amministrativo si è scostato senza motivo pertinente dal testo chiaro dell'art. 50 LE. Né l'esegesi di questa norma (consid. 7), né i rapporti di essa con altre norme, né il senso e lo scopo, né infine la necessità di un'interpretazione costituzionale (consid. 8), consentono, ed ancor meno impongono, di far astrazione dal testo chiaro dell'art. 50 LE. La decisione impugnata viola quindi l'art. 4 Cost., e, di conseguenza, l'autonomia comunale. Essa dev'essere annullata.

Dispositivo

Il Tribunale federale pronuncia:
In quanto ammissibile, il ricorso è accolto e l'impugnata decisione è annullata.